A queste domande ha dato risposta una recente sentenza del Tribunale di Roma, sezione V civile, n. 247 del 5 gennaio 2023.
Controversia tra comproprietari per l'uso esclusivo di un immobile
Dopo la morte della madre, usufruttuaria di un appartamento sito nella Capitale, il figlio comproprietario pro indiviso dell'appartamento insieme al nipote, agiva in Tribunale per il rilascio dell'immobile da parte di quest'ultimo che lo avrebbe occupato da tempo in via esclusiva e senza alcun titolo.
Il comproprietario chiedeva in giudizio l'immediato rilascio dell'immobile, l'indennizzo per l'occupazione senza titolo e la restituzione delle spese condominiali da lui sostenute.
Il convenuto nipote, contestava le richieste dello zio, affermando che nell'appartamento si era trasferita la di lui madre, per assistere la madre dello zio dopo un grave intervento chirurgico; egli al contrario non avrebbe mai occupato l'appartamento e lo zio non aveva mai rivendicato l'utilizzo del bene prima di agire in giudizio per il rilascio dell'immobile.
Azione di rilascio di un bene in comproprietà
Prima di entrare nel merito della vicenda, il Tribunale di Roma delinea i confini dell'azione giudiziaria da intraprendere nel caso in esame. L'azione di rilascio esperita in giudizio, si legge in sentenza, è da qualificarsi come "actio restitutoria" di natura personale in relazione alla possibilità di rilascio di un bene in comproprietà pro indiviso.
Infatti, non è in contestazione la titolarità pro quota del bene immobile del nipote, "quanto la circostanza di non consentire allo zio di disporre della propria quota, ovvero di fare uso della cosa comune secondo il suo diritto ai sensi degli artt. 1102 e 1103 c.c.".
Si tratta di un'azione diversa da quella di rivendica di quota ideale di un bene in comproprietà, prevista dall'art. 948 c.c., di natura petitoria. Le differenze tra le due azioni incidono soprattutto in punto di valutazione dell'onere della prova.
Chi invoca la tutela della proprietà esclusiva, può infatti limitarsi ad allegare la compromissione del diritto e la lesione della proprietà senza necessità di alcun apprezzamento sulla compatibilità dell'uso con il pari diritto del comproprietario.
Diversamente, nell'azione di rilascio instaurata ai sensi degli artt. 1102 e 1103 c.c., come quella del caso in esame, occorre dimostrare il mantenimento della destinazione e la non compromissione del pari uso degli altri comproprietari.
Limiti legali all'uso della proprietà comune tra comproprietari
In base all'art. 1102 c.c., precisa il Tribunale capitolino, l'uso della cosa comune incontra due tipi di limitazioni:
- oggettiva o qualitativa: attiene alla res ed è finalizzata ad evitare che la funzione della cosa comune sia distolta da quella sua propria;
- soggettiva o quantitativa: pone l'accento sul potere degli altri comproprietari di usare ugualmente della cosa in conformità al diritto di comproprietà.
Dunque il "pari uso" della cosa comune previsto dalla norma non va inteso necessariamente come un uso "identico" e contemporaneo da parte di tutti i comunisti. Il comproprietario, afferma il Tribunale, può esercitare per intero il proprio diritto dominicale, fatto salvo l'obbligo di non alterare la destinazione economica e di non impedire agli altri comproprietari lo stesso e diretto uso.
Diritti di utilizzo esclusivo e loro impatti sulla comproprietà
Ciò significa, che il comproprietario può utilizzare il bene nella sua interezza, basta che non impedisca agli altri di farne uguale uso in maniera diretta, (ad esempio frazionando gli spazi o con uso turnario), o in maniera indiretta traendone i frutti civili.
Dunque l'uso esclusivo del bene da parte di un comproprietario non assume idoneità a produrre pregiudizio in danno degli altri comproprietari, tanto più se questi mostrano acquiescenza all'uso esclusivo, a meno di non dimostrare che il comproprietario con uso esclusivo del bene ha tratto anche un vantaggio patrimoniale dallo tesso.
Esito della causa e implicazioni per i comproprietari
Nel caso esaminato dal Tribunale, era incontestato che lo zio non avesse goduto dell'appartamento, nel quale, per espressa ammissione del nipote, aveva abitato la madre di quest'ultimo insieme alla madre dell'attore. Questi però non aveva dimostrato che l'uso esclusivo dell'immobile da parte degli occupanti fosse avvenuto contro la sua volontà.
Indennità di occupazione al comproprietario non occupante
Per il Tribunale, lo zio non ha diritto all'indennità di occupazione a titolo risarcitorio. Per ottenere tale indennità, scrive il Giudice romano, sarebbe stato necessario che:
- l'attore avesse manifestato effettivo interesse ad abitare l'appartamento, chiedendo di godere dell'immobile quantomeno con uso turnario;
- il convenuto avesse negato tale diritto.
In corso di istruttoria erano emersi invece elementi dai quali il Giudice ha desunto il disinteresse dell'attore ad occupare l'immobile.
Pertanto, "non essendo l'uso di fatto esclusivo, incompatibile con la comproprietà, il comproprietario che non intenda utilizzare il bene non può per ciò stesso richiedere all'altro comproprietario che intenda invece utilizzarlo, il pagamenda invece utilizzarlo, il pagamento di un'indennità a titolo di occupazione".
Canone di locazione e quote condominiali
Anche il diritto ai frutti civili, come il canone di locazione derivante dal godimento indiretto del bene, scrive il Tribunale, poteva essere riconosciuto all'attore se avesse dimostrato che il bene immobile aveva prodotto tale incremento patrimoniale.
Viceversa, la sentenza riconosce allo zio gli oneri condominiali pagati al Condominio anche per la quota di spettanza del nipote, e dei quali era stata prodotta in giudizio adeguata documentazione attraverso i bonifici di pagamento.