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Il singolo condomino può benissimo fare modifiche alle parti comuni a carattere innovativo

Bisogna però fare attenzione a non violare i limiti previsti dall'articolo 1102 c.c. e quelli previsti per le innovazioni.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

Occorre premettere che le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo.

Così, sotto il profilo oggettivo, le innovazioni consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le modifiche fatte dal singolo condomino si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa;

Per quanto concerne l'aspetto soggettivo, le innovazioni vengono approvate da una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni realizzate dal singolo condomino a proprie spese per conseguirne un uso più intenso.

Pur tenendo conto di questi concetti, è possibile affermare che anche il singolo condomino può arrivare a realizzare modifiche a carattere innovativo. La conferma è arrivata da una recentissima decisione della Suprema Corte (sentenza del 10 gennaio 2024, n. 917).

Modifiche a carattere innovativo del singolo condominio e rispetto dei limiti previsti dall'articolo 1102 c.c. e 1120 c.c.

Gli acquirenti di un appartamento citavano in giudizio dinanzi al Tribunale i venditori, esponendo che i convenuti avevano realizzato delle terrazze nel tetto senza autorizzazione assembleare, opere per le quali i venditori avevano assunto l'impegno di farsi carico di qualunque richiesta formulata dai condomini e di ogni conseguenza derivante dalla mancanza dell'autorizzazione condominiale, con espresso esonero da ogni responsabilità per gli acquirenti anche con riferimento ad eventuali pretese dei condomini ad una indennità; gli attori facevano presente però che nell'immobile vi erano copiose infiltrazioni d'acqua provenienti dalle porte-vetrate di accesso ai terrazzi e dal soffitto, oltre che vizi agli impianti del gas.

In ogni caso lamentavano che i venditori non avevano provveduto alla regolarizzazione delle opere, né eseguito gli interventi di manutenzione cui si erano obbligati nel corso di una riunione condominiale; di conseguenza chiedevano al Tribunale di accertare l'obbligo dei venditori di provvedere al rifacimento del tetto e di condannare i convenuti a risarcire i danni per il deprezzamento dell'immobile e per le infiltrazioni d'acqua, oltre al rimborso di tutte le spese sostenute, condanna che, limitatamente ai danni da infiltrazioni, hanno chiesto di estendere al condominio, ritenuto responsabile dell'omessa manutenzione del lastrico (in subordine gli attori pretendevano almeno la riduzione del prezzo di vendita e la restituzione di quanto versato in eccedenza).

Nel giudizio veniva coinvolto pure l'architetto che si era occupato della realizzazione delle terrazze.

Quest'ultimo però respingeva ogni addebito; il condominio con domanda riconvenzionale chiedeva la condanna dei convenuti alla ricostruzione della copertura condominiale. I venditori sostenevano di aver realizzato le opere con l'autorizzazione dell'assemblea.

Il Tribunale, espletata consulenza tecnica d'ufficio, condannava i convenuti, nei confronti del condominio, a ripristinare il tetto, e a risarcire i danni da infiltrazioni patiti dagli attori; inoltre ordinava all'architetto il ripristino della funzionalità degli impianti di scarico dei servizi igienici, respingendo ogni altra domanda. La sentenza è stata parzialmente riformata in appello.

La Corte invece condannava al ripristino del tetto anche agli acquirenti dell'immobile, confermando l'illiceità delle terrazze ai sensi degli artt. 1120 c.c.; i venditori venivano condannati al pagamento di una rilevante somma per il minor valore dell'immobile, mentre l'architetto veniva condannato al risarcimento per le infiltrazioni di acqua e umido alla proprietà esclusiva; i giudici di secondo grado escludevano la responsabilità dei venditori e del condominio per i danni da infiltrazioni di acqua dal tetto e per i vizi della copertura.

I venditori ricorrevano in cassazione sottolineando come la Corte di merito avesse ritenuto che, in mancanza di preventiva autorizzazione assembleare, la sostituzione di parte del tetto dell'edificio con due terrazzi fosse un'innovazione illecita.

Per la Cassazione, però, la trasformazione del tetto realizzata dai venditori è lecita anche senza autorizzazione assembleare, purché nel rispetto dei limiti derivanti dall'art. 1102 c.c. e dall'art. 1120 c.c.; la sentenza della Corte di Appello è stata cassata.

Danni causati da una terrazza a livello: chi paga?

Considerazioni conclusive

La giurisprudenza per molto tempo, non ha ritenuto legittima la trasformazione - anche solo di una parte - del tetto dell'edificio in terrazza a livello ad uso esclusivo del singolo condomino. Recentemente però questa posizione è cambiata.

Secondo l'orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente non è ammissibile ritenere tout court illecita detta trasformazione se la realizzazione della terrazza ha comportato una modificazione soltanto parziale del tetto e se sia rimasta salvaguardata la funzione di protezione svolta dal tetto (Cass. civ., Sez. VI, 21/02/2018, n. 4256; Cass. civ., Sez. II, 03/08/2012, n. 14107).

Il nuovo orientamento giurisprudenziale però non ha affermato l'indiscriminata possibilità di trasformazione dei tetti, ma ha precisato che il giudizio sul punto andrà formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità solo avendo riguardo alla motivazione, dovendosi verificare in concreto, se l'uso privato possa togliere reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini - utenti e se la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture non ne resti compromessa (Cass. civ., sez. VI, 04/02/2013, n. 2500).

In ogni caso, trattandosi di modifica a carattere innovativo si deve considerare che l'art. 1120, ultimo comma (il quale vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico) è applicabile all'ipotesi di opere di trasformazione, come quella in esame, effettuata con le finalità di cui all'art. 1102 c.c. (Cass. civ., sez. II, 31/07/2013, n. 18350).

Sentenza
Scarica Cass. 10 gennaio 2024 n. 917
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