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La servitù di passaggio

Le servitù prediali e la categoria di diritto reale di godimento.
Avv. Caterina Tosatti - Foro di Roma 

Ci occuperemo, nel presente lavoro, delle servitù prediali, ovvero di questa particolare categoria di diritto reale di godimento in re aliena, cioè su beni di proprietà altrui, prendendo in esame, nello specifico, la servitù di passaggio.

Innanzitutto, sarà utile premettere alcuni cenni generici e teorici sulle servitù prediali in quanto tali.

Le servitù prediali: cenni generali

L'art. 1027 c.c., che apre il Titolo VI del Libro II sulla Proprietà, definisce le servitù prediali come il peso imposto ad un fondo (che si definisce 'servente') per l'utilità di un altro fondo (che si definisce 'dominante'), appartenente a proprietario diverso.

Quindi, la norma in parola ci permette di cogliere immediatamente alcune delle caratteristiche fondamentali delle servitù in generale, ovvero:

  • la "predialità", cioè il legame con il fondo (dal Latino, 'praedium')
  • l'utilità, cioè il vantaggio che deve derivare al fondo dominante ed essere realizzato dal o tramite il fondo servente
  • l'appartenenza dei due fondi a proprietari diversi, secondo il principio di derivazione romanistica per cui nemini res sua servit, ovvero nessuno costituisce servitù su beni di sua proprietà, il quale però subisce un'attenuazione per effetto della comproprietà del fondo oppure nel caso di destinazione del padre di famiglia, come vedremo appresso.

È utile, a tal proposito, esaminare subito una pronuncia della Cassazione che riguardava un caso, invero assai frequente nella pratica, in cui due proprietari, titolari di edifici diversi, avevano in comune un cortile; uno dei proprietari procede ad aprire due vedute sul proprio edificio, rivolte sul cortile comune, fatto da cui nasce la controversia poi arrivata a Piazza Cavour.

La Corte osserva quanto segue:

«La questione di diritto che il Collegio è chiamato a risolvere… riguarda la legittimità o meno della apertura di vedute (o della trasformazione di preesistenti luci in vedute) su un cortile comune, da parte del proprietario esclusivo di un edificio che sia anche comproprietario del cortile, con la peculiarità che tra il cortile comune (sul quale prospetta la veduta) e l'edificio nel quale è stata creata non esista nessun rapporto di accessorietà [cioè, che non esista un Condominio, N.d.A.].

Nella giurisprudenza di legittimità si registrano due posizioni: alcune pronunce hanno affermato che, quando un cortile è comune a distinti corpi di fabbrica e manca una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all'art. 1102 c.c., comma 1, in base al quale ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti.

In tal senso, l'apertura di vedute su area di proprietà comune ed indivisa tra le parti costituirebbe opera sempre inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia per il principio "nemini res sua servit", che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, con il solo limite, posto dall'art. 1102 c.c., di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri comproprietari (Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16069; Cass. Sez. 2, 26/02/2007, n. 4386; Cass. Sez. 2, 19/10/2005, n. 20200).

Accanto a tale impostazione se ne pone un'altra, che, a ben vedere, si collega all'originario orientamento di questa Corte, secondo cui, ove sia accertata la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorché fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialità dell'area scoperta, ai sensi dell'art. 1117 c.c., l'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c. Il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell'immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., il quale non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 26807 del 21/10/2019 Rv. 655658; Cass. Sez. 2, 04/07/2018, n. 17480; Cass. Sez. 2, 21/05/2008, n. 12989; Cass. Sez. 2, 20/06/2000, n. 8397; Cass. Sez. 2, 25/08/1994, n. 7511; Cass. Sez. 2, 28/05/1979, n. 3092)».

La Corte aderisce a tale secondo orientamento, ritenendolo più pertinente sia alla questione relativa all'accertamento della 'condominialità' del cortile, sia perché maggiormente aderente all'interpretazione del principio nemini res sua servit, che va applicato «quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante, e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell'altro, giacché in tal caso l'intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26807 /2019 cit; Sez. 2 -, Ordinanza n. 21020 del 06/08/2019 Rv. 655193; Cass. Sez. 2, 03/10/2000, n. 13106; Cass. Sez. 2, 02/06/1999, n. 5390; Cass. Sez. 2, 18/02/1987, n. 1755)», così rinviando al Giudice del merito affinchè procedesse previamente ad accertare se la situazione oggettiva dei due edifici e del cortile desse luogo o meno alla presenza di più proprietà aventi parti comuni ai sensi degli artt. 1117 e 1117 bis c.c. e così determinare la normativa applicabile (di conseguenza, determinare la costituzione di una servitù o meno).

Un'ulteriore qualità che si ricava implicitamente dal concetto di servitù prediale è la vicinanza dei fondi; infatti, gli stessi devono essere almeno vicini, se non proprio confinanti allo scopo di realizzare l'utilità a favore del dominante ed a carico del servente.

Quanto all'utilità, l'art. 1028 c.c. specifica che essa può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante e può anche inerire la destinazione industriale del fondo. L'utilità dovrà però sempre essere oggettivamente apprezzabile, cioè dovrà essere quel vantaggio che qualsiasi proprietario del fondo dominante può trarre da quel fondo servente che è assoggettato a quella servitù e non un qualcosa che solamente quel proprietario può ricavare, altrimenti si perde il contenuto della realità (cioè del riferimento del diritto di godimento alla cosa, 'res' e non in dipendenza alla persona che lo esercita) nonché della predialità (cioè il riferimento al fondo in quanto tale).

È ammesso anche che l'utilità consista in un vantaggio futuro, come previsto dall'art. 1029 c.c., a patto che detto vantaggio non sia solamente una speranza, ma abbia quantomeno il carattere dell'eventualità.

In questo caso, la servitù per vantaggio futuro nasce immediatamente alla sua costituzione, ma diviene efficace dal momento in cui è 'esigibile' il vantaggio, come nel caso dell'edificio da costruire (2° comma, art. 1029 c.c.) o di un fondo da acquistare, dove l'efficacia decorre dal giorno in cui l'edificio è costruito o il fondo è acquistato.

La servitù 'viaggia' insieme al bene immobile (il fondo) a carico/ a favore del quale è posta, in quanto è un predicato dell'oggetto del diritto; quindi, quando il fondo servente viene trasferito da Tizio a Caio, sarà Caio a dover sopportare la servitù imposta a quanto ha acquistato. L'unico modo per liberarsi della servitù è cedere (o abbandonare, cioè cedere al fondo dominante) il fondo servente.

Circa il concetto di indivisibilità della servitù, con perpetuazione della stessa anche in caso di divisione dei fondi, giova rammentare quanto di recente stabilito dalla Cassazione, con rinvio al Giudice del merito per l'accertamento dell'interclusione - in un caso riguardante proprio la servitù di passaggio: «per questa Corte, in tema di servitù prediali, il principio della cosiddetta indivisibilità di cui all'art. 1071 c.c., comporta, nel caso di frazionamento del fondo dominante, la permanenza del diritto su ogni porzione del medesimo, salve le ipotesi di aggravamento della condizione del fondo servente; poiché tale effetto si determina "ex lege", al riguardo non occorre alcuna espressa menzione negli atti traslativi attraverso i quali si determina la divisione del fondo dominante, sicché nel silenzio delle parti - in mancanza di specifiche clausole dirette ad escludere o limitare il diritto - la servitù continua a gravare sul fondo servente, nella medesima precedente consistenza, a favore di ciascuna di quelle già componenti l'originario unico fondo dominante, ancora considerato alla stregua di un "unicum" ai fini dell'esercizio della servitù, ancorché le singole parti appartengano a diversi proprietari, a nulla rilevando se alcune di queste, per effetto del frazionamento, vengano a trovarsi in posizione di non immediata contiguità con il fondo servente (Cass., sez. 2, 31 gennaio 2006, n. 2168; Cass., sez. 2, 3 luglio 2019, n. 17884; Cass., sez. 2, 27 agosto 2020, n. 17940).

Il giudice del rinvio dovrà provvedere all'esame di tali documenti, per accertare la sussistenza o meno dell'interclusione dei fondi» (Cass., ord. n. 11355/2022).

Qual è il contenuto della servitù? Il Codice civile lascia ampia autonomia alle parti, che possono quindi determinare in che cosa consista la servitù, avuto riguardo alla sua tipologia ed ai limiti imposti dalla legge ai vari tipi di servitù prediale.

In particolare, l'art. 1030 c.c., che è rubricato «Prestazioni accessorie», ci ricorda che il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l'esercizio della servitù da parte del fondo dominante (regola): tuttavia, è possibile che la legge o il titolo prevedano diversamente (eccezione).

Quanto alle eccezioni poste dalla legge, possiamo menzionare:

  • l'art. 1069 c.c., che disciplina le opere che il proprietario del fondo dominante può compiere sul fondo servente (a sua cura e spese) per conservare la servitù e che prevede anche che il titolo possa disporre diversamente, cioè che anche il fondo servente debba partecipare a dette spese e stabilire altresì che, qualora le spese giovino anche al fondo servente, questo debba partecipare ad esse in proporzione al vantaggio che ne trae (mentre il residuo viene sostenuto dal fondo dominante);
  • l'art. 1070 c.c., che prevede, come abbiamo già anticipato, che il proprietario del fondo servente possa liberarsi delle spese necessarie per l'uso o la conservazione della servitù cui sia tenuto per legge o in forza del titolo rinunziando alla proprietà del fondo servente stesso a favore del proprietario del fondo dominante;
  • gli artt. 1090 e 1091 c.c., relativi alla servitù di presa o derivazione di acqua, laddove la manutenzione delle sponde e lo spurgo del canale potrebbero essere imposte al fondo servente dal titolo costitutivo della servitù o ancora, laddove il fondo servente, generalmente obbligato a manutenzione ordinaria e straordinaria della condotta d'acqua sino al punto di consegna, potrebbe essere esonerato dal titolo.

Infine, avendo sinora parlato di titolo, specifichiamo, come prevede l'art. 1031 c.c., che le servitù prediali possono essere costituite in 4 modi:

  • coattivamente (artt. 1032 e ss c.c.): si tratta delle servitù che spettano al proprietario del fondo dominante per legge e che, laddove manchi l'elemento volontario (cioè, qualora il fondo dominante non ottenga la costituzione della servitù tramite contratto con o donazione da parte del fondo servente), possono essere imposte (rectius, costituite) con sentenza, che determinerà anche le modalità di esercizio e l'indennità dovuta; il diritto a chiedere la costituzione coattiva della servitù è imprescrittibile e irrinunziabile; tra queste, figura la servitù di passaggio coattivo, disciplinata dagli artt. 1051 e ss c.c.;
  • volontariamente (artt. 1058 e ss. c.c.): sono le servitù costituite con un contratto, con una donazione o per testamento
  • tramite usucapione (artt. 1061 e 1065 c.c.): solamente per le servitù apparenti (vedi infra) si ammette questa forma di costituzione, dato che la stessa presuppone il possesso della servitù; in merito, la Cassazione, con recente ordinanza (n. 11834/2021), ha rammentato che ai fini del valido possesso pro usucapione di una servitù, è necessaria la presenza di opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù medesima, mentre non è sufficiente che la destinazione delle opere sia solamente concorrente o prevalente rispetto all'esercizio della servitù in parola
  • per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.): come spiega la norma, si tratta dei casi in cui due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario e questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù - pertanto, si tratta di ipotesi ammissibile solamente con riferimento a servitù apparenti - anche quando i fondi hanno cessato di appartenere allo stesso proprietario, ma non è stata data alcuna disposizione circa la servitù, per cui questa s'intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi poi separati; la prova della destinazione può essere data con qualsiasi mezzo (quindi, anche a mezzo testimoni) e non è prevista alcuna indennità, a differenza che nella costituzione coattiva o volontaria; quindi, fintantoché il proprietario dei due fondi è unico, la servitù non esiste, mentre essa viene automaticamente in esistenza nel momento in cui l'unico proprietario i) vende uno dei due fondi, mantenendo la proprietà dell'altro o ii) divide l'unico fondo, vendendone una parte e trattenendo l'altra per sé.

La Cassazione (sent. 3219/2014) spiega così la costituzione per destinazione del padre di famiglia - peraltro, proprio in tema di servitù di passaggio: «la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia ha per presupposto che due fondi, appartenenti in origine allo stesso proprietario, siano stati posti dallo stesso in una situazione di subordinazione dell'uno rispetto all'altro idonea a integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all'atto della separazione, sia mancata una manifestazione di volontà tale da escludere la preesistente relazione di sottoposizione di un fondo all'altro e risultino segni visibili concretantisi in opere permanenti necessarie per l'esercizio di una servitù e rivelatrici pertanto della sua esistenza; in particolare nel caso di servitù di passaggio, la servitù si intende costituita quando risulti l'esistenza di una o più opere visibili destinate stabilmente all'esercizio del passaggio dall'uno all'altro fondo e non risulti in altro modo manifestata una volontà contraria al mantenimento del passaggio come fino a quel momento esercitato dall'unico proprietario».

Questi rilievi sono particolarmente importanti per le parti che si determinino ad acquistare un immobile che potrebbe essere oggetto di una siffatta servitù: attenzione perché solamente l'originario proprietario, che riveste il ruolo del venditore di uno dei fondi in relazione di asservimento, può escludere tale rapporto di asservimento, facendone apposita ed espressa dichiarazione, che andrà regolarmente trascritta per essere opponibile, prima della vendita oppure al più tardi nell'atto di vendita stesso.

In mancanza di questa dichiarazione, il fondo viene alienato nella condizione in cui era prima, pertanto come fondo dominante o servente, a seconda dei casi.

Nascita di un condominio e di una servitù per destinazione del padre di famiglia

Le servitù vengono poi divise, per comodità, in alcune classificazioni:

  • apparenti e non apparenti: quando cioè siano presenti (apparenti) o manchino (non apparenti) opere visibili e permanenti tali da rivelare in modo inequivoco la presenza della servitù (art. 1061, 2° comma, c.c.), nonché per escludere la clandestinità del possesso e permettere al proprietario di reagire all'altrui comportamento acquisitivo per usucapione: la servitù di passaggio, per esempio, deve essere apparente
  • affermative o negative: come visto sopra, l'art. 1030 c.c. ci fa dedurre che il proprietario del fondo servente non abbia mai (di regola) un obbligo di facere (fare), ma unicamente un obbligo di pati (sopportare) o di non facere (non fare); la servitù di passaggio è una servitù affermativa, perché il fondo servente deve tollerare il passaggio del titolare del fondo dominante
  • continue o discontinue: si tratta di quelle servitù che, per essere esercitate richiedono o meno il fatto dell'uomo, che materialmente le esercita; la servitù di passaggio è discontinua

Come devono essere esercitate le servitù?

Innanzitutto, in conformità a quanto disposto dal titolo, poi secondo le facoltà necessarie all'esercizio della servitù di volta in volta individuata.

Se il titolo manca o si è nel dubbio, valgono le disposizioni di cui agli artt. 1063 - 1071 c.c.

In particolare, per quanto ci riguarda e per quello che si dirà della servitù di passaggio, l'art. 1064, 2° comma, c.c., prevede che, se il fondo (servente) viene chiuso, il proprietario deve lasciarne libero e comodo l'ingresso a chi ha un diritto di servitù che renda necessario il passaggio per il fondo.

Ancora: quando si è in dubbio circa l'estensione e le modalità dell'esercizio della servitù, si deve ritenere che la stessa vada esercitata in modo tale da recare il minor aggravio al fondo servente (art. 1065, 2° comma, c.c.).

Allo stesso tempo, il fondo dominante non può subire innovazioni tali da rendere più gravosa la condizione del fondo servente, né il fondo servente può diminuire l'esercizio della servitù o renderlo più incomodo.

Per il possesso della servitù si ha riguardo all'anno precedente al momento in cui si fa questione del possesso stesso: laddove si tratti di servitù esercitate a intervallo maggiore di un anno, alla pratica dell'ultimo godimento (art. 1066 c.c.).

È possibile, nei casi e secondo le condizioni determinate dall'art. 1068 c.c., che la servitù venga trasferita su un altro luogo, di proprietà del titolare del fondo servente o di un terzo.

Sul punto, risulta utile richiamare una pronuncia della Cassazione (ordinanza n. 17869/2019), in quanto si tratta di vicenda che coinvolgeva una servitù condominiale. In particolare, un Condominio aveva richiesto l'accertamento della servitù a carico di un'area di risulta di proprietà di tre soggetti privati, avente ad oggetto il posizionamento di una cabina idrica e dell'autoclave, nonché il riconoscimento della servitù di passaggio attraverso detta area. La vicenda giunge in II°, dove la Corte d'Appello interessata rileva che, all'atto della costituzione del Condominio, gli impianti erano collocati in un'altra area, appartenente a terzi e solamente in seguito vennero spostati nell'area di comproprietà di uno dei convenuti in base ad accordi verbali, cosicché l'art. 1068 c.c. non era applicabile al caso di specie, posto che il fondo servente non era di proprietà del soggetto convenuto e che gli accordi verbali non erano idonei a costituire una servitù, non essendo peraltro nemmeno trascorso il termine per pronunciare eventuale usucapione.

La Cassazione rileva quanto segue: «Il trasferimento disciplinato dall'art. 1068 c.c. non è il trasferimento del diritto di servitù su di un fondo diverso da quello che ne era originariamente gravato, che non potrebbe in ogni caso avvenire senza il consenso di tutti i proprietari dei fondi interessati, bensì il semplice mutamento del luogo di esercizio della servitù, per tale dovendosi intendere la porzione del fondo gravato dalla servitù.

La corte territoriale ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il trasferimento della servitù di passaggio su un fondo servente di proprietà di un terzo richiede, ai sensi dell'art. 1068 c.c., comma 4, il consenso di quest'ultimo, consenso che non può ritenersi implicito nel fatto che il proprietario già consenta il passaggio a taluni, essendo invece necessario, al fine della costituzione del rapporto intersoggettivo tra il titolare del fondo dominante ed il titolare del nuovo fondo servente, che il consenso sia non solo esplicito, ma, considerata la natura del diritto, manifestato per iscritto (Cassazione civile sez. II 19/04/2012, n. 6130) Nella specie, il giudice d'appello ha accertato che il fondo servente, ove era collocata originariamente la cabina idrica era di proprietà di terzi e, solo nel 1991 venne spostata nell'area di risulta, di cui è comproprietaria una dei convenuti.

Era, pertanto, necessario il consenso del proprietario del fondo servente per costituire la servitù volontariamente mentre era irrilevante la situazione di fatto della presenza della cabina idrica o la sussistenza di meri accordi verbali».

La servitù è sempiterna o ha una fine?

Gli artt. 1072 e ss. c.c. dispongono che la servitù si estingua:

  • per confusione: quando cioè la proprietà dei due fondi si riunisce in un'unica persona
  • per prescrizione: quando cioè la servitù non viene 'usata' (esercitata) per vent'anni, con decorrenza diversa del termine a seconda della tipologia di servitù: per quello che ci interessa, la servitù di passaggio, essendo affermativa e discontinua, si prescriverà se il fondo dominante non la esercita per 20 anni a partire dall'ultimo atto di esercizio, così che potrebbe interrompersi e iniziare di nuovo a decorrere con l'atto di esercizio seguente e prescriversi se tra i due atti intercorrano almeno 20 anni;
  • per impossibilità di uso o mancanza di utilità, sottospecie del caso di estinzione per prescrizione

È opportuno specificare che, così come per le servitù costituite volontariamente, il contratto o il testamento o la donazione potrebbero prevedere un termine o una condizione, che facciano cessare la servitù, per quanto riguarda le servitù coattive, al venire meno del presupposto di legge o laddove il fondo muti destinazione, se le parti non riescono ad accordarsi si dovrà ricorrere al Giudice affinché pronunci sentenza costitutiva che disponga la cessazione della servitù, con decisione circa l'eventuale restituzione dell'indennità a suo tempo versata al fondo servente: si parla, in questi casi, di 'soppressione' della servitù coattiva, poiché la stessa, al nuovo mutare dello stato dei luoghi o al rivivere dei presupposti di legge, potrà essere nuovamente costituita.

La servitù di passaggio

Come intuiamo dalla terminologia utilizzata, la servitù di passaggio consiste nel concedere - al fondo dominate - la facoltà di passare sul e attraverso il fondo servente.

Mentre in caso di servitù costituita per volontà delle parti o per destinazione del padre di famiglia, purchè sia rispettata l'utilità che la servitù arreca al fondo dominante, non dovremo porci particolari problemi in ordine alla materiale situazione (nel senso di collocazione e distribuzione spaziale) dei fondi, perché saranno le parti o l'originario proprietario ad averne determinato il vantaggio, la costituzione della servitù coattiva di passaggio, così come regolata dagli artt. 1051 - 1055 c.c., può essere ammessa solamente previo scrutinio dei presupposti disciplinati dalla legge.

Vediamo allora di esaminare le norme in parola per comprendere quando spetti questo tipo di servitù.

Premettiamo che il passaggio coattivo può essere imposto, ricorrendone le condizioni che vedremo, sia a fondi di tipo rustico che urbano, laddove, con la parola «fondo» dobbiamo intendere l'intera estensione di superficie contigua che sia di proprietà di uno stesso soggetto e le cui diverse porzioni siano intercomunicabili tra loro.

Secondo la giurisprudenza, ai fini del passaggio coattivo, il fondo dominante va identificato come intero e unico, mentre sono escluse parti, porzioni o particelle di una stessa proprietà, tanto da negare la costituzione della servitù quando sussistano parti contigue di un terreno di proprietà della medesima persona, aventi destinazione economica eterogenea, perché non si può concedere una pluralità di passaggi coattivi stante l'assenza di unitarietà del fondo che aspira ad essere dominante (Cass., sent. n. 24367/2018).

Allo stesso modo il passaggio coattivo non è ottenibile quando una parte del fondo non risulti raggiungibile a causa della divisione materiale del fondo operata dal proprietario, dato che non è consentito al proprietario di avvantaggiarsi di una situazione creata da sé medesimo, perché lo stesso può autonomamente e liberamente porre fine allo stato di interclusione così come lo ha creato (Cass., sent. n. 18372/2004).

Servitù di passaggio, un caso particolare

Lato servente, il fondo che può essere assoggettato alla servitù per creare il passaggio può anch'esso essere sia rustico che urbano, con l'unica esclusione prevista dall'art. 1051, 4° comma, c.c., cioè case, cortili, giardini ed aie ad esse attinenti.

Si ritiene altresì escluso un fondo appartenente al demanio dello Stato, mentre la dottrina discute se sia possibile ammetterlo per il patrimonio indisponibile di Stato ed enti pubblici.

Infine, quando il fondo servente sia situato tra due vie pubbliche, il passaggio si può costituire solamente se manca la prova della destinazione del fondo ad uso pubblico, cioè al passaggio che può fare su di esso la generalità dei cittadini oppure della formale manifestazione di volontà in tal senso della Pubblica Amministrazione competente (Cass., sent. n. 853/1999).

Fondo assolutamente o relativamente intercluso e fondo non intercluso

L'art. 1051, 1° e 3° comma, c.c. disciplina l'ipotesi di servitù coattiva di passaggio per il caso, rispettivamente, di fondo assolutamente o relativamente intercluso.

Si ha 'interclusione assoluta' quando il fondo dominante sia circondato completamente da fondi altrui e non abbia un'uscita sulla via pubblica né possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio - e laddove il passaggio sia necessario ai fini della coltivazione e del conveniente uso del proprio fondo.

Si ha invece 'interclusione relativa' quando il fondo dominante, pur avendo un passaggio su fondo altrui (e, dunque, l'uscita sulla via pubblica), abbia necessità di ampliarlo, ai fini della coltivazione e del conveniente uso del proprio fondo, allo scopo di consentire il transito di veicoli a trazione meccanica.

Si ha infine un fondo non intercluso quando il fondo dominante abbia un accesso alla via pubblica, ma questo sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non possa essere ampliato: in tali casi, il passaggio può essere riconosciuto dall'autorità giudiziaria - quindi costituito coattivamente - solamente laddove questa riconosca (quindi accerti) che la domanda risponde alle esigenze dell'agricoltura o dell'industria.

In seguito alla sentenza n. 167 del 10 maggio 1999 della Corte costituzionale, l'art. 1052 c.c. in materia di fondo non intercluso va interpretato nel senso che il passaggio coattivo va concesso dal Giudice anche quando la domanda risponda ad esigenze di accessibilità da parte di portatori di handicap agli edifici destinati ad uso abitativo; la Cassazione, invece, ha di recente incluso nel novero anche le esigenze abitative, da chiunque invocabili (sent. 14477/2018).

È stata negata più volte l'applicazione analogica di quanto sopra a due fondi non interclusi che appartengano alla medesima azienda o compendio immobiliare, in quanto le norme sono intese alla tutela del collegamento del fondo totalmente o parzialmente intercluso con la via pubblica, non rilevando l'opportunità di un collegamento più breve o comodo laddove quello con la via pubblica sia già esistente.

Come «conveniente uso del proprio fondo» non dobbiamo intendere poi l'esclusivo fine di coltivazione, ma possiamo includere anche le esigenze di carattere industriale e commerciale, purchè siano tutti riconducibili all'interesse del proprietario del fondo intercluso.

A differenza, invece, di quanto avviene per il fondo non intercluso, dove l'art. 1052 c.c. espressamente menziona e circoscrive l'ambito alla agricoltura ed industria, quindi ad un interesse di carattere collettivo e non del solo proprietario del fondo.

La nozione di «fondo circondato da fondi altrui» è stata interpretata in senso estensivo dalla giurisprudenza; tra le varie ipotesi, sono inclusi i casi di interclusione tra beni demaniali, di contiguità con il lido del mare, con un torrente, da un altro fondo di cui il proprietario del fondo dominante sia comproprietario o da altro fondo di proprietà di terzi.

La mera tolleranza del vicino nei confronti del proprietario del fondo dominante che utilizza il passaggio per accedere alla via pubblica non determina l'elemento dell'interclusione, così non permettendo la costituzione del passaggio coattivo.

Quanto all'interclusione relativa, essa è stata riconosciuta anche qualora il passaggio sia acquisibile solamente, ad esempio, costruendo un ponte o un cavalcavia o un sottopassaggio oppure quando sussista un dislivello tale tra il fondo e la pubblica via per cui l'accesso potrebbe avvenire solamente tramite una scala molto ripida (Cass., sent. n. 3232/2017) così come qualora la via pubblica sia assolutamente impraticabile.

Attenzione, perché il passaggio coattivo per l'interclusione relativa verrà concesso solamente laddove il disagio o dispendio del fondo dominante siano maggiori del sacrificio imposto al vicino, una volta divenuto fondo servente, tenuto conto del valore del fondo intercluso e del tipo di bisogno che il passaggio coattivo intende soddisfare.

Inoltre, a differenza di quanto visto per l'interclusione assoluta, la giurisprudenza ammette il passaggio coattivo quando l'interclusione relativa sia stata 'creata' dal fatto del proprietario del fondo dominante, ma il Giudice dovrà accertare che la trasformazione sia a favore del conveniente uso del fondo dominante e valutare l'eccessivo dispendio o disagio alla stregua di quello che verrebbe a subire il fondo servente.

Modalità e collocazione della servitù di passaggio

Nel caso di passaggio coattivo concesso a fronte di fondo totalmente o relativamente intercluso, la sentenza dovrà determinare sia il fondo che diventerà servente, sia la parte di esso su cui l'accesso verrà a costituirsi ed esplicarsi, oltre alle modalità della servitù da istituire.

Per previsione di legge (art. 1051, 2° comma, c.c.), la servitù va esercitata nella parte del fondo servente per cui l'accesso alla pubblica via sia più breve e riesca di minore danno al fondo: questo perché, da un lato, il fondo dominante deve ottenere la massima comodità e dall'altro, specularmente, il fondo servente deve ricevere il minore danno, ove ciò 'interessa' anche il fondo dominante che dovrà pagare l'indennità al servente, per cui minore è il danno e minore sarà l'indennità.

Come opera il Giudice per stabilire il percorso maggiormente congruo rispetto ai criteri dell'accesso più breve e del minore danno?

La misurazione rispetto alla brevità viene eseguita dal confine del fondo intercluso con i fondi da attraversare per giungere alla pubblica via, mentre non viene calcolata la zona interna al fondo intercluso, dove si svolge l'attività per favorire la quale si chiede il passo coattivo.

Quale criterio prevale? Il Giudice dovrà sempre essere guidato dalla soluzione che comporti il minore aggravio del fondo servente, pur mantenendo la più idonea utilizzazione del fondo dominante.

Azioni e oggetto di tutela, legittimazione e litisconsorzio

Secondo la giurisprudenza, gli artt. 1051, 3° co. e 1052 regolano situazioni diverse in fatto.

L'art. 1051, 3° comma, c.c. disciplina la domanda di ampliamento della servitù con riferimento ad esigenze del fondo dominante e con riguardo alla possibilità concreta di un più intenso sfruttamento o di una migliore sua utilizzazione; l'art. 1052 c.c. ha come base, invece, l'impossibilità per un fondo di ampliare un accesso alla via pubblica già esistente, ma solo qualora si accerti la rispondenza alle esigenze dell'agricoltura e dell'industria (Cass., sent. n. 10595/2013).

Quindi, nel caso dell'ampliamento previsto dall'art. 1051, 3° comma c.c., il Giudice, nell'eseguire l'accertamento dei «bisogni» del fondo dominante, è costretto ad esaminare la posizione difensiva del proprietario del fondo servente, convenuto.

Infatti, costui non potrebbe validamente eccepire che sia possibile realizzare il passaggio sul fondo di un terzo e con un percorso più breve, ma potrebbe opporre l'idoneità di un altro accesso, laddove sia meno dannoso rispetto al domandato ampliamento oppure potrebbe opporre la materiale impossibilità dell'ampliamento (Cass., sent. n. 11091/2000).

Dal punto di vista della legittimazione attiva e passiva, ovvero di chi può proporre la domanda di costituzione del passaggio coattivo e di chi la deve subire, sembra ormai pacifico potersi ammettere che la domanda vada promossa nei confronti del proprietario del fondo che si intende asservire (quello che diverrà fondo servente) - o, nel caso di ampliamento, nei confronti del proprietario del fondo servente sul quale va disposto l'ampliamento.

Lato attivo, la domanda di passaggio coattivo può essere promossa sia dal proprietario del fondo intercluso (futuro dominante), sia dall'enfiteuta, dal superficiario e dall'usufruttuario, tutti aventi - causa dal primo, mentre viene esclusa la possibilità in capo al conduttore, poiché costui ha una semplice detenzione del fondo.

Quid iuris nel caso di presenza di più fondi da asservire oppure di una comproprietà sul fondo servente?

Nel caso di comproprietà, si ritiene che il litisconsorzio necessario dei comproprietari debba essere affermato: attenzione, 'litisconsorzio' significa unicamente che l'attore (colui che, nel nostro caso, domanda la costituzione della servitù) dovrà citare in giudizio tutti i soggetti che risultano comproprietari del fondo che intende asservire (o rispetto al quale intende ottenere l'ampliamento della servitù); ovviamente, potrebbe accadere che alcuni di costoro rimangano contumaci, cioè non si costituiscano in giudizio, ma ciò che rileva, ai fini dell'integrazione del contraddittorio, è che gli stessi siano stati regolarmente convocati, cosicché la sentenza possa avere efficacia anche nei loro confronti.

La giurisprudenza si era invece divisa a lungo circa la configurabilità di un litisconsorzio necessario o facoltativo, nel caso in cui più fondi risultassero asservibili, con conseguenze di non poco conto, dato che, ammettendo un litisconsorzio necessario e dinnanzi a domanda di passaggio coattivo promossa solamente verso alcuni dei fondi, la sentenza costitutiva della servitù rischierebbe di essere inefficace, proprio a fronte della mancata partecipazione al giudizio dei soggetti pretermessi.

La Cassazione è intervenuta, con la sentenza n. 9685 del 2013, adottata dalle Sezioni Unite, ove ha stabilito che l'azione di costituzione coattiva di servitù di passaggio deve essere contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all'accesso alla pubblica via, realizzandosi la funzione propria del diritto riconosciuto al proprietario del fondo intercluso dall'art. 1051 solo con la costituzione del passaggio nella sua interezza; ne consegue che, in mancanza, la domanda va respinta, perché diretta a far valere un diritto inesistente, restando esclusa la possibilità di integrare il contraddittorio rispetto ai proprietari pretermessi (peraltro, di recente, questo indirizzo è stato richiamato, con riferimento alla servitù coattiva d'acquedotto, da Cass., sent. n. 23459/2021).

A ciò aggiungasi, tuttavia, che molto dipende dalla situazione di fatto dei fondi intercludenti, cioè dei fondi che 'si frappongono' all'accesso/uscita alla pubblica via del fondo intercluso: infatti, quando questi fondi intercludenti non siano consecutivi e la servitù possa essere esercitata in via alternativa rispetto ad uno qualsiasi di essi, chi agisce per chiedere la costituzione della servitù non è tenuto a chiamare in causa tutti i proprietari dei suddetti fondi intercludenti, in quanto l'attore (chi chiede la costituzione della servitù), qualora il Giudice rigetti la sua domanda contro uno dei fondi, potrà agire nei confronti del secondo, del terzo e così via (così, da ultimo Cass., sent. n. 10045/2008).

Come viene ripartito l'onere della prova nel giudizio di costituzione coattiva del passaggio?

Il proprietario del fondo dominante (chi agisce per ottenere la servitù o il suo ampliamento) deve provare il fatto costitutivo, cioè i presupposti di volta in volta previsti (art. 1051, 1° e 3° comma e art. 1052 c.c.).

Il convenuto, cioè proprietario del fondo servente, dovrà eccepire e dare prova della mancanza dell'interclusione del fondo dominante oppure la sufficienza dell'ampiezza del passaggio già esistente.

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