La deliberazione di nomina seguita dall'accettazione dell'incarico fa sorgere il contratto di mandato che lega la compagine all'amministratore. L'incarico, per espressa previsione legislativa, ha durata annuale e si rinnova automatica per un altro anno (art. 1129 c.c.).
Di fatto una sorta di contratto 1+1 come il più noto 4+4 per le locazioni. Ciò significa che al termine del periodo di gestione il mandatario decade ex lege dal proprio incarico.
La giurisprudenza ha chiarito che fino alla assemblea successiva assemblea di conferma o revoca, l'amministratore prosegue il proprio incarico nel regime così detto di prorogatio imperii (cfr. Cass. n. 1445 del 1993). L'indicazione giurisprudenziale è stata tradotta in legge ad opera della così detta riforma (cfr. art. 1129, ottavo comma, c.c.).
Si tratta di una sorta di mandato ad interim necessario a garantire la continuità amministrativa del condominio.
Ciò detto è ben possibile che il rapporto giuridico venga interrotto dal condominio prima del termine naturale.
Al riguardo è chiarissimo l'inciso iniziale dell'undicesimo comma dell'art. 1129 c.c. allorquando ricorda che la revoca del mandatario del condominio "può essere deliberata in ogni tempo dall'assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio".
Per assurdo, quindi, l'amministratore potrebbe essere revocato anche subito dopo la nomina. È sufficiente farne richiesta nei modi e nei termini di cui all'art. 66 disp. att. c.c. e successivamente deliberarne la revoca con le maggioranze previste dalla legge (art. 1136 c.c.).In questo contesto il riferimento alle modalità regolamentari dev'essere inteso come individuazione di specifiche modalità attinenti al procedimento di convocazione ma non ai quorum o alla possibilità stessa di revocare in ogni tempo il mandatario in quanto l'art. 1129 c.c. è tra quelli assolutamente inderogabili ai sensi dell'art. 1138 c.c..
Rebus sic stantibus, ci si è domandati: la revoca assembleare, il cui effetto sostanziale è quello del recesso anticipato dal contratto, è esercitabile ad nutum o, comunque, dev'essere giustificata per evitare una richiesta di risarcimento del danno? S'è detto che tale rapporto contrattuale è disciplinato dagli artt. 1129-1130 c.c. e dalle norme sul mandato Ebbene, il codice civile parla chiaramente:
La revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell'affare, salvo che ricorra una giusta causa (art. 1725, primo comma, c.c.).
In sostanza se è vero che l'assemblea può revocare l'amministratore in qualsiasi momento, è altrettanto vero che la mancanza di una giusta causa alla base deliberazione de quo consente all'amministratore revocato di agire per ottenere il risarcimento del danno.
Questa impostazione ha trovato riscontro in seno alla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Era il 2004 quando è stato affermato che "se la revoca interviene prima della scadenza dell'incarico, l'amministratore avrà diritto alla tutela risarcitoria, esclusa solo in presenza di una giusta causa a fondamento della revoca (art. 1725, co. 1°, cod. civ.).
E deve ritenersi che le tre ipotesi di revoca giudiziale previste dall'art. 1129, co. 3°, cod. civ. configurino altrettante ipotesi di giusta causa per la risoluzione ante tempus del rapporto" (così Cass. SS.UU. 29 ottobre 2004 n. 20957).
Sulla stessa lunghezza d'onda s'è espressa, in passato, autorevole dottrina (Branca, 1982). In sostanza una lettura coordinata di due norme, ossia gli artt. 1129, undicesimo comma, c.c. e 1725, primo comma, c.c., consente di affermare che l'amministratore, che sia retribuito per l'opera svolta, può ottenere il risarcimento del danno per inadempimento.
È bene ricordare che "sulla base della tradizione manualistica costituisce principio reiterato che l'art. 1218 c.c. stabilisce a favore del creditore un'inversione dell'onus probandi, sostanzialmente basata su una presunzione di colpa in capo al debitore inadempiente" (Cendon, 2008, 466 e conf. Cass. SS.UU. 30 ottobre 2001 n. 13533).
In sostanza aderendo a questa impostazione che presenta un chiaro favor per l'amministratore revocato, quest'ultimo, nei fatti, avrà il diritto a non essere revocato senza giusta causa o, qualora ciò accadesse, avrebbe la possibilità di ottenere il risarcimento del danno corrispondente quanto meno alla mancata percezione della retribuzione fino alla cessazione naturale dell'incarico.
Per fare ciò gli basterebbe dimostrare d'essere l'amministratore e di essere stato revocato anticipatamente affermando la mancanza di una giusta causa e quantificando il danno.
Spetterebbe al condominio fornire prova della presenza di una giusta causa rintracciabile anche tra quelle elencate dall'art. 1129, terzo comma, c.c.
Se ne converrà che se dimostrare l'omessa presentazione del bilancio per due anni consecutivi non è cosa difficile, farlo con riferimento ai "fondati sospetti di gravi irregolarità" di cui parla la norma testé citata è cosa tutt'altro che agevole.
È bene tenere presente che parte della dottrina non è d'accordo con questa impostazione. In particolare è stato detto che "il terzo comma dello stesso articolo (vale a dire l'art. 1129 c.c., con la normativa attuale il riferimento corretto sarebbe l'undicesimo comma n.d.A.), allorché conferisce all'autorità giudiziaria, su istanza di ciascun condominio, il potere di revoca dell'amministratore, specifica i casi nei quali codesto potere può essere esercitato, contrapponendo, quindi, tale ipotesi a quella disciplinata nel comma precedente, in cui come si è detto nessun limite è posto dalla legge.
Se dunque non vi sono condizioni cui è subordinata la legittimità della revoca, non è ipotizzabile un risarcimento del danno, che nella specie conseguirebbe ad un comportamento legittimo, essendo evidente che una responsabilità per comportamento legittimo, in tanto può essere ipotizzata, in quanto sia espressamente prevista dalla legge" (Terzago, 1985, 308).
V'è di più: se è vero com'è vero che le norme sul mandato si applicano al rapporto amministratore-condominio in quanto compatibili, si potrebbe affermare che l'art. 1725 c.c. è incompatibile con l'art. 1129 c.c. in quanto quest'ultimo prevede un'ipotesi di revoca ad nutum del mandatario. Non si rintracciano sentenze a sostegno di questa impostazione.
La revoca giudiziale, il risarcimento del danno e l'impossibilità di contrattare.
Il codice civile parla chiaro: l'amministratore ai sensi dell'art. 1129, undicesimo comma, c.c. può essere revocato dall'Autorità Giudiziaria su ricorso anche di uno solo condomino e senza preventiva richiesta all'assemblea se, alternativamente o cumulativamente:
- non ha presentato il rendiconto di gestione;
- vi siano gravi irregolarità nella gestione (il dodicesimo comma dell'art. 1129 c.c. fornisce un'elencazione esemplificativa del concetto di grave irregolarità);
- non ha comunicato all'assemblea la notifica di citazioni in giudizio o atti amministrativi esorbitanti dalle sue funzioni;
- non ha aperto ed usato il conto corrente condominiale o ha commesso gravi irregolarità fiscali ma in questo caso solamente dopo un tentativo di revoca assembleare.
Il procedimento di revoca dell'amministratore di condominio ha natura di volontaria giurisdizione (cfr. ex multis, Cass. SS.UU. 29 ottobre 2004 n. 20957).
Considerato ciò, pertanto, il condomino che intenda attivarsi per ottenere l'estromissione del mandatario dalla gestione della compagine e l'eventuale risarcimento del danno subito a causa di una delle irregolarità che legittimano l'azione in esame, dovrà agire su due distinti piani: in primis rivolgersi con un ricorso all'Autorità Giudiziaria ottenere la revoca (resta salva l'ipotesi di preventivo tentativo assembleare, nei casi di cui alla lettera d).
In secondo luogo, anche in relazione all'esito di quel procedimento, agire in sede contenziosa ordinaria per ottenere l'accertamento dell'inadempimento ed il risarcimento del danno occorso.
L'amministratore che viene revocato dall'Autorità Giudiziaria, infine, non può essere nuovamente nominato dall'assemblea.
Rinuncia dell'amministratore: diritti e doveri nella gestione condominiale
Il mandato ad amministrare un condominio si estingue per decorso naturale del termine, per la revoca anticipata assembleare o giudiziale ma anche per rinuncia all'incarico da parte del mandatario. D'altra parte se l'assemblea può liquidare l'amministratore, perché non dovrebbe essere possibile il contrario?
La questione, come per la revoca anticipata, sta negli effetti della rinuncia. In pratica si può sostenere che rinunciare all'incarico sia atto esercitabile ad libitum oppure dall'atto arbitrario del mandatario può discendere una sua responsabilità contrattuale verso la compagine amministrata? La risposta, stando alla chiara lettera della legge, non differisce da quella fornita per la revoca anticipata ed ingiustificata: ai sensi della prima parte del primo comma dell'art. 1727 c.c., dettato per il mandato a tempo determinato, infatti, "il mandatario che rinunzia senza giusta causa al mandato deve risarcire i danni al mandante".
In ogni caso, questa la conclusione contenuta nel secondo comma del medesimo articolo, "la rinunzia deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso d'impedimento grave da parte del mandatario".
L'amministratore, salvo gravi impedimenti, potrà recedere dal contratto di mandato stipulato per la gestione del condominio solamente con modalità tali da non recar danno alla compagine. In tema di onus probandi, vale quanto detto per la revoca senza giusta causa. Una differenza, però, c'è ed è sostanziale.
Mentre l'assemblea può decidere di sollevare dall'incarico l'amministratore e in breve tempo passare la gestione ad altra persona (salvo difficoltà nel passaggio della documentazione, nel qual caso l'amministratore uscente sarà tenuto al risarcimento del danno), l'amministratore, pur dimettendosi, deve garantire la continuità nella gestione in virtù del così detto principio della prorogatio imperii.
In sostanza eccezion fatta per quelle situazioni in cui alla comunicazione della rinuncia all'incarico segue un vero e proprio disinteresse per la gestione della compagine, il condominio, nei fatti, ha sicuramente una maggiore tutela del proprio mandatario.
L'amministratore dimissionario, nelle ipotesi di obbligatorietà della nomina, ha comunque il potere di agire in giudizio per ottenere la nomina giudiziale del suo successore se l'assemblea non dovesse provvedere (art. 1129, primo comma, c.c.).