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In condominio, dentro la proprietà privata c'è sempre una parte comune... e l'amministratore è comunque responsabile (anche se la legge non gli offre strumenti di controllo)

Eliminazione di un pilastro interno a un appartamento privato e l'applicazione dell'articolo 1122 cod. civ.: alcune considerazioni critiche.
Avv. Michele Zuppardi - Foro di Taranto 

Casa mia è casa mia e basta. Nulla di più sbagliato, soprattutto se la "casa mia" è ubicata in un palazzo e dunque in un condominio "di tutti". Lo dice il codice civile.

Roma, 22 gennaio 2016. Crollano tre piani del palazzo di Lungotevere Flaminio, al civico 70. Una bomba? No. Una fuga di gas? No. Un terremoto? No. Tranquilli, niente di grave: stavano solo ristrutturando un appartamento. Roba da matti. Chi, fra i nostri lettori, avrebbe voluto essere l'amministratore in carica di quel condominio? Credo nessuno.

Nessun professionista del settore, immagino, avrebbe mai potuto facilmente digerire il senso di impotenza derivante dalla impossibilità di entrare in casa d'altri a sindacare la bontà progettuale dell'opera di ristrutturazione in corso.

Nessun amministratore, in assenza di gravi sospetti sulla liceità tecnica di ciò che stava accadendo all'interno dell'appartamento messo a nudo avrebbe potuto, realisticamente, incaricare un tecnico di fiducia per chiedergli lumi ed eventualmente inibire la maldestra e perniciosa attività edile.

Profili di responsabilità ex art. 2051 c.c. e risarcibilità dei danni non patrimoniali

Nessun condòmino, infine, avrebbe mai potuto immaginare che le sempre più stringenti norme tecniche, unitamente alle buone pratiche edili, avrebbero potuto consentire il verificarsi di quello che poi è divenuto il capo d'imputazione formulato in seno all'inchiesta approdata in Procura, ovvero il disastro colposo.

Siamo normalmente orientati a pensare - e ad affermare con convinzione - che ognuno a casa propria fa come gli pare, lavori di ristrutturazione compresi. E l'amministratore? Chissenefrega, mica sono fatti suoi, le parti comuni non c'entrano. E il regolamento condominiale? Chissenefrega, c'è poco da leggere e controllare, mica qualcuno può impedire di rimettere a nuovo la proprietà privata.

Insomma, ognuno di noi, normalmente, pensa e ritiene così: casa mia è casa mia e basta.

Nulla di più sbagliato, soprattutto se la "casa mia" in questione è ubicata in un palazzo e dunque in un condominio "di tutti". Lo dice il codice civile.

Crollo del solaio. Non sempre per la mancata manutenzione il condominio è responsabile

"Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condòmino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico dell'edificio." Fin qui, il primo comma dell'articolo 1122 del codice civile.

E ancora, al secondo comma del medesimo articolo: "In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce in assemblea".

Ora, noi sappiamo che comperare casa da privati, e non direttamente dal costruttore, significa quasi sempre, necessariamente, attrezzarsi per procedere alla ristrutturazione dei suoi ambienti. Il palazzo è bello, l'ubicazione è ottimale e sul prezzo siamo giunti a un interessante accordo. Eccoci qui, davanti al notaio, con firme, assegni e chiavi della nuova casa. Pronti per cominciare i lavori.

Ma chi si degna di avvisare l'amministratore? E chi si da una lettura preliminare al regolamento condominiale? Nessuno, almeno fino a quando non cominciano le proteste per i rumori molesti fuori orario, le minacce di azioni legali e i richiami volti a far rispettare le buone regole di condotta civile.

Eccolo lì, allora, il nostro amministratore di condominio parafulmini, messo a conoscenza dell'inizio delle opere edili solo per via dei primi problemi che ad esso sono intimamente collegati. Eppure, come innanzi richiamato, esiste da tempo una norma facile e chiara: basta leggere il secondo comma dell'articolo 1122 cod. civ.

Approfondiamola meglio, allora, questa disposizione. La comunicazione da inoltrare all'amministratore, il quale ha l'obbligo di riferire all'Assemblea, dovrebbe servire per consentire al condominio una valutazione preventiva sulla innovazione che si intende eseguire nell'appartamento di proprietà privata.

Il fatto è che non esiste alcuna sanzione a carico di colui che per legge è obbligato a inoltrare l'avviso dell'inizio dei lavori, e pertanto - di fatto - la prescrizione normativa ha perso tutta la sua consistenza e resta perciò dimenticata.

Ma vi è di più. A carico dell'Amministratore inconsapevole permane comunque l'obbligo di informare l'Assemblea, e ciò - indipendentemente dalla mancanza di sanzioni per l'omessa attività - può configurare comunque una ipotesi di responsabilità nei suoi confronti, qualora qualcosa vada storto.

Insomma, servirebbero maggiore chiarezza e maggiore coercizione per ottenere il rispetto effettivo della norma, e tali incombenze non possono evidentemente essere delegate solo alla giurisprudenza, che pure ha avuto modo, nel tempo, di delineare importanti statuizioni.

Un esempio interessante ci viene offerto dalla sentenza n. 7 resa il 2 gennaio 2019 dalla XIII Sezione Civile del Tribunale di Milano, che si è pronunciata in merito al rapporto esistente fra la eliminazione di un pilastro interno a un appartamento privato e l'applicazione del novellato articolo 1122 cod. civ.

In pratica, in risposta all'impugnazione di una delibera condominiale che aveva vietato la rimozione di un montante di acciaio dall'unità immobiliare del nuovo inquilino, la questione era giunta dinanzi al Giudice meneghino e il condominio, costituitosi in giudizio, si era difeso deducendo che il medesimo pilastro, parte strutturale dell'edificio, non poteva assolutamente essere rimosso.

E quantunque l'espletata CTU avesse ritenuto che la eliminazione di quel manufatto non avrebbe in alcun modo comportato pregiudizi di tipo statico al palazzo, il Tribunale non ha voluto sentire ragioni. "La funzione strutturale del pilastro che si intende rimuovere - è scritto nella sentenza - va considerata in modo unitario con le altre strutture presenti negli appartamenti sottostanti, in quanto i pilastri allineati verticalmente sostengono la parte dell'edificio in corrispondenza delle singole unità immobiliari interessate, e perché la rimozione da parte del proprietario (signor Tizio) escluderebbe la possibilità di analoghe opere da parte degli altri condòmini, in quanto interventi simili potrebbero mettere a rischio la sicurezza della statica".

Quanto sopra esposto lascia ben comprendere l'estrema importanza della questione in esame. Acquistare un appartamento significa comprare anche le parti più "intime" e nascoste del palazzo, che però non rientrano nella proprietà privata, bensì in quella comune.

E gli amministratori, a questo punto, per poter assumere le pesanti responsabilità che la legge gli attribuisce, devono anche e soprattutto poter contare sulle leggi stesse perché consentano loro di esercitare efficacemente tutte indistintamente le funzioni proprie di tale bistrattata figura professionale.

Insomma, in casi come quelli che ho narrato, la figura dell'amministratore diventa cruciale. Sappiamo che nessun condòmino può avanzare la pretesa di andare a controllare cosa stia facendo il suo vicino di casa.

E sappiamo anche del diritto dell'amministratore di richiedere il progetto dei lavori, di nominare un suo tecnico di fiducia e di adire le competenti Autorità nel caso vengano rilevate piccoli o grandi anomalie.

Ma se lo stesso professionista non viene informato, e se il "fai da te" continua a rimanere impunito, non possiamo che prendere atto, ancora una volta, dell'abnorme sproporzione e dell'insano contrasto a tutt'oggi esistente fra i doveri e le responsabilità di legge poste in capo agli amministratori condominiali.

Meditate, gente. Meditate.

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