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Differenza tra proprietà, detenzione e possesso

Caratteristiche e differenze tra il diritto reale fondamentale e le relazioni di fatto tra soggetto e bene.
Avv. Mariano Acquaviva - Foro di Salerno 

Le parole sono importanti, nel diritto più che mai. È risaputo che in ambito giuridico ogni termine ha un suo preciso significato: vocaboli che, nel linguaggio comune, sembrerebbero essere sinonimi, nel mondo del diritto assumono connotati ben nitidi. È ciò che accade con concetti come proprietà, detenzione e possesso. Quali sono le differenze tra questi istituti e le loro principali caratteristiche?

Sin da subito si può affermare che proprietà, detenzione e possesso riguardano il rapporto che un uomo può avere con un bene. In altre parole, tutti e tre gli istituti succitati hanno a che vedere con il legame giuridico che può sussistere tra un soggetto e una cosa.

Da un certo punto di vista, una prima differenza può essere rinvenuta in merito all'intensità della relazione tra persona (fisica o giuridica) e bene: essa è assoluta nel caso della proprietà, meno forte nel caso del possesso e della detenzione.

Ciò non significa che il possessore sia meno tutelato del proprietario; anzi: come vedremo, in base a un principio di apparenza, la legge fornisce una tutela molto più repentina al mero possessore (anche sine titulo) che al titolare vero e proprio. Di seguito vedremo le principali differenze tra proprietà, detenzione e possesso.

Proprietà: caratteristiche

La proprietà è il diritto reale per eccellenza. I diritti reali sono quelli che attribuiscono al titolare un potere assoluto ed immediato sulla cosa.

Il diritto di proprietà presenta le seguenti caratteristiche:

  • pienezza, in quanto il proprietario può fare ciò che vuole con la propria cosa (nei limiti imposti dalla legge, di cui parleremo nel prossimo paragrafo);
  • assolutezza, poiché il proprietario ha il diritto, tutelato dalla legge, di pretendere che tutti rispettino la sua proprietà, potendo azionare gli strumenti previsti dall'ordinamento per far cessare ogni turbativa;
  • elasticità, nel senso che la proprietà può tollerare delle limitazioni (si pensi alla proprietà gravata da ipoteca o da usufrutto) ma, una volta eliminate, essa si riespande e torna libera e piena come prima;
  • imprescrittibilità, che si desume dal fatto che l'azione di rivendicazione (art. 948 cod. civ.) è sempre esercitabile, senza limiti di tempo (salvo gli effetti dell'usucapione).

    La proprietà è l'unico diritto reale che non si prescrive mai.

Diritti reali: caratteristiche

In quanto diritto reale, la proprietà presenta anche le seguenti caratteristiche, tipiche di tutti i diritti reali limitati (o di godimento):

  • patrimonialità, poiché ha ad oggetto un bene valutabile economicamente (una casa, una macchina, un terreno, un orologio, ecc.);
  • assolutezza, poiché il diritto del titolare deve essere rispettato dalla generalità degli individui e, quindi, può essere fatto valere verso tutti (in latino si dice erga omnes).

    Al contrario dei diritti di credito, dunque, i diritti reali pongono in una posizione di soggezione tutti gli individui della comunità: il proprietario di una casa, ad esempio, vuole che il proprio diritto sia rispettato da tutti, potendo agire contro chiunque lo leda;

  • immediatezza, in quanto il titolare può esercitare sulla cosa direttamente il suo potere e ne trae soddisfacimento altrettanto direttamente, cioè senza l'intervento o l'intermediazione di alcuno.

    Rifacendoci sempre all'esempio del proprietario, questi soddisfa il proprio diritto per il semplice fatto di poter disporre della cosa e di poterne fare ciò che vuole;

  • tipicità, in quanto sono ammessi solo i diritti reali espressamente previsti dalla legge e le parti non possono crearne di nuovi.

    Si dice, a tal proposito, che i diritti reali costituiscono un numero chiuso, cioè un elenco prestabilito dalla legge nel quale non possono esserne iscritti ulteriori;

  • diritto di seguito (o di sequela), in quanto il titolare del diritto reale può perseguire la cosa presso qualunque soggetto si trovi.

I limiti al diritto di proprietà

Secondo l'art. 832 cod. civ., il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.

La norma del codice mette subito in chiaro due aspetti: la proprietà è sì un diritto assoluto, che può essere fatto valere contro chiunque lo contesti o ne turbi il pacifico godimento, ma, allo stesso tempo, esso ha una funzione sociale. La legge pretende che l'esercizio di tale diritto contribuisca alla crescita della società e non possa essere il pretesto per arrecare danni a terzi.

Di qui l'immediato limite sancito nell'articolo successivo (833 cod. civ.): il proprietario non può compiere atti che non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.

Si tratta del famoso divieto di atti emulativi («L'atto emulativo vietato ex art. 833 c.c. presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario, sicché non è riconducibile a tale categoria un atto comunque rispondente ad un interesse del proprietario, né potendo il giudice compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco o formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi» - Cass., sent. n. 1209/2016).

Possesso: cos'è?

Il possesso è la relazione di fatto che si instaura tra un bene e la persona che ne ha la materiale disponibilità. Il possesso è la manifestazione esteriore del legame che c'è tra un oggetto e chi l'ha con sé. Paradossalmente, anche il ladro che ruba un bene mobile ha il possesso dello stesso.

Perché il possessore sia tale, occorre che egli eserciti il proprio potere sulla cosa esattamente come se ne fosse il proprietario (art. 1140 cod. civ.).

Dunque, mentre la proprietà esprime un rapporto sostanzialmente giuridico tra persona e bene, il possesso si sostanzia nella relazione fattuale, concreta e materiale tra possessore e cosa posseduta.

Ciò non deve trarre in inganno in quanto, come vedremo, anche il possesso ha conseguenze giuridiche ben precise.

Quali sono le conseguenze del possesso?

Dal punto di vista giuridico, cosa comporta il possesso? Le conseguenze sono molto rilevanti: il possessore di un bene può invocare delle specifiche azioni a tutela della propria situazione giuridica, anche se non è il proprietario della cosa.

Il riferimento è alle azioni possessorie, ovverosia:

  • l'azione di reintegrazione (o azione di spoglio);
  • l'azione di manutenzione.

Ma non solo: com'è noto praticamente a tutti, il possesso su un bene, se presenta determinate caratteristiche, è presupposto per far maturare l'usucapione, cioè uno dei modi di acquisto a titolo originario della proprietà.

Le azioni a tutela del possesso

La reintegrazione è quell'azione legale che serve a riacquistare il possesso di una cosa che è stata illegittimamente sottratta.

Per ottenere la sentenza di reintegra del possesso occorre dimostrare semplicemente che, prima dell'appropriazione illegittima, si era possessori del bene sottratto: non c'è bisogno pertanto, come accade nell'azione di rivendicazione, di dimostrare di essere proprietari della cosa.

L'azione è caratterizzata da un procedimento celere e urgente perché volto a recuperare la disponibilità del bene senza bisogno di accertarne la titolarità.

Secondo l'art. 1168 del codice civile, chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.

L'azione di reintegrazione va quindi esercitata entro un anno dalla data dell'avvenuto spoglio, cioè entro un anno dall'avvenuta privazione del bene da parte di chi se n'è appropriato. Il termine di decadenza non può essere rilevato d'ufficio dal giudice ma deve essere eccepito dalla parte interessata (Cass., sent. n. 1455/2018).

Per la precisione, il termine annuale per l'esercizio dell'azione di spoglio comincia a decorrere:

dal momento dell'effettiva appropriazione;

nel caso di spoglio clandestino (cioè, avvenuto segretamente, senza che il legittimo titolare ne sapesse nulla), da quando il soggetto che si sia visto privare del bene sia venuto a conoscenza dell'occupazione altrui.

Secondo la Corte di Cassazione (Cass., sent. n. 21457/2018), «Lo spoglio costituisce atto illecito che lede il diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa e obbliga chi lo commette al risarcimento del danno, sicché la relativa condotta materiale deve essere sorretta da dolo o colpa, la cui prova incombe, secondo i principi generali in tema di ripartizione dell'onere probatorio, su chi propone la domanda di reintegrazione».

Parcheggi esterni: chi intende proporre l'actio negatoria servitutis è tenuto a dimostrare di esercitare legittimamente il possesso sulla res

Inoltre, «In tema di spoglio, l'accertamento del giudice deve riguardare sia l'elemento oggettivo della privazione totale o parziale del possesso, violenta o clandestina, che l'elemento soggettivo, ossia l'"animus spoliandi", che non consiste nella sola coscienza e volontà dell'agente di compiere il fatto materiale della privazione del possesso, bensì nella consapevole volontà di sostituirsi al detentore, contro la volontà di questo (ovvero nella sua inconsapevolezza o impossibilità di venire a conoscenza dell'azione espoliatrice), nella detenzione totale o parziale e nel godimento del bene, con la conseguenza che il consenso, espresso o tacito, del possessore allo spoglio, costituisce causa escludente dell'"animus spoliandi» (Cass., sent. n. 14797/2017).

L'azione di manutenzione (art. 1170 cod. civ.) è la seconda azione legale a tutela del possesso. Essa deve esser esercitata entro un anno dalla turbativa che si intende far cessare.

Con quest'azione, colui che è stato molestato nel possesso di un bene o di un diritto reale può rivolgersi al giudice affinché questo ordini l'immediata cessazione della molestia.

A differenza dell'azione di reintegrazione, l'azione di manutenzione non è concessa al semplice detentore, e può essere esercitata dal possessore solo:

  • se il possesso ha ad oggetto un bene immobile, un diritto reale su bene immobile (ad es.: usufrutto, abitazione o enfiteusi) o un'universalità di beni mobili;
  • se il possesso dura continuativamente e ininterrottamente da oltre un anno e non è stato acquistato in modo violento o clandestino.

    Altrimenti, l'azione può essere esercitata solo dopo il decorso di un anno da quando è cessata la violenza o la clandestinità.

Tutela del possesso: entro quale termine deve essere esercitata l'azione in giudizio?

Secondo la Suprema Corte, «In tema di azioni a difesa del possesso, è configurabile la molestia possessoria ove la condotta comporti una modifica dello stato dei luoghi, idonea a determinare una condizione di potenziale pericolo al possesso altrui e a produrre un'apprezzabile compressione delle facoltà con cui detto possesso si esteriorizza, sicché costituisce turbativa del possesso l'installazione di una porta sul muro comune, che limita le possibilità di utilizzazione del corrispondente spazio da parte dell'altro proprietario e consente l'esercizio di una servitù di passaggio sul fondo di quest'ultimo» (Cass., sent. n. 26787/2018).

L'usucapione a seguito del possesso

L'effetto giuridico probabilmente più noto del possesso prolungato nel tempo è l'usucapione. Chi possiede uti dominus un bene altrui ne acquista la proprietà, decorso un determinato arco temporale.

Ai fini dell'usucapione, il possesso deve essere:

  • duraturo, cioè prolungato nel tempo;
  • pacifico, in quanto non acquistato in modo violento. Ciò significa che non potrà usucapire un terreno colui che l'ha invaso con la forza, minacciando il legittimo proprietario di non disturbarlo;
  • pubblico, cioè quando non è stato acquistato clandestinamente.

    Non può ad esempio giovarsi dell'usucapione chi ruba un bene a un altro e questi non se ne sia nemmeno accorto;

  • continuato o ininterrotto, in quanto esercitato costantemente e uniformemente sulla cosa per tutto il periodo di tempo prescritto dalla legge, senza che ci siano stati atti provenienti da terzi che abbiano privato il possessore del bene.

Secondo la legge, il possesso acquistato in modo violento o clandestino (cioè, non pacifico o pubblico) non giova per l'usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata.

In breve, l'usucapione comincia a maturare solamente quando il possesso acquisterà le caratteristiche sopra viste: fintantoché rimarrà violento o clandestino, non servirà ad usucapire il bene.

Perché l'usucapione maturi, cioè perché essa possa farti acquistare la proprietà di un bene, occorre che il possesso del bene sia continuato nel tempo. Sinteticamente, si può prospettare questo schema:

  • beni immobili: 20 anni per l'usucapione ordinaria - 10 anni per l'usucapione abbreviata;
  • beni mobili registrati: 10 anni per l'usucapione ordinaria - 3 anni per l'usucapione abbreviata;
  • universalità di mobili: 20 anni per l'usucapione ordinaria - 10 anni per l'usucapione abbreviata;
  • beni mobili: 20 anni per l'usucapione ordinaria - 10 anni per l'usucapione abbreviata.

L'usucapione abbreviata si ottiene combinando i seguenti elementi:

  • buona fede del possessore;
  • titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà;
  • trascrizione del titolo (nel caso di beni immobili e mobili registrati),
  • possesso pacifico, pubblico e continuato.

L'usucapione deve essere dimostrata in maniera rigorosa dal possessore.

Secondo la più recente giurisprudenza, «Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché non esprime in modo inequivocabile l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus"; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l'intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l'attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario» (Cass., sent. n. 6123/2020).

E ancora, «In tema di usucapione, è onere di chi invoca l'intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà.

Egli deve infatti provare non solo di essere nella disponibilità del bene, ma anche l'animus possidenti per il tempo necessario per usucapire.

Per il perfezionamento dell'usucapione è infatti necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene» (Tribunale Sulmona, sent. n. 274/2019).

Oltre all'usucapione ordinaria e all'usucapione abbreviata, ne esiste una terza specie destinata solamente ai beni mobili: si tratta dell'usucapione immediata. Chi acquista in buona fede un bene mobile da chi non era legittimato a venderglielo, ne acquisisce comunque la proprietà se il trasferimento è sorretto da un titolo astrattamente idoneo allo scopo.

Si tratta della cosiddetta regola "possesso vale titolo", escogitata dalla legge solamente per i beni mobili, cioè per quelli che possono circolare senza particolari formalità (quale l'iscrizione nei registri immobiliari, ecc.).

Secondo l'art. 1153 del codice civile, colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.

Detenzione: cos'è?

Possiamo infine occuparci della detenzione. Si tratta di istituto giuridico affine al possesso; a differenza di quest'ultimo, però, la detenzione esprime la relazione di fatto tra persona e bene cui non si accompagna la volontà di esercitare sulla cosa i poteri corrispondenti a quelli che spetterebbero al proprietario o al titolare di un diritto reale.

Ciò che differenzia possesso e detenzione, dunque, è la mancanza in quest'ultima dell'animus possidendi: il detentore ha la materiale disponibilità della cosa (in virtù, ad esempio, di un contratto di locazione, di comodato o di deposito), ma il potere sulla stessa è esercitato con la consapevolezza che esiste un diritto altrui e riconoscendo tale diritto.

Insomma, per farla breve, il detentore non si comporta come il proprietario, a contrario del possessore. Da tanto deriva che giammai dalla detenzione potrà sorgere l'usucapione.

Come visto in precedenza, al detentore spetta invece la tutela fornita dall'azione di reintegrazione; in questa specifica circostanza, dunque, possesso e detenzione si equivalgono ai fini dell'esercizio della tutela fornita dalla legge, la quale però specifica che la detenzione non deve derivare da ragioni di servizio o di ospitalità.

E così, non potrà esercitare l'azione di reintegrazione colui che vive in un'abitazione a titolo temporaneo come mero ospite, senza vantare alcun titolo giuridico.

In un certo senso, il possesso prevale sulla detenzione: tanto si desume dal primo comma dell'art. 1141, da cui si evince che, in presenza di una relazione di fatto tra soggetto e bene, si presume che il rapporto sia di tipo possessorio, salvo che non si provi la detenzione.

Mutamento della detenzione in possesso

Detenzione e possesso sono parenti stretti; tanto è dimostrato anche dalla possibilità di tramutare la prima nel secondo.

Secondo l'art. 1141 del codice civile, chi detiene un bene può tramutare la propria posizione giuridica in possesso. Si tratta della cosiddetta interversione del possesso. Il mutamento della detenzione in possesso può avvenire solo:

  • per causa proveniente da un terzo, il quale, facendo credere di essere proprietario del bene, trasferisce al detentore il diritto di proprietà. Colui che era detentore, in questa ipotesi, pur non acquistando il diritto che gli è stato trasferito (in quanto sprovvisto), diventa possessore del bene;
  • per opposizione del detentore nei confronti del possessore, consistente nel rendere noto al possessore l'intenzione di tenere la cosa come propria.

    È il classico caso del conduttore che, giunto a un certo punto, manifesti al locatore l'intenzione di non pagare più il canone perché ne ha acquisito la proprietà.

A proposito del mutamento della detenzione in possesso, la Corte di Cassazione (Cass., sent. n. 17376/2018) ha ricordato che «l'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso».

Come ricordato nel precedente paragrafo, il comodato è titolo idoneo a far sorgere un rapporto di mera detenzione tra comodatario e bene. Anche in questa circostanza, secondo la Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 12080/2018), «Il comodato precario di un bene immobile costituisce detenzione, non quindi possesso "ad usucapionem", tanto in favore del comodatario quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che il comodatario che si oppone alla richiesta di risoluzione del comodato sostenendo di aver usucapito il bene non può limitarsi a provare il potere di fatto sull'immobile, ma deve dimostrare l'avvenuta interversione del possesso, cioè il compimento di attività materiali in opposizione al proprietario concedente».

Il mutamento della detenzione in possesso non può invece derivare dalla mera invalidità del titolo che giustifica la relazione tra soggetto e bene, essendo invece necessario dimostrare l'intenzione, piena e consapevole, di voler cominciare a comportarsi uti dominus: «L'invalidità, per difetto dei prescritti requisiti di forma, dell'atto o del negozio in virtù del quale è stato consegnato un bene non vale ad escludere la rilevanza di detto atto quale prova di una detenzione qualificata del bene medesimo, perciò inidonea all'acquisto della relativa proprietà per usucapione, salva la dimostrazione del suo mutamento in possesso» (Cass. civ. n. 16412/2017).

In merito all'interversione del possesso per causa proveniente da un terzo, la giurisprudenza ha chiarito che «La relazione di fatto esistente tra la "res" e colui che ne abbia conseguito la disponibilità a seguito di contratto di vendita concluso con il "falsus procurator" è configurabile in termini di possesso e non di detenzione qualificata… giacché in tal caso il negozio, benché inefficace, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene ed è, pertanto, idoneo a far ritenere sussistente, in capo all'"accipiens", l'"animus rem sibi habendi" ai fini dell'usucapione ordinaria, ma non anche per l'usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c., che è possibile solo se l'inidoneità del titolo derivi dall'avere alienante disposto di un immobile altrui e non anche dalla sua invalidità od inefficacia» (Cass., sent. n. 4945/2016).

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