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Comunione pro diviso e pro indiviso

Quali sono le differenze tra questi due istituti? Quale la disciplina?
Avv. Anna Nicola - Foro di Torino 

La disciplina della comunione

La comunione in generale trova la sua disciplina negli artt. 1100-1116 c.c. Essa ha ad oggetto il diritto di proprietà o altro diritto reale su un bene ex art. 1100 c.c.

Si suole fare una distinzione all'interno di questo istituto. Da un lato vi è la comunione pro indiviso: questa ricorre nel caso in cui il diritto di ogni singolo comunista riguarda la cosa nella tua interezza.

Vi è poi la comunione pro diviso, che ricorre nella situazione in cui ogni soggetto ha una quota parte ben distinta e concreta del bene. Normalmente la comunione, in entrambe le tipologie, ha ad oggetto un bene immobile. Si tratta dei casi più consueti.

Il nostro legislatore cura la disciplina della sola comunione pro indiviso.

Tipologie di comunioni

A seconda di come si atteggia la volontà delle parti, si suole inoltre distinguere tra la comunione incidentale, che si ha quando l'istituto sorge per previsione legislativa oppure può essere volontaria, perché appunto formata per volontà dei soggetti interessati così ancora può essere comunione ereditaria che nasce in capo ai coeredi sui beni ereditari, caratterizzata essa sola dal diritto di prelazione dei coeredi in caso di alienazione di una quota.

Le norme che regolano la comunione

Le regole che disciplinano la comunione sono:

  1. L'atto costitutivo della stessa, quale ad esempio il contratto o il testamento; 2. Le norme codicistiche per le parti non sancite dalle parti o interamente ove non vi sia alcun regolamento contrattuale.

Nella comunione pro indiviso il bene è concreto e su di esso vi sono tante quote ideali quanti sono i comunisti. Salvo che non sia diversamente disposto, queste quote si presumono eguali a norma dell'art. 1101 c.c.

Importante è rilevare che ciascun partecipante può servirsi della cosa nei termini di cui all'art. 1102 c.c., cioè non alterandone la destinazione e non impedendo agli altri di servirsene. Si tratta di una norma importante non solo in ambito di comunione ma anche di condominio, a cui si applica in ragione del rimando operato dall'art. 1139 c.c., norma di chiusura del condominio.

Il contenuto di questa disposizione sta a significare che tutti i comunisti sono proprietari e possessori della cosa comune, in quanto va da sé che il comproprietario è titolare del diritto che, anche se in concorso e entro i limiti del pari diritto altrui, attiene all'intero bene e non alla semplice sua frazione di riferimento (Cass., 28 gennaio 2015, n. 1650).

Se il singolo occupa integralmente l'immobile destinandolo a un suo uso personale esclusivo, il comunista si espone a responsabilità per risarcimento danni, ben potendo gli altri domandare anche il lucro cessante.

L a giurisprudenza afferma che sia risarcibile non solo il lucro interrotto, ma anche quello che non è stato permesso potenzialmente utilizzare (Cass., 3 maggio 2019, n. 11731; Cass., 7 agosto 2012, n. 14213).

La vendita della quota

Il singolo può vendere o ipotecare la sua quota secondo il disposto dell'art. 1103 c.c.

A norma dell'art. 2825 c.c. l'ipoteca costituita sulla quota indivisa da uno dei partecipanti alla comunione produce effetto rispetto a quei beni o a quella porzione di beni che a lui verranno assegnati nella divisione.

Nel caso di comunione pro indiviso la vendita della quota non è possibile. Simile alienazione si qualificherebbe come vendita di cosa altrui. Per questa fattispecie la vendita della propria quota è fattibile solo a seguito di divisione del bene comune (Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5068).

Secondo autorevole dottrina sarebbero ammissibili atti di disposizione della cosa nella sua interezza da considerarsi come sottoposti alla condizione sospensiva dell'attribuzione della cosa in sede di divisione.

Secondo la giurisprudenza è necessario il consenso di tutti i comunisti quando vi è la proposta di vendita del bene in comunione, nella sua interezza.

Se qualche comunista non aderisce la proposta diventa inefficace, la successiva accettazione non fa nascere alcun contratto, neppure invalido (con conseguente inapplicabilità dell'ar. 1424 cc per la trasformazione del contratto in cessione della quota ideale).

Con ciò cede il suo diritto di comproprietà: da quando si ha l'alienazione, l'acquirente acquisisce la qualifica di comunista non solo per gli altri comproprietari ma anche nei confronti dei terzi. Il singolo può inoltre costituire diritti reali minori, quali ad esempio l'usufrutto.

Dubbi si hanno in merito alla facoltà di istituire servitù perché si ritiene che possa trattarsi di atto di disposizione eccedente la quota. Si veda infatti in questo senso l'art. 1059 del c.c.

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L'amministrazione della comunione

Occorre che il bene venga gestito, o meglio amministrato: tutti i comunisti hanno diritto di concorrervi; le decisioni sono assunte sulla base del calcolo non delle teste bensì del quantum delle singole quote.

Nel caso di nomina dell'amministratore della comunione, questi non ha legittimazione processuale a differenza di quanto statuito per l'amministratore di condominio.

"l'amministratore della comunione non può agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti, se tale potere non gli sia stato attribuito nella delega di cui al comma 1 dell'art. 1106 c.c., non essendo applicabile analogicamente - per la presenza della disposizione citata, che prevede la determinazione dei poteri delegati - la regola contenuta nel comma 1 dell'art. 1131 c.c., la quale attribuisce all'amministratore del condominio il potere di agire in giudizio sia contro i condomini che contro terzi" (Cass., 25 febbraio 1995, n. 2170, Cass., 11 luglio 2006, n. 15684).

Regime della comunione dei beni in caso di opzione successiva di separazione

Le decisioni a maggioranza e all'unanimità

Si deve distinguere tra gli atti di ordinaria amministrazione e quelli straordinari: per i primi, tra cui rientra anche la formazione del regolamento e la nomina dell'amministratore, basta la maggioranza semplice, cioè metà più uno; per gli atti di straordinaria amministrazione occorre la maggioranza qualificata dei 2/3.

Tutti devono essere d'accordo nel caso di atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni: qui occorre il consenso unanime.

Ove tutti i comunisti non pongano in essere gli atti d'ordinaria amministrazione necessari alla conservazione del bene, il singolo può adire l'autorità giudiziaria affinché sia ordinato il compimento degli atti necessari a causa della trascuranza riscontrata. La decisione è a seguito di procedimento in camera di Consiglio e può portare anche alla nomina di un amministratore (cfr. l'art. 1105 c.c.).

L'impugnazione

Le deliberazioni della comunione sulla gestione della cosa comune non possono essere adottate se ciascun partecipante non sia stato preventivamente informato circa il loro oggetto e sono impugnabili dinanzi all'autorità giudiziaria nel termine decadenziale di trenta giorni dalla loro assunzione per la minoranza dissenziente o dalla loro conoscenza per gli assenti per motivi di merito (ad es in caso di eccessiva onerosità delle spese per innovazioni, in caso di delibera gravemente pregiudizievole per la cosa comune o per la quota di alcuno dei partecipanti).

Nelle more della decisione l'Autorità giudiziaria può sospendere il provvedimento impugnato.

Quando la decisione dei comunisti esula dalla propria competenza, figurandosi come eccesso di potere, o se i quorum stabiliti dalla legge non vengono rispettati o ancora, come sopra detto, se si omette di convocare taluno dei partecipanti la delibera è invalida e può essere impugnata.

Le spese

Ogni comproprietario ha l'obbligo di contribuire alle spese necessarie per la conservazione e il godimento del bene e alle spese deliberate dalla maggioranza, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto.

Il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati (artt. 1103, 1110 c.c.). La rinunzia non giova al partecipante che abbia anche tacitamente approvato la spesa.

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