La materia della locazione vede l'accesso obbligatorio immediato in mediazione.
Il procedimento conciliativo può avere radice dall'inosservanza di varie norme: gli obblighi sanciti dal codice civile, dalle norme in tema di c.d. Legge Equo canone, cioè della L. 392/1978 e successive modificazioni, ovvero da quelli previsti nelle varie clausole contrattuali.
Se la vicenda nasce dal rapporto di locazione, la procedura di mediazione è obbligatoria sin da subito (art. 5 comma 1 D. Lgs. 28.2010), sulla cui base viene sancito l'obbligo di questa procedura. Lo stesso dicasi per le norme dettate dalla L.392/1978 (Legge c.d. Equo canone).
Questo provvedimento legislativo, come è noto, disciplina specifiche fattispecie di locazione, la cui più importante distinzione è quella tra la locazione di immobile a uso abitativo e quella relativa alla sua destinazione a attività produttiva o comunque, più in generale, a un uso non abitativo.
Questa normativa specifica detta inoltre, tra le altre cose, particolari ipotesi di cessazione del rapporto.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui il locatore eserciti la disdetta del contratto di locazione dell'immobile destinato a uso abitativo senza la ricorrenza delle condizioni di cui alla lettera a) dell'art. 3, L. n. 431/1998.
Questa norma dispone che sussiste la facoltà di diniego di rinnovo del contratto allorquando il locatore intenda destinare l'immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado (lettera a, art. 3) ovvero, tra le altre fattispecie, quando il conduttore non occupa in modo continuativo l'immobile senza giustificato motivo (lettera f, art. 3).
Il locatore può affermare la sussistenza di uno di questi presupposti, senza che ve ne sia la ricorrenza, e non rinnovare il contratto. Nasce pertanto la vertenza tra locatore e conduttore, la cui possibile risoluzione deve passare per la mediazione obbligata (art. 5 comma 1 D. Lgs. 28.2010).
Contratti di locazione di beni comuni nel condominio
In ambito condominiale ciò si verifica, ad esempio, quando il condominio si qualifica in termini di locatore di un alloggio di proprietà del medesimo.
Si consideri il sottotetto condominiale. Ove abbia destinazione abitabile, esso è oggetto di comunione tra i condomini.
Poiché è incluso tra le parti condominiali (art. 1117 c.c.), costituisce bene in comproprietà della collettività condominiale, qualora non vi sia una previsione diversa sulla base del regolamento di condominio o se in concreto è dimostrabile una sua destinazione - anche solo potenziale - di semplice camera d'aria dell'alloggio sottostante, per cui da bene comune passa a pertinenza di detto alloggio.
Ove bene comune, può essere stato fatto oggetto di contratto di locazione tra il condominio e un terzo, anche condomino. Per la sua amministrazione e per la conclusione dell'accordo di locazione si applica la disciplina della comunione in generale (art. 1100 cod. civ.) sulla cui base i condomini hanno diritto di concorrere nella relativa amministrazione (art. 1105 primo comma cod. civ.) e di concedere il detto bene in locazione per renderlo fruttifero. (Cass. civ., sez. III, 29 giugno 1979, n. 3690).
Le disposizioni dettate per la comunione sono applicabili al condominio in virtù del rinvio operato dall'art. 1139 c.c. Quando non sia possibile l'uso diretto della cosa comune per tutti i condomini, proporzionalmente alla loro quota, i condomini possono deliberarne l'uso indiretto, a maggioranza, tramite atto di ordinaria amministrazione, qual è il contratto di locazione non ultranovennale (Cassazione civile, sezione II, 22 luglio 2004, n. 13763).
La norma di riferimento per la locazione condominiale è quella dettata dal terzo comma dell'art. 1109 c.c. secondo il quale: "È necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni." Se la durata del contratto non è superiore a nove anni, la sua conclusione è un atto di amministrazione ordinaria.
L'assemblea in prima convocazione può deliberare di concedere il bene comune in locazione a maggioranza ex art. 1136,
secondo comma, c.c. cioè con il voto espresso dalla maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno metà del valore dell'edificio. In seconda convocazione è sufficiente la decisione assunta con un numero di voti rappresentanti un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Ove l'amministratore del condominio abbia locato il bene condominiale anche in assenza di un preventivo mandato che lo abilitasse, deve ritenersi valida la ratifica del suddetto contratto di locazione inferiore a nove anni, disposta dall'assemblea dei condomini con deliberazione adottata a maggioranza semplice (Cass. civ. Sez. II, 21-10-1998, n. 10446).
Premesso ciò, è chiaro che qualsiasi controversia insorga tra il condominio e il conduttore deve essere affrontata dalle parti in mediazione prima di essere sollevata in sede giudiziale.
Se la riunione di condominio delibera solo di non rinnovare il contratto alla scadenza, è necessario convocare altra assemblea.
Locazione del portiere del condominio e mediazione
Al pari, deve essere presentata in mediazione la controversia che ha a oggetto la detenzione senza titolo dell'immobile condominiale da parte del portiere, una volta cessato il rapporto di lavoro che lo lega all'edificio: il godimento dell'alloggio viene concesso a titolo di parte della sua retribuzione lavorativa. L'alloggio del portiere è contemplato tra i beni del condominio dall'art. 1117 c.c. Esso è da qualificarsi quale bene comune in comproprietà tra tutti i condomini in ragione della sua destinazione a servizio dell'intero edificio (Cass. civ. Sez. II, 07-05-2010, n. 11195; App. Roma Sez. III, 20-07-2010; Trib. Salerno, 27-04-2009).
Il regolamento può disporre che certi locali siano destinati a questo servizio: può prevedere che un certo alloggio, sebbene di proprietà individuale, deve essere destinato al servizio dell'intero stabile, come unità abitativa del portiere.
Per questa clausola si suole parlare delle c.d. obbligazione propter rem, cioè dell'obbligazione che seguono il regime della cosa a cui si riferiscono: come tale, vale e è opponibile a qualunque terzo, anche in assenza di specifica trascrizione (Cass. civ. Sez. II, 25-03-2005, n. 6474).
L'istituzione del servizio di portierato - come anche la sua soppressione - si qualifica in termini di gestione straordinaria del bene, sulla cui base trova applicazione l'art. 1136, quinto comma c.c.: la deliberazione deve essere presa con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e due terzi del valore dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1988, n. 2585; App. Napoli Sez. II, 06/03/2008).
Questo principio è applicabile anche nel caso in cui il servizio sia previsto dal regolamento dell'edificio.
La giurisprudenza che si è pronunziata sulla complessa fattispecie della detenzione senza titolo di alloggio in condominio ha rilevato che essa vada risolta in mediazione.
Pur non potendosi qualificare questa fattispecie strictu sensu come locazione, bensì quale detenzione senza titolo del bene dal momento della cessazione del rapporto di lavoro, la mediazione è obbligatoria (Trib. Prato, 30 marzo 2011).
Si è affermato che anche la relativa controversia (art. 447bis cpc) per cui viene richiesto il rilascio giudiziale dell'immobile occupato senza titolo ha l'obbligo della procedura conciliativa. (Trib. Modena, 5 magigo 2011).
Il licenziamento del portiere dello stabile è di competenza dell'assemblea.
L'amministratore non può in via autonoma licenziare il portiere, se non dietro apposita decisione assembleare in caso di riscontro di gravi negligenze da parte del dipendente dell'edificio. Il mandatario, alla luce del deciso condominiale, è colui che agisce nei confronti dell'ex-portiere, che gli intima la cessazione del rapporto di dipendenza e gli chiede il rilascio dell'immobile goduto quale parte dello stipendio.
Se il dipendente non rilascia l'alloggio, si può affermare che l'amministratore ha il dovere di agire in sede giudiziale, rectius prima in sede di mediaconcilazione, qualificandosi l'istanza di mediazione - e/o la domanda in sede contenziosa - quale atto conservativo del bene in comunione ex art. 1130, n. 4, c.c.
La disdetta inviata dall'amministratore senza potere non vale nei confronti del condominio se non interviene la ratifica dell'assemblea che opera con effetto retroattivo (art. 1399 c.c.). Essa, ove intervenga, sana il motivo di invalidità di carenza di potere dell'amministratore che ha dato disdetta al contratto di locazione in assenza di apposita deliberazione assembleare.
Grazie a questo atto, la paternità della comunicazione della cessazione della locazione ritorna in capo all'assemblea di condominio, come se fosse stata rilasciata sin da subito.
La ratifica può intervenire sia dopo la scadenza del termine utile per la comunicazione della disdetta sia nel corso del giudizio di rilascio dell'immobile locato o della previa procedura di mediazione (Cass. civ. Sez. III, 30-05-1995, n. 6075: nella specie, l'amministratore del condominio locatore aveva comunicato la disdetta e iniziato il procedimento di sfratto per finita locazione senza il preventivo mandato dall'assemblea condominiale, intervenuto successivamente per ratifica nel corso della vertenza giudiziale).
È molto probabile che queste controversie possano trovare una soluzione bonaria in sede di mediazione, potendo facilmente raggiungere un accordo transattivo con eventuali reciproche concessioni, alla luce di una soluzione mediana tra le pretese economiche delle parti.
Se il condominio agisce subito in sede giudiziaria onde ottenere la liberazione dell'immobile, il giudice - ove condivida il presupposto di interpretazione analogica - rileva l'improcedibilità dell'azione d'ufficio o su eccezione di parte entro la prima udienza, ritornando la controversia davanti all'autorità giudiziaria solo una volta conclusa la mediazione con esito negativo.
Ove la questione processuale passi indenne la barriera processuale della prima udienza, il giudizio prosegue in sede ordinaria.