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I rapporti tra amministratore e condomini: parti comuni e private

Art. 1122 codice civile.Rapporti tra amministratore e condomini e rilevanza in ordine alla disciplina delle opere nelle parti comuni o esclusive.
Avv. Guerino De Santis 

Quando si parla dei rapporti tra Amministratore e Condomini la mente corre inesorabilmente alla fattispecie di cui all'art. 1122 Codice Civile per la sua rilevanza in ordine alla disciplina delle opere nelle parti comuni o esclusive così come novellata dalla Legge di riforma del Condominio (220/2012).

Ed allora vediamo cosa dispone nello specifico tale norma:" Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea."

Le modifiche intervenute rispetto alla versione ante riforma hanno riguardato:

  • i luoghi cui si applica la norma: l'unità immobiliare di proprietà esclusiva del condomino ovvero le parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale;
  • il tipo di pregiudizio che le opere possono determinare, con l'aggiunta del pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

La ratio della norma è quella di "regolamentare" l'uso dell'unità immobiliare da parte del singolo condomino, o delle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, laddove possano generare conflitti con gli interessi degli altri condomini o del condominio; ciò si verifica, per esempio, nel caso in cui il titolare di un appartamento effettui al suo interno interventi di varia natura.

L'art. 1122 c.c. e relativa disamina. L'articolo 1122 c.c., così come novellato dalla legge n. 220/2012 estende al condomino il divieto di eseguire opere - sulle unità immobiliari di proprietà privata nonché su parti normalmente destinate all'uso comune, che gli siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale - che rechino danno alle parti comuni o determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro dell'edificio.

Dal 18 giugno 2013 (entrata in vigore della L. n. 220/2012), la disciplina delle opere eseguite dal condomino sulla porzione comune di cui ha l'uso esclusivo o la proprietà sono regolate dall'art. 1122 c.c.; la disciplina delle opere sulle porzioni comuni fatte dal condomino non avente l'uso esclusivo continua, invece, ad essere quella dell'art. 1102 c.c.

I limiti che l'art. 1102 indica come invalicabili nell'uso dei beni comuni, sono il rispetto della destinazione del bene, del pari uso degli altri condomini e, per giurisprudenza costante, i limiti previsti per le innovazioni ex art. 1120 ultimo comma c.c.: nello specifico, gli interventi non devono recare pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico dell'edificio: limiti che coincidono, ora, con quelli contenuti nell'attuale art. 1122 cit.

Nell'articolo novellato è previsto l'obbligo, per il condomino che esegue l'opera, di informare l'amministratore che ne riferisce all'assemblea.

E' ragionevole ritenere che il condomino, per eseguire l'intervento, non debba attendere che l'amministratore abbia già convocato l'assemblea, dal momento che il tenore della legge è quello di dare preventiva notizia all'amministratore, non finalizzato ad ottenere l'autorizzazione (salvo diversamente disposto dal regolamento contrattuale) ma ad instaurare un iter procedurale che possa permettere all'assemblea di intervenire qualora siano violati i limiti di cui all'art. 1122 e richiedere il ripristino della situazione quo ante.

La sola violazione dell'iter procedurale, in presenza di un'opera legittima, porterebbe, invece, ad un eventuale risarcimento dei danni qualora ne sussistano i presupposti.

Secondo un orientamento giurisprudenziale in tema di "regolamento condominiale di natura contrattuale e di violazione degli obblighi regolamentari" il condomino che esegue opere di ristrutturazione della propria unità immobiliare, non vietate e comunque legittime, senza la preventiva autorizzazione dell'amministratore, così come specificato dal regolamento condominiale, viola una norma di natura procedimentale, con la conseguenza che il condominio (o il singolo condomino) può chiedere solamente il risarcimento del danno subito per la violazione del regolamento e non anche la rimessione in pristino dello stato dei luoghi (Cass. sent. n. 22596/2010).

Non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 1122 c.c., le opere sui beni di proprietà privata che recano danno ad altre proprietà private (rapporti di buon vicinato), mentre sono incluse quelle opere che, attraverso l'utilizzazione delle cose comuni, danneggiano le parti di una unità immobiliare di proprietà esclusiva di un altro condomino (Cass. sent. n. 15186/2011).

Opere sulle unità immobiliari di proprietà privata. I beni di proprietà privata sono, ovviamente, le unità immobiliari (abitazioni, box, posti auto, cantine) ma anche le finestre, le persiane, le avvolgibili, le saracinesche, le inferriate delle finestre, le ringhiere e i parapetti dei lastrici solari e delle terrazze a livello di proprietà esclusiva, il balcone e le strutture portanti aggettanti (ad eccezione dei rilievi e dei decori), le antenne individuali, il sottotetto non destinato all'uso comune, ecc.

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Gli interventi su tali parti sono regolate anche dalle altre norme codicistiche in tema di rapporti di buon vicinato o di immissioni moleste, ecc., che esulano dalla disciplina dell'art. 1122 c.c.

I limiti posti agli interventi sulle parti private disposti dall'art. 1122 cit. non hanno nulla a che fare con le limitazioni o i divieti all'uso del bene privato contenuti nel regolamento di condominio di natura contrattuale, nel qual caso le opere sono vietate ipso iure, mentre nel tenore dell'articolo citato sono vietate solo se recano danno alle parti comuni ovvero se determinano pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico.

Cosi è considerata legittima la trasformazione di un posto auto aperto in un box auto chiuso; ma se ciò fosse vietato dal regolamento condominiale, l'opera sarebbe vietata anche se non viola la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico dell'edificio.

La tutela può essere invocata anche contro opere che elidono o riducono, apprezzabilmente, una qualsiasi delle utilità dal bene ritraibili, ivi comprese quelle dell'ordine estetico ed edonistico.

In tal caso, ha chiarito la Cassazione, "l'accertamento della violazione di tali limiti e dei danni conseguentemente prodotti, è sottoposto al sindacato del giudice di merito che deve verificare e valutare se, nei fatti, la violazione di un limite o di un divieto possa cagionare o meno un danno a terzi" (Sent. n. 12491/2007).

Nella sentenza citata la S.C. ha confermato il rigetto della domanda di riduzione in pristino presentata dal condominio, non essendo emersa dall'istruttoria la prova dl un'apprezzabile limitazione all'ingresso di luce ed aria da una finestra posta tra il vano scala e il balcone di proprietà esclusiva, per effetto della sua trasformazione in veranda.

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Il titolare del diritto di sopraelevazione (l'art. 1127 c.c.) - inteso, quest'ultimo, come un diritto potestativo riconosciuto al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare non sottoposto ad approvazione assembleare - nell'esercizio del suo diritto, deve rispettare i limiti della statica e dell'aspetto architettonico dell'edificio ed, ora, deve informare l'amministratore sia perché deve riferire all'assemblea sia perché dovrà aggiornare il registro di anagrafe condominiale (art. 1130, n. 6 c.c.).

Costituisce alterazione del decoro architettonico dell'edificio, ossia lesione dell'estetica dello stabile, la trasformazione di un balcone, o di una terrazza, in una veranda praticata tramite l'installazione di vetri e di una struttura in alluminio in quanto una simile operazione altera, ossia peggiora, la sagoma dello stabile sicché, per considerarla legittima, è necessario dimostrare la mancanza di alterazione del decoro dell'edificio (Cass. n. 27224/2013).

Sono considerate vietate, ai sensi dell'art. 1122 c.c., perché ritenute illegittime, le tettoie, che - pur essendo state realizzate nella proprietà esclusiva del condomino - comportavano un danno estetico alla facciata dell'edificio condominiale (Cass. n. 2743/2005), così come la costruzione di una veranda sul terrazzo privato (Cass. n. 2109/2015).

Non si possono escludere dal novero degli interventi vietati quelli che mirano ad impedire o ad ostacolare l'uso di beni comuni ai condomini come il caso del vano ascensore che insiste su un lastrico solare di proprietà esclusiva di un condomino con accesso dall'interno dall'abitazione di quest'ultimo.

In tal caso non si può impedire l'accesso e, quindi, l'esercizio della servitù di passaggio ogni qual volta sia necessario ispezionare il vano ascensore.

Interventi su parti private, disciplinati espressamente dall'art. 1122 bis introdotto dalla legge di riforma n. 220/2012 c.c., sono: l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio individuale su parti di proprietà individuale dell'interessato nonché di impianti di ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, da realizzarsi in modo da arrecare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle altre proprietà individuali preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche.

Opere su parti normalmente destinate all'uso comune, attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale. Beni destinati all'uso comune attribuiti in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale sono quelle strutture o quegli impianti che, pur rientrando nell'elencazione dell'art. 1117 c.c., di fatto, "abbiano una specifica destinazione a servizio di un appartamento in proprietà esclusiva" (Cass. sent. n. 4987/1986).

La giurisprudenza ha configurato come "condominio parziale ex lege" tutte le volte in cui un bene risulti, per le caratteristiche, destinato al servizio e/o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell'edificio condominiale, parte oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno l'operatività del principio di presunzione di bene comune richiamato dall'art. 1117 cit.

Si pensi ad una tubazione di scarico utilizzata da una sola unità immobiliare o ad una canna fumaria di uso esclusivo ricavata nel vuoto di un muro condominiale o sulla facciata dello stabile, oppure al lastrico solare di proprietà condominiale sul quale venisse esercitato il diritto di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. dal condomino proprietario dell'ultimo piano.

In tali casi, pur essendo i beni normalmente destinati all'uso comune sono attribuiti in proprietà esclusiva, per cui gli interventi sugli stessi non devono consistere in opere che danneggino le parti comuni ovvero determino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

Se si intende installare un ascensore di uso esclusivo ad un solo condomino ex art. 1102 c.c. o ex legge n. 13/1989 (in presenza di disabile) l'installazione non deve nuocere, oltre che all'uso delle scale da parte degli altri condomini (v. Cass. n. 16846/2015 la quale, però, richiamandosi al principio di solidarietà condominiale, ha ritenuto legittima l'installazione dell'ascensore per eliminare le barriere architettoniche, deliberate dall'assemblea ex legge 13/1989, anche se la sua realizzazione aveva comportato il taglio del vano - scale e la conseguente riduzione della larghezza della scala condominiale), alla stabilità del fabbricato ne al decoro architettonico, qualora venisse installato all'esterno dell'edificio.

Qualora, invece, l'uso esclusivo dei beni condominiali (es.: lastrico solare, scala, sottoscala, ecc.) sia riservato ad alcuni proprietari non vuol dire "proprietà esclusiva" né poterne acquisire la proprietà.

Questi principi sono stati per la prima volta affermati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13200/1999, la quale ha dovuto risolvere il problema dell'individuazione della natura del vano scala concesso, dal condominio, in uso esclusivo al proprietario della terrazza (che se lo era accorpato), risolta nel senso che "l'uso esclusivo del sottoscala" non vuol dire proprietà esclusiva, sicché il condominio mantiene pur sempre il titolo a utilizzare il bene comune per finalità collettive, quali la riparazione del lastrico esclusivo.

Il diritto di uso esclusivo, in deroga all'articolo 1102 del Codice civile, costituisce una mera modalità particolare (esclusiva) di godimento di un bene comune non suscettibile di usucapione per uso protratto nel tempo.

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