La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 1212 del 12 aprile 2023, ha affermato il principio secondo cui una servitù volontaria non può mai costituirsi mediante atto unilaterale inter vivos, nemmeno se la dichiarazione proviene dal venditore stesso, cioè dal soggetto che aliena il fondo servente. Analizziamo la vicenda.
Servitù volontaria e dichiarazione unilaterale: fatto e decisione
Il proprietario di un'abitazione con annesso giardino agiva in negatoria servitutis ai sensi dell'art. 949 c.c. nei confronti del titolare dell'immobile limitrofo, reo di aver aperto due vedute e una porta-finestra sul giardino di pertinenza esclusiva.
Avverso la sentenza sfavorevole di primo grado proponeva appello parte convenuta, asserendo di poter accedere al giardino in virtù di servitù di passaggio: il giardino, infatti, consentiva l'accesso alla pubblica via.
La Corte meneghina, con la sentenza in commento, ha ritenuto infondata la doglianza. All'interno dell'atto di donazione degli aventi causa è dato leggere infatti che «… le parti col presente atto riconoscono che le medesime servitù e diritti sono di fatto già praticati ed esercitati e quindi competono anche alle altre porzioni di fabbricato di proprietà di terzi affacciantesi sull'area in questione».
Secondo il collegio milanese, il riconoscimento delle "servitù già praticate ed esercitate" non comporta la costituzione di tale diritto in re aliena in favore dell'unità immobiliare dell'appellante.
Il riconoscimento di una situazione di fatto è infatti espressione ricognitiva di una realtà ben diversa dalla manifestazione della volontà di costituire il diritto di servitù.
È appena il caso di precisare, infatti, che la servitù prediale volontaria non può essere costituita mediante atto unilaterale inter vivos; è perciò da escludere che detto effetto possa conseguire dalla dichiarazione unilaterale del venditore il quale, nell'atto di alienazione dell'immobile, riconosca l'esistenza di una servitù sul fondo venduto a vantaggio del fondo di un terzo non partecipe al contratto (così anche Cass., sent. n. 9687 del 18 giugno 2003).
Ne consegue che a tale atto non può pertanto riconoscersi valore di prova circa l'esistenza del diritto di proprietà o di altri diritti reali.
Secondo il giudice milanese, non è infatti configurabile la costituzione convenzionale di una servitù se, oltre all'osservanza della forma scritta per l'estrinsecazione della precisa volontà del proprietario del fondo servente di costituire la servitù, non risultino specificamente determinati nel titolo tutti gli elementi atti a individuarla, quali il fondo dominante, il fondo servente, il peso e la loro estensione.
Costituzione della servitù volontaria: considerazioni conclusive
La sentenza della Corte d'Appello di Milano si pone nel solco della precedente giurisprudenza di legittimità. Secondo la Suprema Corte, infatti, va esclusa la costituzione di una servitù con riguardo all'atto di trasferimento del fondo e alla relativa clausola che prevede, del tutto genericamente, che il bene viene trasferito con tutte le servitù attive e passive che vi erano, senza alcuno specifico richiamo ai titoli costitutivi (così, ex multis, Cass., sent. n. 18349 del 25 ottobre 2012).
Il titolo costitutivo di una servitù prediale deve quindi contenere tutti gli elementi atti ad individuare il contenuto oggettivo del peso imposto sopra un fondo per l'utilità di altro fondo appartenente a diverso proprietario, con la specificazione dell'estensione e delle modalità di esercizio in relazione all'ubicazione dei fondi, restando inefficaci, per detti fini, le clausole di stile, che facciano, cioè, generico riferimento a stati di fatto sussistenti, a servitù attive e passive, ecc.
Insomma: la servitù non sorge in conseguenza del riconoscimento del titolare del presunto fondo servente, in quanto trattasi di diritto reale (non mera obbligazione) che nasce esclusivamente nei casi e con le modalità previste dalla legge (contratto, testamento, sentenza, usucapione o destinazione del padre di famiglia).