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Per la divisione di beni comuni serve anche il consenso unanime dei condomini

Con la nuova versione dell'art. 1119 c.c. introdotto un nuovo presupposto per superare l'indivisibilità del bene comune.
Avv. Adriana Nicoletti 

La Corte di cassazione con ordinanza n. 4817 in data 23 febbraio 2024, ha ricostruito, con attenta analisi, l'iter parlamentare che ha portato il legislatore a modificare l'art. 1119 c.c. concernente l'indivisibilità delle parti comuni.

La Corte, a conclusione del suo percorso, che abbraccia le varie stesure della norma fino alla sua definitiva stesura inserita nella legge n. 220 del 2012, ha dato una interpretazione della disposizione che, pur rimanendo inalterata nella sua sostanza ha, tuttavia, introdotto un'ultima locuzione che ne determina una tipicità rispetto alla precedente versione.

Fatto e decisione

Questi, in sintesi, i fatti di causa. In un "condominio minimo", in quanto formato da due soli soggetti, dei quali un nudo proprietario, uno di essi chiedeva in giudizio che venisse sciolta la comunione del piano seminterrato del fabbricato (nel quale, tra l'altro, si trovava l'abitazione del custode), previo accertamento della comoda divisibilità del bene.

Il Tribunale accoglieva la domanda ma, pur ritenendo che la porzione non fosse comodamente divisibile, la assegnava agli aventi causa dell'attrice per acquisto della proprietà, dietro pagamento di un determinato importo.

La sentenza veniva confermata in grado di appello a causa dell'indivisibilità del bene in quote fra i comproprietari che, se attuata, avrebbe determinato la perdita dell'originaria destinazione di alloggio del custode senza possibilità di futuro ripristino. Tale circostanza - ad avviso del giudicante - non poteva che determinare l'attribuzione dello stesso secondo i criteri di cui all'art. 720 c.c.

Avverso tale decisione i soccombenti proponevano ricorso per Cassazione fondato su plurimi motivi dei quali, per quanto di specifico interesse, assumono rilevanza quelli sostanzialmente concernenti la violazione dell'art. 1119 c.c. sotto più profili: totale esclusione dal godimento, utilizzo ed amministrazione della cosa comune; conseguenze negative in ordine alla destinazione del bene, nonché impossibilità dei ricorrenti di vedere soddisfatta la propria quota mediante l'assegnazione in natura (dell'ex alloggio del portiere) alla quale, invece, si sarebbe potuto procedere.

Per effetto di un'analisi comparata dell'evoluzione del procedimento di formazione del novellato art. 1119 c.c. la Corte di cassazione ha evidenziato che "dalla ricostruzione del piano sistematico e della mens legislatoris questa Corte ha tratto l'ermeneutica della volontà obiettivamente espressa dalla legge, quale emerge dal suo dato letterale e logico, secondo cui il legislatore ha inteso lasciare aperta la possibilità di una divisione giudiziaria, quando "la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino", aggiungendo il requisito del "consenso" di tutti i partecipanti per la sola divisione volontaria".

Ribadendo che "in materia di divisione di beni comuni, pur contemplando l'art. 1119 c.c. una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini (in omaggio al minor "favor" del legislatore per la divisione condominiale), tuttavia ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l'idoneità all'uso cui è stato destinato".

Sulla base di tali principi la Corte Suprema ha ritenuto corretta la decisione di secondo grado, che aveva accertato che solo l'attribuzione del bene per l'intero ad un solo condomino avrebbe garantito la destinazione dell'immobile ad alloggio del portiere.

Il ricorso è stato integralmente respinto, anche per gli altri motivi che qui non sono stati presi in considerazione.

Portiere in condominio, le sentenze in materia

Considerazioni conclusive

Va premesso che l'art. 1119 c.c. è norma dichiarata tassativa dall'art. 1138 c.c., secondo il quale i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, non possono essere derogati.

Inoltre, lo stesso articolo trova il suo corrispettivo nelle disposizioni che disciplinano l'istituto della comunione e segnatamente nell'art. 1112 c.c. il quale, nel regolamentare le "cose non soggette a divisione" ne vieta lo scioglimento quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate.

Nella motivazione della sentenza la domanda da cui trarre la situazione dei luoghi, quanto alla parte contestata che consisteva nel piano sotterraneo dell'edificio nel quale era ricompreso l'alloggio del portiere, è stata definita erroneamente dagli attori "in comunione" facendo così pensare all'applicazione dell'art. 1112 c.c. piuttosto che all'art. 1119 c.c. In realtà, invece, pur trattandosi di un condominio minimo sempre di situazione condominiale si tratta, rientrando l'intera zona nell'ambito dell'art. 1117 c.c.

Questo apparente errore fuorviante, tuttavia, non è stato preso in considerazione né dai giudici di merito né tanto meno dalla Corte di cassazione, che ha correttamente individuato lo spirito della legge e la sua applicabilità.

La novità che caratterizza il contenuto dell'art. 1119 c.c. - come anticipato e posto in risalto dalla stessa Corte - sta dunque nell'aggiunta di quella espressione finale, che dà il senso all'intera disposizione.

Quello che non è mutato, anche nel vigore del nuovo testo dell'art. 1119 c.c., è il concetto di uso più incomodo della cosa da parte di ciascun condomino così come individuato dalla giurisprudenza che, espressasi con riferimento al regime previgente al 2012, non sembra essersi nuovamente pronunciata sull'argomento.

Secondo l'alta Corte (Cass. 23 gennaio 2012, n. n. 867), infatti, "in tema di condominio di edifici, poiché l'uso delle cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso, cui fa riferimento l'art. 1119 c. c. ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata, oltre che con riferimento all'originaria consistenza ed estimazione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione".

Sentenza
Scarica Cass. 28 febbraio 2024 n. 4817
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