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L'amministratore condominiale diventa ecologista. Attenzione, l'orizzonte che si profila è pericoloso e penalmente rilevante

L'amministratore condominiale ecologista e responsabilità penali connesse.
Avv. Michele Zuppardi - Foro di Taranto 

L'ecologia, con le sue implicazioni di natura penale, è un altro importante tassello, ancora semisconosciuto, del quadro delle sempre più ampie responsabilità poste in capo a chi esercita il mandato a gestire la proprietà comune, amministratori di condominio compresi.

Dopo l'attenta lettura della recentissima sentenza n. 37902 resa il 12 settembre scorso dalla VI Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, è infatti impossibile non prendere coscienza delle pesantissime responsabilità attribuite dalla legge, senza se e senza ma, in ordine alla gestione dei rifiuti e al modus operandi degli addetti ai lavori.

Se il dirigente pubblico che non rimuove il degrado causato dell'accumulo di materiali e scarti di vario genere risponde del reato di rifiuto di atti di ufficio di cui all'articolo 328 del codice penale, cosa rischierà l'amministratore condominiale distratto o impossibilitato a intervenire?

Il rilievo penale della vicenda giunta all'attenzione degli Ermellini parte proprio dalla contestata "indolenza" manifestata da due responsabili di organi della pubblica amministrazione i quali, a seguito dell'accatastamento e della decomposizione di merci depositate in un immobile di pubblica proprietà comunale, non avevano disposto alcun intervento lasciando che gli scarti di vario genere ivi ammonticchiati continuassero ad esalare odori nauseabondi disperdendo nell'aria probabili sostanze inquinanti.

Il contenuto essenziale dell'accusa rivolta ai malcapitati responsabili della pubblica proprietà riposa dunque sulla loro mancata attivazione nel disporre l'intervento di rimozione e risanamento o bonifica dell'area.

Ma vi è di più. In risposta alle difese degli imputati sulla circostanza che non vi era alcuna scientifica dimostrazione dell'effettivo inquinamento causato dai liquami fuoriusciti dai rifiuti abbandonati, la Cassazione ha ritenuto "non pertinente la verifica delle caratteristiche specifiche dei liquami stessi onde apprezzarne puntualmente la carica inquinante".

Del resto, come chiarito nell'Ordinanza n. 33417 dello scorso 24 luglio 2019 resa dalla VII Sezione Penale della Cassazione, "il reato di combustione illecita di rifiuti di cui all'articolo 256-bis del D.L.vo n. 152/2006, è reato di pericolo concreto e di condotta, per la cui consumazione è irrilevante la verifica del danno all'ambiente".

Dunque, nella sentenza oggi in esame, per la Suprema Corte la semplice esistenza di merci putrescenti costituiva di per sé - come pure rilevato dai Giudici di merito - "una fonte di pericolo tale da imporre urgenti interventi destinati a rimuoverlo, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, per l'evidente rischio che le persone fossero raggiunte non solo dai miasmi, ma anche da infezioni, la cui diffusione avrebbe potuto essere propiziata anche dalla segnalata proliferazione di insetti".

E le risorse economiche? Con quali soldi si sarebbe dovuta disporre l'attività di smaltimento, in considerazione del perenne affanno economico che contraddistingue la macchina amministrativa degli Enti Civici?

Via dal cortile condominiale i materiali ingombranti che ostacolano il transito

Sul punto non c'è scampo. "Il tema della disponibilità dei fondi necessari alla realizzazione di un efficace intervento - statuiscono gli Ermellini - non è idoneo a fornire una valida scusante", e peraltro - nel caso di specie - "non è compensato in alcun modo da forme alternative e parimenti efficaci di interessamento concreto per la soluzione del problema".

Cari amici amministratori, siamo proprio messi bene. Nella sentenza in commento si specifica chiaramente che "gli imputati avevano omesso di provvedere, nonostante la situazione di degrado, implicante di per sé anche e in primo luogo un lavoro di pulizia manutentiva, sia pur da svolgere in sinergia, non potendosi considerare idonei ad assicurare il risultato dell'eliminazione della situazione di degrado e di pericolo interventi di minima rilevanza, comunque diversi da quelli riguardanti l'eliminazione del materiale in decomposizione e il risanamento dell'immobile".

È chiaro, dunque, che quando si rende necessario intervenire lo si deve fare e basta.

E se è vero che gli amministratori di condominio rivestono la figura di garanti del rispetto che tutti i proprietari devono osservare verso il regolamento e verso le parti comuni degli edifici, è altrettanto pacifico come in capo agli amministratori medesimi sussista il chiaro obbligo di agire con tempestività, pur in mancanza dei fondi necessari, pena il verificarsi di una condotta penalmente rilevante non solo nei confronti dei terzi in generale, ma anche e soprattutto nei confronti degli stessi condòmini sporcaccioni.

Ad avvalorare l'impietosa analisi di chi scrive ci pensa un'altra recentissima sentenza (la numero 39952/19), pubblicata lo scorso 30 settembre dalla Sezione Terza Penale della Suprema Corte.

Dalla sua attenta lettura si evince che il mancato trasferimento degli oneri di smaltimento previsti in caso di appalto, indipendentemente dagli accordi contrattuali, non esclude la responsabilità del produttore materiale di rifiuti per le attività poste in essere dai soggetti deputati, a qualsiasi titolo, allo smaltimento medesimo.

Dunque si afferma sempre più la figura dell'amministratore condominiale ecologista, e con essa la responsabilità penale propria di tale funzione. Lo storico concetto legato al dovere-potere di compiere gli atti conservativi degli edifici, attribuito ai professionisti del settore, non è soltanto circoscritto ai necessari impulsi per l'iniziativa processuale, ma avanza velocemente e si dirige sempre più pericolosamente verso comportamenti orientati alla gestione attiva delle proprietà comuni.

In assenza di collaborazione, e soprattutto in mancanza di specifiche tutele, diventa allora prioritario combattere il "pollice nero" di molti condòmini e di altrettanti appaltatori.

E poiché la responsabilità penale è personale, il vero rischio è quello di doverci addirittura rimettere di tasca propria, al fine di evitare la notifica di spiacevoli capi di imputazione e la durata di interminabili e oltremodo ingiusti processi penali.

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