Il "Ddl Concorrenza"e lo stop agli atti notarili per piccole compravendite: quello che non è stato- Il provvedimento era stato adottato dal Consiglio dei ministri il 20 febbraio 2015, giunto il 28 aprile alla Camera dei deputati, dove era stato approvato in prima lettura, come pure dalla Commissione Industria del Senato, e passato poi in Senato ad ottobre 2016.
Qui si è arenato: il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha proprio in questi giorni dichiarato che auspica che quel disegno di legge annuale, scivolato sostanzialmente da circa un anno nelle "secche" parlamentari, venga finalmente discusso in aula nella «settimana del 22-23» marzo prossimi. Solo dopo un ulteriore passaggio alla Camera potrà essere definitivamente approvato.
Per la verità, il testo è stato profondamente modificato durante l'esame parlamentare, e pare andare in una direzione differente rispetto alle dichiarate intenzioni: con particolare riferimento - per quel che qui specificamente rileva - al settore dei notai, l'allora presidente del Consiglio dei ministri Renzi, in conferenza stampa, aveva affermato: «se andiamo dal notaio un po' meno volte non è un grande problema»; e, ancora: «più che liberalizzazioni io direi Italia Semplice, tutela dei consumatori, è il tentativo di attaccare alcune rendite di posizione».
Si intendeva in sostanza ridurre gli atti per i quali sarebbe stata necessaria l'autentica notarile, permettendo anche ad altri professionisti, quali avvocati e/o commercialisti, di redigere «atti per transazioni immobiliari di modesta entità e relative ad unità immobiliari non ad uso abitativo» - così recitava il Comunicato stampa di presentazione del documento.
Invero il cd. "pacchetto notai" (art. 28), che pure mirava arimuovere gli ostacoli all'apertura dei mercati e a promuovere la concorrenza anche in tale ambito, aveva in sé varie misure, non sempre coerenti tra di loro, e tale circostanza ha finito per rendere più agevole l'azione di contrasto del Notariato, le cui rimostranze, unitamente ad un appoggio in Parlamento decisamente trasversale, hanno sostanzialmente ridimensionato la portata del testo di legge: l'art. 28 è stato letteralmente stralciato.
Del resto, la stessa Commissione Giustizia aveva segnalato come la disposizione non fosse del tutto compatibile con alcuni principi generali dell'Unione Europea, tra i quali quello della certezza giuridica.
La Commissione europea aveva invece giudicato il disegno di legge poco "ambizioso", con rilevanti settori ancora eccessivamente "protetti", in considerazione soprattutto del fatto che numerose disposizioni del disegno di legge erano state in parte attenuate, quando non del tutto eliminate, nel corso del dibattito parlamentare.
Sebbene non riguardi il nostro diritto nazionale, appare ugualmente significativo proprio rispetto a questa mancata riforma un caso giunto all'attenzione della Corte dell'Unione (sezione Quinta, C-342/15 del 9 marzo 2017).
La controversia La ricorrente, cittadina austriaca e proprietaria della metà di un immobile sito in Austria, aveva sottoscritto nella Repubblica Ceca una domanda di annotazione nel libro fondiario austriaco di una prevista vendita della propria quota di tale immobile ai fini dell'annotazione dell'ordine di grado.
La firma della richiedente in calce a tale domanda era stata autenticata da un avvocato ceco il quale, secondo la propria legge nazionale, aveva ivi indicato la data di nascita della signora e i documenti presentati dalla medesima al fine di dimostrare la sua identità.
L'avvocato firmatario aveva altresì confermato, sul medesimo atto, l'autenticità della sottoscrizione della signora.
Quest'ultima, nel presentare domanda di annotazione presso il Tribunale distrettuale (austriaco) competente per il libro fondiario, allegava copia di una convenzione tra la Repubblica d'Austria e la Repubblica socialista cecoslovacca sulla cooperazione giudiziaria in materia civile, il riconoscimento degli atti pubblici e il rilascio di informazioni di carattere giuridico, stipulata il 10 novembre 1961, che è ancora applicabile nei rapporti bilaterali con la Repubblica ceca.
Il Tribunale respingeva l'istanza di annotazione, poiché la firma della ricorrente nel procedimento principale non era stata autenticata da un tribunale o da un notaio, come invece richiesto dal diritto nazionale austriaco.
Inoltre, secondo il Tribunale distrettuale, l'autenticazione della firma da parte di un avvocato ceco non rientrava nell'ambito di applicazione della Convenzione austro-ceca e, in ogni caso, la formula di autenticazione apposta era invalida poiché priva dell'apposizione di un timbro ufficiale, come previsto dalla suddetta convenzione.
Il Tribunale regionale confermava la sentenza di rigetto dell'istanza, con alcune precisazioni: chiariva in particolare che, sebbene l'attestazione dell'autenticità della firma costituisse un atto autentico ai sensi del diritto ceco, il riconoscimento in Austria rientrava nell'ambito di applicazione della Convenzione austro-ceca, la quale limita però il riconoscimento reciproco alla menzione che attesta la veridicità della firma di un atto privato apposta in calce a tale atto da «un giudice, un'autorità amministrativa o un notaio austriaco».
In definitiva, estendere il suo ambito di applicazione alla menzione apposta da un avvocato ceco sarebbe stato contra legem e contro la stessa volontà delle parti contraenti la Convenzione.
La Suprema Corte austriaca, cui la cittadina è ricorsa, ha per parte sua sostenuto l'inapplicabilità al caso di specie della Convenzione e sollevato dubbi sulla compatibilità della norma interna (relativa al requisito dell'attestazione notarile) al diritto dell'UE e all'art. 56 TFUE.
L'interpretazione della Corte: autentica di firma, attività di avvocato e libera prestazione di servizi - La Corte ha in primo luogo osservato che la direttiva 77/249 non contiene precise indicazioni né relativamente alla nozione di "avvocato" né per quanto attiene alle attività che possono essere svolte da detti professionisti: la direttiva, all'art. 1, par. 2, si limita infatti ad indicare che il termine "avvocato" debba essere inteso come volto a designare «ogni persona abilitata ad esercitare le proprie attività professionali sotto le seguenti denominazioni» applicabili in ogni Stato membro, attività la cui determinazione viene ulteriormente rimessa alla discrezionalità degli Stati medesimi.
Pertanto, nell'accezione della direttiva comunitaria, possono considerarsi attività professionali non solo i servizi giuridici abitualmente resi dagli avvocati, come la consulenza giuridica, la rappresentanza e la difesa di un cliente in giudizio, ma differenti tipi di prestazioni, come l'autenticazione di firme: «a questo proposito non assume rilevanza la circostanza che gli avvocati non svolgano queste ultime prestazioni in tutti gli Stati membri», precisa la Corte di Giustizia.
Anzi, alcuni Stati membri, tra cui appunto la Repubblica ceca, hanno effettivamente previsto la possibilità che gli avvocati stabiliti nel territorio nazionale forniscano tali altri tipi di prestazioni.
Resta quindi da chiarire se l'attività di avvocato consistente nell'autenticazione di una firma sia assoggettata al regime della libera prestazione di servizi: la Corte precisa in primo luogo che il diritto alla libera prestazione dei servizi conferito dall'articolo 56 TFUE ai cittadini degli Stati membri, e dunque ai cittadini dell'Unione, include anche la libera prestazione dei servizi «passiva», riguardando cioè non solo il caso classico in cui l'avvocato si sposti in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito per fornire i suoi servizi, ma anche la diversa situazione in cui a spostarsi sia non il professionista, ma il destinatario del servizio - come la ricorrente nel caso di specie - che, dal proprio Stato membro di residenza, si reca in un altro Stato membro per beneficiare delle prestazioni di un avvocato ivi stabilito.
Tanto premesso, la Corte precisa poi che la deroga alla libera prestazione di servizi da parte degli avvocati - prevista dall'art. 1, par. 1, direttiva 77/249 -, e secondo la quale gli Stati membri hanno facoltà di riservare a «determinate categorie di avvocati» la possibilità di redigere atti autentici riguardanti, segnatamente, la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, ha portata limitata, poiché riguarda espressamente solo la particolare situazione giuridica dei Paesi di common law, nei quali esistono differenti categorie di avvocati, i barristers e i solicitors, e che riconoscono soltanto ai solicitors l'abilitazione a redigere taluni atti giuridici di diritto immobiliare (mentre negli altri Stati membri, all'epoca in cui è stata adottata tale direttiva, la stesura di tali atti era riservata ai notai o ai tribunali).
Tra l'altro, l'art. 5, par. 2, della direttiva 98/5 dispone che «[g]li Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati a redigere sul loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati a professioni diverse da quella dell'avvocato, possono escludere da queste attività l'avvocato che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in uno di questi ultimi Stati membri».
In definitiva, «la deroga consacrata dall'articolo 1, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 77/249 si riferisce unicamente a determinate categorie di avvocati, abilitati dallo Stato membro corrispondente ad esercitare le loro attività professionali avvalendosi di una delle denominazioni individuate con precisione dalla stessa direttiva, e non già a professioni diverse da quella di avvocato»; di conseguenza, non può trovare applicazione rispetto al caso in questione: «L'articolo 1, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l'esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, dev'essere interpretato nel senso che non si applica ad una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, che riserva ai notai l'autenticazione delle firme apposte sui documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, per l'effetto, la possibilità di riconoscere in tale Stato membro una siffatta autenticazione effettuata da un avvocato stabilito in un altro Stato membro», conclude la Corte.
La compatibilità con il diritto dei Trattati. Tale interpretazione è altresì coerente con le previsioni di cui all'art. 56 TFUE, il quale «impone - rammenta la Corte - non solo l'eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione dei servizi, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando essa sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno allettanti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi».
La norma austriaca "censurata" conferisce solo ai notai e ai tribunali la competenza ad autenticare firme apposte sui documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari: per effetto di tale riserva di competenza, non è possibile riconoscere in Austria l'autenticazione di tali firme effettuata tanto da un avvocato stabilito in tale Stato quanto dagli avvocati stabiliti in altri Stati membri; né un cittadino austriaco, destinatario di una prestazione del genere, può, come nel caso di specie, recarsi in Repubblica ceca per usufruire di un servizio che non è disponibile in Austria allo scopo di procedere ad un'annotazione nel libro fondiario.
Tale disposizione - conferma la Corte - costituisce una restrizione della libera prestazione di servizi garantita dall'articolo 56 TFUE, ma tale restrizione può essere ammessa a titolo di deroga, per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previste dagli articoli 51 TFUE e 52 TFUE, applicabili parimenti in materia di libera prestazione dei servizioppure può essere giustificata, se applicata in modo non discriminatorio, in presenza di ragioni imperative d'interesse generale.
Dalle dichiarazioni delle autorità austriache, secondo cui «la tenuta del libro fondiario costituisce […] una componente fondamentale dell'amministrazione preventiva della giustizia, in quanto mira a garantire una buona applicazione della legge e la certezza del diritto quanto agli atti stipulati tra i privati», la Corte inferisce che, in tale contesto, «disposizioni nazionali che obblighino a verificare, avvalendosi di professionisti giurati, come i notai, l'esattezza delle annotazioni […], si ricollegano, più in generale, alla tutela dellabuona amministrazione della giustizia che, in conformità alla giurisprudenza della Corte, costituisce un motivo imperativo di interesse generale».
Funzionale ed adeguata al conseguimento degli obiettivi adotti dal governo austriaco è la previsione che le «attività connesse all'autenticazione degli atti relativi alla costituzione o al trasferimento di diritti reali immobiliari siano riservate a una specifica categoria di professionisti, depositari della fede pubblica, e su cui lo Stato membro coinvolto esercita un particolare controllo: l'attività espletata dagli avvocati e consistente nel certificare l'autenticità delle firme apposte in calce a taluni atti non è assimilabile all'attività di autenticazione svolta dai notai, e disposizioni più rigide disciplinano il sistema delle autenticazioni».
«Rinunciare in modo generale, per motivi afferenti alla libera prestazione di servizi degli avvocati, a funzioni di controllo statale e a una garanzia effettiva del controllo sulle annotazioni nel libro fondiario, sortirebbe l'effetto di intralciare il buon funzionamento del sistema del libro fondiario nonché la legalità e la certezza del diritto quanto agli atti stipulati tra privati», ma tale conclusione non sarebbe né ammissibile né legittima.
La Corte ha pertanto affermato che «L'articolo 56 TFUE dev'essere interpretato nel senso che non osta a una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, che riserva ai notai l'autenticazione delle firme apposte in calce ai documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, per l'effetto, la possibilità di riconoscere in tale Stato membro una siffatta autenticazione effettuata, secondo il suo diritto nazionale, da un avvocato stabilito in un altro Stato membro».
In materia di atti di costituzione e/o trasferimento di diritti reali immobiliari, la norma nazionale che imponga l'autenticazione notarile della firma apposta dal richiedente sull'atto medesimo è dunque compatibile con il diritto dell'Unione in materia di libera prestazione di servizi da parte degli avvocati.