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Dall'ammenda all'arresto il passo è breve. Perché l'amministratore di condominio paga sempre per tutti?

Crollo dell'edificio condominiale ed obbligo giuridico di intervento.
Avv. Michele Zuppardi - Foro di Taranto 

La vicenda dell'amministratore condominiale palermitano incolpato del reato di cui all'articolo 677 del codice penale, indipendentemente dai sortiti esiti prescrizionali, non è propriamente gradevole e lascia aperti numerosi interrogativi che ci spingono a formulare sull'accaduto qualche spontanea e più approfondita riflessione.

Il professionista era incappato nelle maglie del Tribunale penale in quanto incaricato della gestione di una scala all'interno di uno dei cinque edifici ad uso abitativo insistenti in un complesso edilizio, senza peraltro avere alcun mandato per l'amministrazione delle parti comuni che ne comprendevano anche il muro perimetrale di recinzione.

Egli era stato giudicato penalmente responsabile "in ordine al reato di cui all'art. 677 cod. pen., per avere omesso, in qualità di amministratore del condominio di via XXX, di provvedere ai lavori necessari per rimuovere i pericoli di crollo del muro di contenimento, adibito alla recinzione del predetto complesso condominiale".

Solo nei giorni scorsi, con la sentenza n. 38349 del 15.10.19, la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Penale, ha annullato senza rinvio tale decisione del Tribunale di Palermo "perché il reato è estinto per prescrizione ", lasciando sospese e insolute le discolpe, gli interrogativi e con essi anche le valutazioni degli utenti amministrati sulla integrità morale del professionista, giudicato e dunque ritenuto penalmente responsabile pur se condannato al pagamento di una semplice ammenda.

L'articolo 677 del codice penale, infatti, prevede che "il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi per lui è obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 154 a 929 euro".

E ancora: "la stessa sanzione si applica a chi, avendone l'obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall'avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione". E infine: "se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell'arresto fino a sei mesi o dell'ammenda non inferiore a 309 euro".

Dunque è chiaro che non si scherza. Nella richiamata disposizione codicistica, il primo concetto è relativo alla pura e semplice omissione nella rimozione del pericolo che si sostanzia in un "innocuo" illecito amministrativo, mentre la seconda ipotesi - quella che trova applicazione quando dalla situazione di fatto derivi un pericolo per le persone - è ben più preoccupante e spaventa già per il solo fatto che preveda addirittura l'arresto fino a sei mesi.

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Ai nostri lettori, peraltro, non può e non deve sfuggire che quest'ultima fattispecie è qualificata come "reato di pericolo " e che, pertanto, la sola circostanza che esista un rischio per l'incolumità dell'uomo ne integra la particolare e preoccupante natura di reato di pericolo concreto.

La Suprema Corte, a tal proposito, ha da tempo avuto modo di specificare che "mentre la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 677 c.p. punisce come illecito amministrativo l'omissione dei lavori necessari a rimuovere il pericolo, generico e presunto, in un edificio o costruzione che minacci rovina, quella prevista al comma terzo, che costituisce reato, richiede che dall'omissione dei lavori, in edifici o costruzioni che minacciano rovina, derivi il pericolo concreto per l'incolumità delle persone" (Cass. pen., sez. I, n. 16285 del 11.5.2006).

È evidente come, per ogni singola fattispecie, tutto ruoti intorno all'accertamento della responsabilità da parte della Magistratura. Ed è parimenti ovvio che il confine fra "omissione dei lavori necessari a rimuovere il pericolo" e "pericolo concreto per l'incolumità delle persone " è davvero, molto, anzi estremamente sottile.

Il caso che abbiamo richiamato quest'oggi, in fondo, fa riferimento a un professionista che amministrava una sola scala di un solo stabile posto in un complesso condominiale composto da ben cinque palazzi, e che dunque - nella comune percezione dei pur numerosi obblighi posti in capo al mandatario - non aveva - o non sembrava avere - alcuna particolare ragione per agire sui muri perimetrali che circondavano l'area intorno ai fabbricati.

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Il fatto è che esiste, in giurisprudenza, un consolidato orientamento per il quale sull'amministratore condominiale grava, sempre e comunque, il completo e inderogabile obbligo giuridico di eliminare ogni situazione di pericolo che derivi dalle parti comuni.

Se è pacifico che tale tipo di incombenza discende dal rapporto di mandato e ne è intimamente collegata, è altresì interessante sottolineare come - addirittura - anche nel caso in cui dovessero trovarsi a coesistere nella stessa situazione le figure del proprietario di un immobile che minaccia rovina e l'amministratore dell'immobile stesso, quest'ultimo avrà sempre la peggio in termini di responsabilità anche penali.

C'è un motivo, ed è quello della "causa del contratto" stipulato fra proprietario e gestore del bene. Essa, per dirla come l'Enciclopedia Treccani, è "lo strumento concettuale attraverso il quale il diritto esercita un controllo sulla ragione giustificativa di una operazione economica ", e dunque "designa il perché - e quindi la funzione economica - del negozio giuridico".

Ma la più recente giurisprudenza è andata oltre, identificando nella causa del contratto "la sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare", con la conseguenza che il giudice, nel valutare il "peso" del contratto stesso, non può non tener conto del perché le parti siano giunte a stipularlo, ponendo l'accento sulla funzione concreta che quelle determinate intese esercitano nel bilanciamento degli interessi in campo.

Insomma, noi tutti sappiamo che non può esserci alcun atto senza causa. Nel rapporto fra proprietario e amministratore del bene, la causa del contratto si concretizza proprio nel trasferimento su quest'ultimo di doveri, rischi e responsabilità, attesa oltretutto la presunzione che il professionista disponga di maggiori competenze rispetto al semplice intestatario.

Ecco perché c'è poco da scherzare. Ed ecco perché, pur volendo minimizzare gli effetti conseguenti a una ipotetica, eventuale condanna discendente da quanto previsto al primo comma dell'articolo 677 cod. pen., non deve sfuggire e non può sottacersi l'alto rischio che potrebbe derivare dall'infausta e sempre possibile applicazione del pericoloso terzo comma contenuto nella medesima disposizione del codice, posto giustamente a difesa dell'incolumità di tutti ma sempre in agguato nei confronti dei nostri amici amministratori condominiali.

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