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Responsabilità penale a causa di incendio a carico dell'amministratore di condominio per mancata adozione di cautele in tema di sicurezza antincendio

Quando l'amministratore di condominio può essere ritenuto responsabile del reato di incendio colposo?
Avv. Michele Orefice 

In caso di danni provocati dall'incendio accidentale propagatosi nelle parti comuni di un edificio, si discute se l'amministratore possa essere ritenuto colpevole, per non aver attuato le necessarie misure antincendio.

In particolare ci si riferisce al caso in cui l'amministratore non si sia preoccupato di compiere, con la dovuta diligenza, azioni di controllo, vigilanza e regolamentazione della condotta dei condòmini, in presenza dell'obbligo di adottare le opportune cautele, per evitare l'incendio.

In detta ipotesi, si discute se il non corretto od omesso svolgimento di azioni dirette a garantire un predeterminato livello di sicurezza nelle parti comuni, potrebbe comportare, a carico dell'amministratore, responsabilità non solo civilistiche, ma anche di tipo penale.

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In altri termini, accanto alla responsabilità contrattuale, originata dal rapporto di mandato di cui all'art. 1710 c.c., ed alla responsabilità extracontrattuale da atto illecito, fondata nell'art. 2043 c.c., potrebbe aggiungersi anche la responsabilità penale dell'amministratore, per azioni e omissioni.

Invero, se sotto il profilo civilistico è pacifico che l'amministratore sia responsabile del suo operato, non può dirsi altrettanto per la responsabilità penale, anche per il solo fatto che lo stesso amministratore non è dotato di poteri repressivi o disciplinari nei confronti dei condòmini e, peraltro, gli eventuali reati da lui commessi non sono compiuti nell'interesse del condominio ma, al contrario, sono solo a suo danno.

Basti pensare, ad esempio, alla condotta dell'amministratore che integri il reato di ingiuria, ex art. 594 c.p., per aver inviato ai condòmini una lettera con frasi ingiuriose, o il reato di diffamazione, ex art. 595 c.p., per aver affisso i nomi dei morosi in luogo accessibile ai terzi, oppure si pensi all'ipotesi di reato per appropriazione indebita, ex art. 646 c.p., nel caso in cui si sia impossessato del denaro dei condòmini.

Insomma, tutte ipotesi in cui non si ravvisa alcun interesse o beneficio per l'ente di gestione condomino, che risulta essere sottratto alla responsabilità da reato.

Al contrario, l'amministratore può essere chiamato a rispondere penalmente di ciò che non ha fatto in vigenza di mandato ad amministrare, pur avendone l'obbligo.

A questo punto una domanda nasce spontanea: ma quali sono i presupposti normativi per ritenere l'amministratore di condominio responsabile penalmente del suo operato gestionale?

In effetti, il codice penale non prevede un reato tipico dell'amministratore di condominio, ma il fatto che non sussistano fattispecie specifiche non esclude, per la giurisprudenza, la possibilità che lo stesso amministratore, durante lo svolgimento della sua attività gestionale, possa commettere reati che lascino propendere per la sussistenza di interessi condominiali, come nell'ipotesi di violazione della normativa sulla sicurezza antincendio.

In generale il presupposto della responsabilità penale dell'amministratore trova fondamento nelle norme di cui agli artt. 1130 nr. 3 e 4 e 1135 c.c., dalle quali origina una sorta di posizione di garanzia, che obbliga l'amministratore a vigilare e compiere atti conservativi sulle parti comuni, soprattutto nei casi di urgenza, adottando ogni misura idonea a prevenire pericoli per l'incolumità delle persone.

In determinati casi, infatti, è stata la giurisprudenza a ritenere l'amministratore responsabile, per non aver eliminato determinate condizioni di pericolo capaci di provocare danni a persone, come nel caso di omessa manutenzione in presenza di minaccia di rovina da parti comuni del fabbricato condominiale.

In altri casi, invece, la giurisprudenza ha rinvenuto nell'art. 40 c.p. il fondamento della responsabilità penale dell'amministratore, per non aver impedito un evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire, e che di fatto equivale a cagionarlo.

Tutto ruota intorno al fatto che l'amministratore di condominio, in qualità di mandatario dei condòmini, deve eseguire il mandato conferitogli dall'assemblea condominiale, con la diligenza del buon padre di famiglia, così come previsto dall'art. 1710 c.c. e cioè con quella diligenza che è legitti­mo attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza ed accortezza (Cass. n. 8099/1990).

Quindi la diligenza media rappresenta il parametro attraverso il quale va verificato l'operato dell'amministratore, per valutare se la sua condotta sia o meno dovuta in termini di rispetto delle obbligazioni alle quali è tenuto (Cass. ord. n. 24920/2017).

Pertanto, l'amministratore, in quanto garante del fabbricato condominiale, può incorrere in profili di responsabilità penali e civili, che spesso si collegano nell'ambito della stessa vicenda.

In ogni caso l'amministratore deve svolgere il mandato ricevuto dall'assemblea condominiale nel rispetto delle norme di legge e qualora venga meno ai propri obblighi, causando danni ai condòmini, ne risponde personalmente.

Quindi l'amministratore può essere ritenuto responsabile del reato di incendio colposo?

Nello specifico ci si riferisce ai delitti colposi di danno, disciplinati dall'art. 449 comma 1 c.p., che punisce, con la reclusione da uno a cinque anni, chiunque cagioni per colpa un incendio.

Per quanto ci occupa in questa sede, si tratta di stabilire in che modo i danni da incendio possono essere connessi alla responsabilità dell'amministratore, in qualità di custode delle parti comuni, e soprattutto quando lo stesso amministratore potrebbe rispondere del reato di incendio colposo.

Procedendo con ordine, occorre dapprima analizzare l'elemento soggettivo della colpa, che è costituito dal comportamento contrario alle norme di perizia, prudenza e diligenza, cui debbono conformarsi le azioni umane, e dalla violazione di specifiche prescrizioni di leggi, regolamenti, ordini e discipline (Cass. n. 1258/1989).

Nel nostro caso, quindi, la colpa, di cui all'art. 43 c.p., si configura quando difetta la volontà di determinare l'evento che costituisce il reato, ma l'evento si verifica ugualmente, a causa del comportamento irresponsabile dell'amministratore, da commisurarsi ad un livello di diligenza media rapportato alla persona, o più semplicemente lo stesso amministratore non abbia osservato leggi, regolamenti, ordini o discipline, da valutarsi con riferimento all'attività svolta.

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Ma quale norma antincendio dovrebbe violare l'amministratore per incorrere in responsabilità penale?

Per quanto riguarda la violazione normativa da parte dell'amministratore, si osserva come, in materia di antincendio, non si rinviene un'unica norma applicabile, ma un reticolato di disposizioni eterogenee e trasversali, che non è detto possano essere totalmente conosciute dall'amministratore, essendo sparse tra D.lgs., D.M., D.P.R., Circolari Ministeriali ecc., per lo più rispondenti alle indicazioni dei VVFF.

È finanche problematico raccogliere le norme antincendio in un testo unico, sebbene il legislatore, di recente, abbia approvato il Codice di Prevenzione Incendi, con il Decreto del Ministero dell'Interno del 3/08/2015, che dovrebbe armonizzare le disposizioni in materia di prevenzione incendi, anche se in passato già il Decreto Legislativo n. 139 del 08/03/2006 aveva tentato, invano, di semplificare e riordinare le disposizioni vigenti in materia di antincendio.

E quindi quali sono i provvedimenti antincendio da adottare negli edifici condominiali?

In termini di limiti e divieti da rispettare il documento basilare in materia di antincendio è rappresentato dal famoso C.P.I. (Certificato Prevenzione Incendi), che attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio.

Tale certificato, che viene rilasciato dal competente Comando provinciale dei vigili del fuoco, indica gli eventuali limiti e divieti da rispettare nonché gli impianti e le dotazioni antincendio che devono essere presenti nelle parti comuni, come, ad esempio, estintori, pompe e porte antincendio, luci di emergenza ed allarmi.

È noto che, non per tutti gli edifici condominiali è obbligatorio avere il certificato prevenzione incendi (C.P.I.), fermo restando l'obbligo di rispettare le norme antincendio.

Piuttosto, per gli edifici di civile abitazione, occorre capire come vengano regolamentate le norme di sicurezza antincendio, disciplinate dal D.M. n. 246 del 16/05/1987, che classifica gli stessi edifici in base all'altezza antincendio, così come riportato in un apposita tabella "A", nella quale sono indicate le prescrizioni per ogni tipo di edificio, con altezze a partire da 12 metri fino ad oltre 80 metri.

Ciò posto, nei casi in cui la normativa giuridica e tecnica lo prescriva, tali disposizioni vanno applicate, in via preventiva, ai fabbricati condominiali, per tutelare l'incolumità delle persone residenti e che vi si recano a lavorare, con l'obbligo per l'amministratore di farle rispettare.

La funzione preminente dei provvedimenti sulla prevenzione incendi, soprattutto dal punto di vista degli accorgimenti e dei modi di azione da intraprendere, è proprio quella di tutelare la sicurezza della vita umana, per evitare o comunque limitare le eventuali conseguenze dannose di un incendio (art. 13 D.Lgs 139/2006).

Pertanto, in termini di violazione di norme antincendio, non è possibile fornire una soluzione univoca adatta ad ogni caso, ma deve essere ricercata una specifica risposta per ognuno dei casi concreti.

Ad esempio, potrebbero esistere negli edifici anche attività private, come supermercati, autorimesse, officine, ecc. che impongono direttamente in capo ai loro titolari l'obbligo di uniformarsi alla normativa antincendio, al di là della responsabilità dell'amministratore, per la prevenzione incendi nelle parti comuni.

In questo caso, seppure in zone e volumi dell'edificio, a prima vista separati, in conformità alle norme di sicurezza, è possibile la coesistenza di più attività, ciascuna con il suo C.P.I.

A questo punto occorre stabilire quando la condotta omissiva dell'amministratore determina una responsabilità penale per incendio colposo?

Ebbene, per rispondere penalmente, è necessario che la condotta omissiva dell'amministratore, ossia la sua inerzia, sia stata determinate nell'incidente o meglio condizione necessaria per la realizzazione dell'evento lesivo, con "alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica" (Cass. n. 39959 del 23/09/2009).

Tale pronuncia stabilisce che la motivazione della condanna penale debba essere "apparente e caratterizzata da formule assertive", cioè fondata sull'esistenza del nesso causale tra la condotta adottata e l'evento lesivo prodotto.

Quindi se è vero che "l'amministratore condominiale è titolare di un obbligo di garanzia relativo alla conservazione delle parti comuni" dell'edificio, è pur vero che la condanna penale può azionarsi soltanto nel caso in cui venga accertato che la condotta omissiva dello stesso amministratore abbia rappresentato un presupposto indispensabile ai fini dell'evento lesivo.

Ciò significa che l'amministratore non risponde penalmente dei danni se la sua inerzia non è stata determinante nell'incendio.

Peraltro per la configurabilità di un incendio colposo è necessario che il fuoco sia di vaste proporzioni e con propensione ad ulteriore espansione, oltre ad essere causato dalla condotta imprudente e negligente dell'agente, che non deve aver agito intenzionalmente per cagionare l'evento dannoso (Cass. n. 5008/1984).

In conclusione possiamo dire che la vigilanza sull'applicazione delle misure di prevenzione incendi nei fabbricati condominiali è un dovere dell'amministratore, ma l'applicazione e l'ossequio delle stesse misure restano un dovere dei condòmini.

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