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Il singolo condomino deve essere molto cauto ad eseguire opere nell'interesse di tutti

La legge non vede con favore che il singolo interferisca nell'amministrazione del caseggiato.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

In ambito immobiliare si parla di comunione quando due o più persone sono proprietarie dell'intero stabile in ragione della loro quota, mentre un edificio si dirà in condominio quando più persone sono proprietarie individualmente di singoli appartamenti e di conseguenza comproprietari delle parti comuni.

Nel condominio i beni comuni rappresentano utilità strumentale al godimento dei beni individuali, con la conseguenza che la legge regolamenta con maggiore rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione.

A tale proposito si ricorda che l'art. 1134 c.c., la cui attuale rubrica è "Gestione di iniziativa individuale", contempla l'ipotesi in cui un condomino anticipi delle somme di danaro per curare la manutenzione di parti comuni e precisa le condizioni affinché questi possa ottenerne il rimborso, stabilendo che la manutenzione delle parti comuni, da parte del singolo condomino, senza la preventiva autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea importa la perdita del diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.

Sull'argomento merita di essere segnalata una recente decisione della Cassazione (ordinanza 23 ottobre 2023 n. 29336).

Il singolo condomino ed esecuzione delle opere nell'interesse di tutti. Fatto e decisione

Una società condomina, con decreto ingiuntivo, mirava ad ottenere da altra condomina il rimborso pro quota delle spese di riparazione (che riteneva urgenti ed indifferibili), consistenti nel consolidamento statico e nella copertura delle facciate.

L'ingiunta si opponeva al decreto, sostenendo che la società non aveva convocato, prima di iniziare i lavori, l'assemblea del condominio, né aveva avvisato gli altri comproprietari.

Inoltre affermava che non erano state dimostrate l'indifferibilità e l'urgenza dei lavori, né si sapeva se i lavori fossero stati eseguiti direttamente dalla ingiungente o da altri (e, comunque, evidenziava che non era stato possibile, mancando la convocazione dell'assemblea, acquisire più preventivi).

In ogni caso concludeva facendo presente che, oltre al consolidamento ed al restauro, erano state compiute delle innovazioni, anche gravose, come si evinceva dal rilevante ammontare complessivo della spesa.

Il Giudice di Pace respingeva l'opposizione. Successivamente il Tribunale, quale giudice di rinvio adito a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 10273 del 2014 (che aveva accolto il ricorso della condomina avverso la sentenza del medesimo Tribunale con cui era stato dichiarato inammissibile l'appello per un vizio di notifica), rigettava l'appello dell'ingiunta contro la sentenza resa dal Giudice di Pace. Il giudice del rinvio, in primo luogo, sosteneva che le opere erano state effettivamente realizzate, atteso che due censure della debitrice implicavano l'ammissione dell'avvenuto compimento dei lavori.

Quanto al dato se le opere fossero o meno urgenti, il Tribunale richiamava un passaggio di una delibera assembleare (del 9 settembre 1982), menzionata nella sentenza del Giudice di Pace, con cui si dava incarico ad un tecnico di redigere un progetto, in effetti poi redatto.

Il giudice del rinvio sottolineava che nel progetto e in una successiva relazione veniva confermato il grave dissesto del caseggiato.

Il Tribunale richiamava poi la relazione redatta da altro incaricato della progettazione e della direzione dei lavori, che aveva sottolineato come le opere dovessero intendersi necessarie ad ovviare ai danni cagionati dall'evento tellurico al fabbricato.

Del resto, per lo stesso Tribunale, il fatto poi che fosse trascorso altro tempo da quando era sorta la necessità dei lavori non metteva in dubbio la sussistenza dell'urgenza.

Il giudice del rinvio evidenziava infine che le contestazioni della debitrice sulla urgenza dei lavori e sugli importi della spesa occorrente erano generiche.

La soccombente ricorreva in cassazione facendo presente che la presunta delibera di approvazione dei lavori risaliva al 1982, mentre la relazione del tecnico era del 1988, ed i lavori erano poi stati eseguiti tra il 1999 ed il 2000. In ogni caso metteva in rilievo che la società non aveva specificato per quale ragione non avesse avvertito l'amministratore o promosso la convocazione di un'assemblea condominiale. La Cassazione ha dato ragione alla ricorrente.

Secondo i giudici supremi il Tribunale non ha considerato che, ai fini dell'applicabilità dell'art 1134 c.c., alla società (la quale aveva dedotto di aver fatto spese per le cose comuni, senza dimostrare di aver avuto l'autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea) poteva accordarsi il diritto al rimborso nei confronti della condomina, solo se avesse dimostrato di aver sostenuto i costi dei lavori di consolidamento statico e di copertura delle facciate del fabbricato condominiale, in quanto le condizioni le impedivano di avvertire tempestivamente l'amministratore o gli altri condomini (e non già per sopperire alla prolungata inerzia degli stessi). In altre parole la società condomina non ha provato l'urgenza della spesa.

Considerazioni conclusive

Il singolo condomino ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la gestione della cosa comune nell'interesse degli altri proprietari senza autorizzazione degli organi condominiali, solo qualora, ai sensi dell'art. 1134 c.c., dette spese siano urgenti. In particolare secondo l'articolo 1134, c.c., nella versione modificata dall'articolo 13 della legge 11 dicembre 2012, n. 220, il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.

L'urgenza deve essere commisurata alla necessità di evitare che una parte condominiale arrechi ai condomini o a terzi un danno ragionevolmente imminente, ovvero alla necessità di restituire alla cosa comune la sua piena ed effettiva funzionalità (Cass. civ., sez. II, 23/09/2016, n. 18759).

L'intervento sostitutivo del singolo condomino è ammesso nei casi in cui, in presenza di un'esigenza che richiede un urgente intervento, non dilazionabile nel tempo, non appaia ragionevolmente prevedibile investire dell'attività l'amministratore o gli altri condomini, senza porre in concreto pericolo il bene condominiale (Cass. civ., sez. II, 06/10/2023, n. 27106).

Per contro, ove il condominio versi in una situazione di stasi patologica, cioè in una inerzia operativa stabilizzata, non è consentito al singolo condomino sostituirsi, salvo i suddetti casi urgenti, agli organi condominiali in via generalizzata (Cass. civ., sez. II, 30/10/2017, n. 25729).

Sentenza
Scarica Cass. 23 ottobre 2023 n. 29336
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