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Spese del superbonus e calcolo della plusvalenza in caso di vendita infraquinquennale

Le spese per il superbonus rientrano tra le spese incrementative deducibili nel calcolo della plusvalenza in caso di vendita infraquinquennale dell'immobile.
Redazione 

L'Agenzia delle Entrate su spese del superbonus e plusvalenza

Interessante la questione tratta dalla risposta ad interpello n. 204 del 24 marzo 2021.

La questione in sostanza è: le spese sostenute per i lavori agevolati dal superbonus si deducono ai fini del calcolo dalla plusvalenza in caso di immobile venduto prima dei cinque anni? La risposta è sì. Vediamo perché.

Spese del superbonus e plusvalenza, il caso dell'interpello n. 204

L'istante è proprietario di un immobile in condominio per il quale sosterrà alcune spese deliberate dall'assemblea per interventi sulle parti comuni diretti alla riduzione del rischio sismico (con miglioramento di due classi sismiche) e interventi di efficientamento energetico con miglioramento di almeno due classi energetiche; detti interventi rientrano, dice l'istante, tra quelli detti trainanti secondo le norme del superbonus (art. 119 del DL n. 34/20020), agevolazione di cui il condominio intende fruire avendo anche deliberato di fruire dell'opzione dello sconto in fattura.

Per lo stesso immobile l'istante sosterrà spese per la sostituzione di serramenti della propria unità immobiliare, avvalendosi dell'agevolazione del superbonus per gli interventi trainati e fruendo anche qui dell'opzione dello sconto in fattura.

In relazione alle spese menzionate l'istante beneficerà quindi del superbonus e dell'opzione dello sconto in fattura.

Egli è poi intenzionato a vendere l'immobile, infatti ha appena firmato un contratto preliminare. Dato che l'immobile è stato acquistato meno di cinque anni fa, l'istante chiede se le spese sostenute per tali interventi ai fini del calcolo della plusvalenza tassabile sono deducibili dal prezzo di vendita; per i lavori in condominio naturalmente la domanda riguarda solo la quota riferita al detto istante.

Vendita infraquinquennale e plusvalenza, le norme

Nel rispondere, l'Agenzia ricorda prima di tutto le norme di riferimento; si tratta degli artt. 67 co.1 lett. b e 68 co. 1 del T.U.I.R. (il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, DPR n. 917/1986).

L'art. 67 co.1 lett. b prevede, per quel che qui interessa, che si considerano "redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: ... b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari...".

Mentre l'art. 68 co. 1 prevede, sempre per quel che qui interessa, che tali plusvalenze sono date "dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo..."

Quindi, condizione per l'imponibilità della plusvalenza è che la cessione dell'immobile prima di cinque anni dall'acquisto o dalla costruzione (con le eccezioni previste).

La ratio sottesa alla norma si spiega, "è quella di assoggettare a tassazione i guadagni (rectius, la plusvalenza) derivanti dalle cessioni immobiliari poste in essere con l'intento speculativo, che si presume sussistere quando intercorre un arco temporale inferiore a cinque anni tra la data di acquisto o costruzione dell'immobile e quella di vendita dello stesso (cfr. circolare n. 23/E del 29 luglio 2020)".

Vendita infraquinquennale e plusvalenza, il concetto di spese incrementative per la Cassazione

L'Ufficio prosegue ricordando che in relazione al concetto di la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16538 del 22 giugno 2018 ha ribadito (richiamando una precedente pronuncia) che "premesso che il prezzo di acquisto od il costo di costruzione deve essere incrementato dei soli costi inerenti al bene, (...) sono a tal fine rilevanti le spese incrementative.

Per spese incrementative, in giurisprudenza, s'intendono "quelle spese che determinano un aumento della consistenza economica del bene o che incidono sul suo valore, nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo".

Non possono, quindi, essere incluse tra le spese incrementative quelle che non apportano maggior consistenza o maggior valore all'immobile, perché attengono solo alla manutenzione e/o alla buona gestione del bene.

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Sulla base di tale principio, la Corte conclude che "sono costi inerenti al bene, in quanto tali deducibili ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile, solo quelli che attengono al costo di acquisto (spese notarili, di mediazione, imposte di registro, ipotecarie e catastali, cioè i costi inerenti al prezzo di acquisto, ... o che si risolvono in aumento di valore del bene, perdurante al momento in cui si verifica il presupposto impositivo (ad esempio, le spese sostenute per liberare l'immobile da oneri, servitù ed altri vincoli, oppure le spese che abbiano determinato un aumento della consistenza economica del bene).

D'altro canto, non rientrano negli oneri deducibili le spese che attengono alla normale gestione del bene e che non ne abbiano determinato un aumento di valore, perdurante al momento in cui viene realizzata l'operazione imponibile.

L'onere della prova della deducibilità del costo grava sul contribuente, che deve dimostrare, non solo di aver sostenuto le spese, ma anche la loro inerenza ed il carattere incrementativo del valore del bene".

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L'Ufficio ritiene che, in linea con il ragionamento della Corte di Cassazione, nella specie le spese sostenute dall'istante (quelle riferite al condominio solo limitatamente alla sua quota) rientrino nella nozione delle spese incrementative, nell'accezione formulata dalla Cassazione nella sentenza citata: infatti, non sono spese che rientrano nella normale gestione del bene e ne hanno causato un aumento di valore, che perdura al momento della vendita; dunque per l'Ufficio, tali spese possono essere considerate, ai fini del calcolo della plusvalenza della cessione infraquinquennale dell'immobile, tra i costi inerenti all'immobile medesimo (ai sensi del cit. art. 68).

Non è ritenuto di ostacolo a tale soluzione Il fatto che il contribuente benefici della detrazione del superbonus (se sussistono i requisiti richiesti dalla normativa) e dello sconto in fattura, trattandosi di una modalità alternativa alla fruizione diretta della detrazione.

D'altronde, si osserva, concludere contrariamente comporterebbe nei fatti "una tassazione del beneficio derivante dalla fruizione della detrazione fiscale - ancorché fruito sotto forma di sconto in fattura - mediante la tassazione di una maggiore plusvalenza ex articolo 68, comma 1, del TUIR."

Per completezza, l'Agenzia ricorda che, per effetto della norma di cui all'art. 1, co. 496, legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), è possibile optare per un sistema alternativo di tassazione rispetto a quello di cui qui si è parlato dell'art. 67, co. 1, lett. b), del TUIR: in alternativa a detta disciplina il co. 496 prevede la possibilità di optare per l'imposta sostituiva del 26 "in caso di cessioni a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, all'atto della cessione e su richiesta della parte venditrice resa al notaio".

Risposta 204 24.03.2021

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