Condominio Web: Il portale N.1 sul condominio
Iscriviti alla
Newsletter
chiudi
Inviaci un quesito

Anche una tenda scorrevole può violare il diritto di veduta

Installare una tenda sul proprio terrazzo, che a sua volta sia dotata di una scatola di protezione dagli agenti atmosferici, significa realizzare una costruzione soggetta alle norme a tutela delle vedute.
Avv. Adriana Nicoletti 

Il condominio rappresenta un terreno fertile per le controversie che riguardano presunte violazioni di norme poste a tutela di luci, vedute, distanze legali e quant'altro. Troppo spesso, infatti, quando si procede ad installare nella proprietà esclusiva (siano essi balconi, terrazzi, giardini) nuovi manufatti non si pensa al diritto vantato dal proprio vicino, laterale o immediatamente sovrastante, ma si pone attenzione ad un proprio diritto, che spesso è quello di riservatezza nel senso di voler escludere la propria vita dalla vista altrui.

La Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 7622 in data 21 marzo 2024, ha riaffermato con estrema precisione i principi posti alla base della normativa che tutela il diritto di veduta.

Condomino condannato alla rimozione di una tenda che costituisce costruzione. Fatto e decisione

La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, rigettava il gravame proposto da una società che era stata condannata a rimuovere alcune opere realizzate in violazione degli artt. 907 e 1067 c.c. in quanto idonee a precludere l'esercizio di luce esistente a vantaggio del fondo degli attori.

L'oggetto del contendere era rappresentato dalla installazione, ad opera della soccombente, di una tenda di stoffa retraibile asseritamente legittima.

Proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, la ricorrente, in particolare, lamentava che la Corte del merito aveva erroneamente considerato come costruzione una struttura che non poteva ledere il diritto di inspectio e prospectio in alienum, alla quale il disposto di cui all'art. 907 c.c. non poteva essere applicato.

Il motivo veniva dichiarato inammissibile. Corretta, infatti, era stata la valutazione operata dalla Corte distrettuale che, accogliendo le risultanze della C.T.U., aveva accertato che al muro perimetrale dell'edificio era stata ancorata una struttura fissa nella quale la tenda veniva raccolta e che lo "scatolato", unitamente ad una ulteriore struttura necessaria per lo scorrimento della tenda, non aveva rispettato le distanze legali.

In pratica, quindi, era "da condividere l'assimilazione di tale installazione ad una costruzione, ai fini dell'applicazione della distanza minima di m. 3 prevista dall'art. 907, co. 3, c.c., avuto riguardo alla consistenza dei nuovi volumi generati dalle strutture fisse, unitamente alla tenda scorrevole, poste in prossimità della soglia dei balconi e, come tali, suscettibili di minarne la sicurezza".

Peraltro, la Suprema corte già si era espressa in materia (Cass. 18 ottobre 2018, n.26263) affermando che "il divieto di costruire a distanza inferiore a tre metri da una preesistente veduta, stabilito dall'art. 907 c.c. a salvaguardia di tale diritto, riguarda in genere una "fabbrica" realizzata a distanza inferiore da quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma, idonea ad ostacolare stabilmente l'esercizio della inspectio e della prospectio".

D'altra parte - proseguiva la Corte - è pacifico, per consolidata giurisprudenza (Cass. 27 febbraio 2019, n. 5732; Cass. 16 gennaio 2013, n. 955), che nell'ambito dei rapporti tra proprietari di immobili siti in condominio sussiste il diritto di un condomino "di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto".

Sarà, quindi, compito del giudice del merito accertare la sussistenza degli elementi dai quali trarre se sussista o meno violazione di legge e questo era stato fatto dalla Corte di appello, che non si era discostata dalle risultanze della CTU. Un apprezzamento che rientrava e rientra sempre nella discrezionalità del giudice del merito e che può essere modificato dalla Corte Suprema solo se non congruamente motivato.

Da qui la dichiarazione di inammissibilità del ricorso con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Transazione lite: il dissenziente paga le spese legali del condominio?

Considerazioni conclusive

La controversia in essere riguardava la violazione di due norme poste a tutela del diritto di veduta. Da un lato il riferimento legislativo è stato individuato nell'art. 907 c.c. che, in particolare, fissa in tre metri la distanza diretta verso il fondo vicino in favore di colui che sia il titolare dello stesso diritto.

Distanza che deve essere rispettata anche quando si tratti di veduta obliqua, allorché la visuale riguardi una finestra, oppure quando si intenda appoggiare al muro, dal quale si esercitano le vedute, una nuova costruzione.

La norma si coordina con il successivo art. 1067 c.c., che sancisce il divieto di aggravare o diminuire l'esercizio della servitù.

La c.d. "veduta diretta" è costituita da quella che si esercita non solo frontalmente ma anche in basso, verticalmente, assumendo così le caratteristiche di veduta in appiombo fino al suolo che costituisce la base dell'edificio.

Il diritto del proprietario che ne sia titolare non può, pertanto, essere limitato dall'esecuzione di una costruzione che ne pregiudichi l'esercizio. Non rileva, a tal fine, il contemperamento di interessi che nascono, da un lato, dal diritto di proprietà e dall'altro dal diritto del vicino alla riservatezza.

Ciò in quanto, secondo la giurisprudenza, l'art. 907 c.c. ha operato un bilanciamento tra gli stessi diritti, che è determinato proprio dall'oggetto della norma richiamata.

In questo senso è stata correttamente richiamata la decisione della Cassazione n. 955/2013 avente ad oggetto la realizzazione di un pergolato a copertura di un terrazzo di un appartamento dichiarata irregolare per il mancato rispetto della distanza di tre metri, essendo non prevalente il diritto alla riservatezza del condomino del piano inferiore rispetto al diritto di veduta del proprietario del balcone del piano superiore, anche se ridotto in misura molto limitata.

Altra questione che emerge dall'ordinanza della Corte è la nozione di costruzione ai fini dell'applicabilità dell'art. 907 c.c., da intendersi tale "l'opera destinata per la sua funzione a permanere nel tempo,e, tuttavia, il carattere di precarietà della medesima non esclude la sua idoneità a costituire turbativa del possesso della veduta come in precedenza esercitata dal titolare del diritto" (Cass. 12 ottobre 2007, n. 21501).

Rientrano, pertanto, nell'accezione del termine, più precisamente in quella di "fabbrica" di cui all'articolo 907 c.c. "qualsiasi opera che, qualunque ne sia la forma e determinazione, ostacoli, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito, l'esercizio di una veduta".

Quindi secondo una interpretazione "non restrittiva del termine da intendersi limitato ad un manufatto in calce o in mattoni o in conglomerato cementizio" (Cass. 28 agosto 2000, n. 11199; Cass. 22 maggio 1995, n. 5618 con riferimento ad una tenda larga oltre m. 2, sorretta da un'intelaiatura infissa nel muro che ostacolava la veduta del vicino, rimanendo aperta per tutta la giornata e per un lungo periodo dell'anno).

Parimenti possono essere considerate costruzioni tettoie, tendaggi fissi, estensibili o retraibili, con intelaiatura fissata stabilmente al suolo se, impedendo o limitando - per struttura, dimensione o conformazione - le vedute in appiombo esercitate dal vicino (Cass. 13 ottobre 2004, n. 20205).

Alla luce di tali principi, pertanto, non poteva non essere considerata costruzione, soggetta all'art. 907 c.c., la struttura montata dal soccombente che consisteva non in una semplice tenda retraibile ma in un quid pluris, consistente in un elemento c.d. "scatolato", nel quale la vera e propria tenda trovava alloggio, alla quale si andava ad aggiungere un ulteriore complesso di elementi che consistevano nel meccanismo che consentiva lo scorrimento del tendaggio vero e proprio.

Sentenza
Scarica Cass. 21 marzo 2024 n. 7622
  1. in evidenza

Dello stesso argomento