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L'edificio crolla: quali le conseguenze per il condominio

Terremoti ed alluvioni potrebbero dare il via a contenziosi nel momento in cui, a fronte di crolli di edifici condominiali, non tutti fossero concordi nella ricostruzione quando il perimento è parziale.
Avv. Adriana Nicoletti 

Secondo i dati della Protezione civile il numero dei crolli, totali o parziali, degli edifici uni e plurifamiliari in Italia è un prezzo molto pesante che viene pagato a causa di eventi sismici;¸di inondazioni; del rischio idrogeologico, presente su tutto il nostro territorio; del mancato rispetto delle norme tecniche di costruzione; dell'uso non conforme di materiali edilizi; dell'affidamento dei lavori ad imprese non qualificate nonché di interventi eseguiti dai privati in modo indiscriminato e spesso scellerato.

Questo dato di fatto, che ha un impatto notevole in termini non solo di possibile perdita di vite umane, ma anche di conseguenze che lasciano le famiglie prive di abitazioni, ha ripercussioni anche sul piano civilistico, con particolare riferimento al "dopo", dal momento che nel caso in cui un edificio crolli determina il suo "perimento" che, quanto agli stabili condominiali, è disciplinato dall'art. 1128 c.c.

Nozione ed effetti del perimento

Il tema non ha generato un volume giurisprudenziale di rilevanza, dal momento che eventi di tale portata erano e sono quasi sempre collegati a situazioni estreme.

Il concetto di perimento dell'opera, limitatamente ai lavori affidati in appalto, lo ritroviamo nell'art. 1673 c.c., secondo il quale "se, per causa non imputabile ad alcuna delle parti, l'opera perisce o è deteriorata prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora a verificarla, il perimento o deterioramento è a carico dell'appaltatore, qualora questi abbia fornito la materia". Ove, invece, "la materia sia stata fornita, in tutto o in parte dal committente, il perimento o il deterioramento dell'opera è a suo carico per quanto riguarda la materia da lui fornita, e per il resto è a carico dell'appaltatore".

Il contenuto della norma individua un preciso campo di applicazione che si potrebbe estendere, in alcuni casi, anche ai lavori eseguiti negli edifici condominiali se presentino le caratteristiche ivi indicate. Non sono, infatti, mancati casi in cui nel corso dei lavori siano verificati crolli della struttura e la disposizione richiamata - che, ribadiamo, è inserita nel preciso ambito legislativo che disciplina il rapporto appaltatore-committente - si potrebbe coordinare con quelle che sono le conseguenze in ambito condominiale.

Detto questo, risalente giurisprudenza (Cass. 28 giugno 1980, n. 4102) affermava che "agli effetti dell'art 1128 c. c. per perimento dell'edificio condominiale deve intendersi il materiale venir meno del bene, determinato da fatti o avvenimenti accidentali, cui sia rimasta estranea la volontà dei condomini: ne consegue che la disciplina contenuta nella norma suddetta non può trovare applicazione, di regola, nell'ipotesi di demolizione dell'edificio a scopo di ricostruzione, salvo il caso che le demolizioni si siano rese necessarie per evitare crolli conseguenti alla vetustà dell'edificio, che avrebbero potuto cagionare danni a persone o cose. In tale ipotesi, infatti, il perimento dell'edificio si verifica a seguito di rovina per vetustà di entità tale da rendere necessaria la demolizione delle parti pericolanti e deve trovare disciplina nel citato art 1128 c.c.".

In questo senso le ipotesi tipiche sono date da eventi quali vetustà, terremoti, alluvioni, incendio, scoppio ecc.

L'effetto dell'evento crollo è, invece, costituito dall'estinzione del condominio per mancanza dell'oggetto, in quanto viene meno il rapporto di servizio tra le parti comuni, mentre permane tra gli ex condomini soltanto una comunione "pro indiviso" dell'area di risulta, potendo la condominialità essere ripristinata solo in caso di ricostruzione dell'edificio in modo del tutto conforme al precedente.

Ne consegue che, in caso di ricostruzione difforme, la nuova opera sarà soggetta esclusivamente alla disciplina dell'accessione e la sua proprietà apparterrà ai comproprietari dell'area di risulta in proporzione delle rispettive quote, ripristinandosi il condominio solo allorché i comunisti individuino gli appartamenti di proprietà esclusiva di ciascuno di essi, con un'operazione negoziale che assume la portata di una vera e propria divisione. In buona sostanza si intende che la materiale esistenza dell'edificio viene meno.

Sono, pertanto, esclusi dall'ambito di applicazione della norma in questione le distruzioni che siano state determinate da fatti dolosi o colposi ovvero specifiche fattispecie individuate dalla giurisprudenza in demolizioni conseguenti all'esecuzione di provvedimenti amministrativi (ad esempio nel caso in cui l'edificio si privo di concessione) oppure quando l'immobile debba essere abbattuto in seguito ad ordine di espropriazione per pubblica utilità (Cass. 19 settembre 1968, n. 2964).

Perimento totale dello stabile

Agli effetti dell'art. 1128, co. 1, c.c. il perimento totale si profila quando l'edificio crolla nella sua interezza o per una parte che rappresenti i tra quarti del suo valore con l'effetto che, venendo a mancare la comunione pro indiviso delle parti comuni tra tutti i condomini dell'immobile distrutto, la comunione resta per l'area sulla quale l'edificio era stato edificato.

Come fare ad individuare la porzione di edificio che ricade nella previsione dell'articolo citato?

Mancando sostanzialmente giurisprudenza sul punto, non si può che procedere secondo due criteri logici individuati dalla dottrina che sostanzialmente sono a parti invertite. Il primo riguarda il rapporto tra il valore dell'edificio perito e quello della porzione superstite.

Il secondo, si basa su di un analogo rapporto fra il valore attuale dell'edificio e quello che esso aveva prima della distruzione (Celeste, Il condominio, 2022, 1060).

Va da sé che dal calcolo deve essere escluso il valore del suolo che resta in comunione tra gli ex condomini dello stabile.

Le soluzioni previste nell'ipotesi di realizzazione delle condizioni di cui al primo comma dell'art. 1128 c.c. sono due: la richiesta, da parte di ciascun condomino, di vendita all'asta del suolo e dei materiali oppure una diversa decisione che regolamenti in modo specifico la fase successiva al crollo.

Dal momento che la norma parla di "diversa convenzione" appare evidente che solo con il consenso unanime dei condomini si possa raggiungere un accordo differente.

Accordo che può riguardare la ricostruzione dell'edificio, che andrebbe a ripristinare il previgente stato di condominialità, ma a condizione che lo stabile sia ricostruito in modo conforme al precedente.

Sul punto, infatti, la Corte ha affermato che "in caso di ricostruzione difforme, la nuova costruzione sarà soggetta esclusivamente alla disciplina dell'accessione e la sua proprietà apparterrà ai comproprietari dell'area di risulta in proporzione delle rispettive quote" (Cass. 20 maggio 2008, n. 12775).

La stessa Corte, tuttavia, ha successivamente ritenuto, in base ad una interpretazione estensiva dell'art. 1128 c.c. che nella fattispecie "in ipotesi di perimento totale o parziale dell'edificio in condominio, anche inferiore ai tre quarti del suo valore, ciascun condòmino ha il potere di ricostruire le parti comuni del fabbricato, che siano andate distrutte e che siano indispensabili per ripristinare l'esistenza e il godimento del bene di dominio individuale, nell'esercizio non di un diritto di superficie, ma di facoltà inerenti alla proprietà esclusiva ed a quella condominiale, in quanto tali non suscettibili di prescrizione per non uso (Cass. 14 settembre 2012, n. 15482).

Crollo di una costruzione: chi è il responsabile penale?

Perimento parziale dell'edificio

Se l'immobile perisce per una parte inferiore ai tre quarti del valore dell'edificio la ricostruzione delle parti comuni è rimessa alla volontà assembleare, che delibera secondo il disposto dell'art. 1136, co. 4, c.c. ovvero con la maggioranza di cui al secondo comma dello stesso articolo.

In questo caso ci troviamo di fronte ad una classica deliberazione, che è immediatamente esecutiva nei confronti di tutti i condomini, i quali sono tenuti a partecipare alle relative spese in proporzione ai diritti di ciascuno.

I poteri dell'assemblea sono stati testualmente circoscritti alla riedificazione delle parti comuni l'assemblea, ovvero con riferimento alle norme sostanziali di cui agli artt. 1124 e 1125 c.c. Piena, inoltre, la discrezionalità dell'assemblea con riferimento alle modalità di ricostruzione che, naturalmente, non potrà non tener conto delle nuove tecniche costruttive, pur mantenendo il nuovo edificio sostanzialmente nell'ambito dei criteri precedenti.

La questione apre un problema di non poca rilevanza che concerne il mancato raggiungimento della maggioranza prevista dall'art. 1128, co. 2, c.c. Secondo risalente giurisprudenza (Cass. 25 ottobre 1980, n. 5762) sussisterebbe in capo a ciascun condomino il "potere di ricostruire le parti comuni del fabbricato, che siano andate distrutte e che siano indispensabili per ripristinare l'esistenza e il godimento del bene di dominio individuale, nell'esercizio non di un diritto di superficie, ma di facoltà inerenti alla proprietà esclusiva ed a quella condominiale, in quanto tali non suscettibili di prescrizione per non uso". Mentre lo stesso condomino sarebbe privato dello strumento di tutela previsto dall'art. 1105, co. 4, c.c. concernente il ricorso all'autorità giudiziaria in Sede di volontaria giurisdizione, trattandosi di controversia sull'esistenza e sulla estensione di diritti soggettivi - necessariamente coinvolti dal contrasto in ordine alla ricostruzione delle parti comuni - la quale deve essere decisa in sede contenziosa.

La norma, infine, ha tenuto in considerazione anche la posizione del condomino che non intende partecipare alla ricostruzione (tanto nel caso di perimento totale, quanto parziale), ammettendo per lo stesso la possibilità di uscire dalla compagine tramite la cessione dei propri diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, agli altri condomini, secondo una stima rimessa ad un consulente tecnico.

Diritto che può essere esercitato anche in favore solo di alcuni condomini (Cass. 30 ottobre 2006, n. 23333).

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