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Mediazione immobiliare: contratto di locazione stipulato dal coniuge della proponente, dopo il rifiuto della proposta di locazione. Diritto alla provvigione e clausole vessatorie

Quando può affermarsi che la conclusione dell'affare sia l'effetto dell'intervento del mediatore?
Avv. Eliana Messineo 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 785 del 2024 è tornata sul tema delle clausole vessatorie nel contratto di mediazione e sul diritto alla provvigione del mediatore. In particolare, è intervenuta sul nesso di causalità tra l'attività svolta dal mediatore e la conclusione dell'affare nell'ipotesi di affare concluso direttamente con il locatore dal coniuge della proponente nonché sulla natura della clausola che estende il diritto alla provvigione del mediatore anche dopo la scadenza dell'incarico ed anche qualora l'affare sia stato concluso da un parente della proponete o da persona "riconducibile" ad essa.

Mediazione immobiliare: contratto di locazione stipulato dal coniuge della proponente, dopo il rifiuto della proposta di locazione. Diritto alla provvigione e clausole vessatorie. Fatto e decisione

Un' agenzia immobiliare aveva ricevuto un incarico per la locazione di un immobile, con espressa preferenza per conduttori stranieri.

Una potenziale conduttrice sottoscriveva una proposta di locazione con la quale si impegnava a corrispondere il compenso provvigionale al mediatore.

La proposta non veniva accettata dalla proprietaria locatrice.

Dopo la scadenza del mandato, però, l'immobile veniva locato autonomamente al marito della potenziale locatrice che aveva sottoscritto la proposta di locazione per il tramite dell'agenzia immobiliare.

A fronte di ciò, l'agenzia immobiliare, venendo a conoscenza dell'avvenuta conclusione dell'affare, citava in giudizio la proponente, ossia colei che aveva sottoscritto la proposta di locazione, e la locatrice innanzi al Giudice di Pace di Roma per chiedere il pagamento della provvigione dovuta per l'attività di mediazione svolta.

La proponente si costituiva per resistere alla domanda eccependo, in via preliminare la propria carenza di legittimazione passiva e chiedendo, in via riconvenzionale, l'accertamento della nullità, in quanto vessatoria, della clausola con cui si era obbligata a corrispondere il compenso provvigionale anche in caso di locazione dell'immobile dopo la scadenza dell'incarico e anche qualora il contratto fosse stato concluso da parte di soggetti ad essa riconducibili (familiari, società partecipate).

In primo grado, il Giudice di Pace accoglieva la domanda dell'agenzia immobiliare e condannava le convenute al pagamento della provvigione, ma a seguito di impugnazione proposta dalla convenuta che aveva sottoscritto la proposta di locazione con l'agenzia immobiliare, il Tribunale riformava la sentenza ritenendo che nulla era dovuto all'agenzia immobiliare mancando la prova del rapporto causale tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare.

L'agenzia immobiliare proponeva ricorso in Cassazione.

All'esito di tale grado di giudizio, dopo opportuno richiamo ai principi giurisprudenziali in materia di nesso di causalità tra l'attività svolta dal mediatore e la conclusione dell'affare, nonché in tema di clausole vessatorie inserite nel contratto di mediazione, la Suprema Corte accoglieva il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale (dichiarando assorbito il secondo) cassando con rinvio la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti.

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Considerazioni conclusive

La Cassazione ha ribadito i seguenti principi:

1) Con riferimento al nesso di causalità tra l'attività svolta dal mediatore e la conclusione dell'affare:

"Il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza dell'opera dell'intermediario tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso" (Cass. n. 11443 del 08/04/2022).

In applicazione del principio della causalità adeguata, il giudice deve accertare non solo la "messa in relazione" delle parti da parte del mediatore ma anche il carattere adeguato dell'apporto causale di quest'ultimo, al fine di affermare che la conclusione dell'affare sia l'effetto dell'intervento del mediatore.

Il nesso di causalità tra l'attività del mediatore e la successiva conclusione dell'affare si recide solo allorquando la finalizzazione dell'affare sia indipendente dall'intervento del mediatore che aveva posto le parti originariamente in contatto.

Nella specie, la sentenza impugnata aveva del tutto omesso la valutazione specifica di alcune circostanze potenzialmente idonee a risolvere la controversia in favore della mediatrice ossia che la visita dell'immobile era stata effettuata dalla cliente unitamente al marito il quale successivamente aveva stipulato la locazione; che la cliente aveva formulato una proposta di locazione evidentemente ritenendo idoneo l'immobile.

La sola circostanza che l'incarico iniziale della locatrice prevedesse la locazione a stranieri non poteva escludere che fosse stata l'opera del mediatore a indurre a modificare questa preferenza.

La sentenza impugnata, inoltre, aveva erroneamente rovesciato l'onere della prova, facendolo gravare sull'agenzia immobiliare, circa il nesso di causalità tra l'attività di mediazione svolta e la stipula del contratto di locazione da parte del marito della proponente iniziale.

Per la Corte, il canone e le condizioni contrattuali pattuite dal predetto congiunto della cliente non potevano essere conosciute dalla mediatrice sicché soltanto le convenute avrebbero potuto allegare le dette circostanze per provare la sostanziale diversità dell'accordo raggiunto rispetto alla proposta iniziale.

2) Con riferimento al tema della vessatorietà della clausola inserita nel contratto di mediazione, oggetto di ricorso incidentale:

"La clausola che riconosce tout court il diritto del compenso al mediatore, dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, da parte di un soggetto che si sia avvalso dell'attività del mediatore, qualora l'affare sia stato concluso da un familiare, società o persona "riconducibile" al preponente ha natura vessatoria in quanto obbliga il consumatore ad una prestazione in favore del professionista indipendentemente da ogni accertamento del preventivo accordo tra le parti e di ogni altra circostanza concrete, da provarsi anche in via presuntiva, da cui risulti che l'affare sia stato agevolato in ragione dei rapporti familiari o personali tra le parti".

Per la Corte, dunque, la clausola inserita nel contratto di mediazione non specificamente sottoscritta dalla cliente che la obbligava a corrispondere il compenso al mediatore anche nel caso in cui l'immobile fosse stato locato dopo la scadenza dell'incarico e anche qualora il contratto fosse stato concluso da parte di soggetti ad essa riconducibili (familiari, società partecipate), ha natura vessatoria e quindi è nulla.

Ciò in quanto alla cliente dell'agenzia immobiliare va riconosciuta la qualità di "consumatore" con conseguente applicazione del D. Lgs n. 206/2005 (Codice del Consumo), applicabile non solo in relazione al contratto di vendita ma in relazione a tutti i contratti in cui è parte il consumatore (ex multis Cass. Civ. Sez. III, 30.5.2019, n.14775).

Il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista, sia per quanto riguarda il potere negoziale, sia per quanto riguarda il livello di informazione; ne consegue che il giudice ha l'obbligo di rilevare, anche d'ufficio, la natura abusiva delle clausole predisposte dal professionista, al fine di ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore ed il professionista.

La disciplina delle clausole vessatorie, in forza del rinvio operato dall'art. 1469 bis c.c., è cristallizzata negli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo.

L'art. 33, comma 1 del Codice del Consumo esprime un'enunciazione di ordine generale, definendo vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Segue una lista indicativa di clausole che assumono carattere orientativo ed indicativo, lasciando tuttavia aperta sia la possibilità di ritenere vessatorie clausole che non sono contemplate nella lista, sia di ritenere in concreto non vessatorie clausole che rientrerebbero nella lista, qualora si superi la presunzione di vessatorietà.

La presunzione di vessatorietà può essere vinta dal professionista, in conformità a quanto espressamente previsto dall'art. 34, comma 4 del Codice del Consumo, mediante la dimostrazione che la clausola censurata non sia stata unilateralmente imposta dallo stesso, ma abbia, di contro, formato oggetto di specifica trattativa individuale tra le parti, sempre che la medesima risulti caratterizzata dagli indefettibili requisiti dell'individualità, serietà ed effettività (Cass. civ., 20/03/2016, n. 6802; Cass. civ., 26/09/2008, n. 24262).

Per la Suprema Corte, la clausola in esame - che implica una tacita proroga del vincolo contrattuale successiva alla scadenza dell'incarico, obbligando chi si sia avvalso dell'attività del mediatore a corrispondere la provvigione ogni qual volta il contratto sia concluso, dopo la scadenza dell'incarico, da qualunque soggetto lui legato da rapporti personali o familiari - ha lo scopo di tutelare il mediatore nell'ipotesi in cui, dopo la scadenza del contratto, la parte concluda l'affare per il tramite di un terzo, sottraendosi all'obbligo di corrispondere la mediazione.

Tuttavia, l'esigenza di tutela del mediatore deve essere bilanciata con la tutela del consumatore, che è parte debole nei contratti predisposti unilateralmente dal professionista.

Ne deriva che la clausola che attribuisce al mediatore il diritto alla provvigione dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, qualora l'affare sia stato concluso da un familiare, società o persona "riconducibile" al preponente ha natura vessatoria in quanto obbliga il consumatore ad una prestazione in favore del professionista indipendentemente da ogni accertamento da cui risulti che l'affare sia stato agevolato in ragione dei rapporti familiari o personali tra le parti.

Ciò perché il compenso provvigionale deve trovare giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca di soggetti interessati all'affare, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione.

Pertanto, non si può prestabilire, semplicemente attraverso una clausola inserita in contratto, che la conclusione dell'affare da parte di un familiare o persona riconducibile al preponente sia necessariamente frutto dell'attività del mediatore.

Sentenza
Scarica Cass 9 gennaio 2024 n. 785
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