In un fabbricato, non è raro trovare un camino in un appartamento. Se presente, oltre ad abbellire l'ambiente in cui si trova, esso può essere utilizzato per riscaldare la casa e, perché no, per cucinare una succulenta cena alla brace. Ebbene, questo manufatto, così utile per l'immobile a cui serve, può essere foriero di problemi e contestazioni con gli altri condòmini.
Sappiamo, infatti, che la canna fumaria produce delle immissioni, di fumo e di odori, e che queste potrebbero risultare intollerabili per i vicini. Se ciò dovesse accadere, il contenzioso tra le parti interessate sarebbe, probabilmente, inevitabile.
È ciò, ad esempio, che è accaduto in questo fabbricato romano dove, a detta di una proprietaria, dal camino del vicino provenivano effluvi di cucina e la tipica puzza prodotta dalla combustione.
Da tali circostanze ne è derivato il procedimento culminato, di recente, con la sentenza n. 12880 del 5 settembre 2022 emessa dal Tribunale di Roma, all'interno del quale l'attrice ha chiesto la sigillatura della canna fumaria.
Pare, però, opportuno approfondire il caso concreto per comprendere meglio i fatti di questa causa.
Canna fumaria e contenzioso condominiale: il caso di Roma
In un condominio in Roma, la parete della camera da letto di un appartamento era attraversata da una canna fumaria proveniente dall'immobile sottostante. Si trattava, in particolare, del condotto di un camino che era utilizzato anche per cucinare.
Ebbene, secondo la versione della proprietaria dell'appartamento sovrastante, da tale manufatto provenivano dei fumi intollerabili di cucina e di combustione.
La condòmina, inoltre, segnalava il pericolo che poteva derivare da questo camino, denunciando un principio di incendio che, a detta di questa, si era manifestato in un'occasione. Insomma, per tutte queste ragioni era chiesta la sigillatura del condotto.
Non essendo intervenuto alcun accordo sulla vicenda, la predetta proprietaria citava il condominio e il titolare dell'immobile sottostante dinanzi al competente Tribunale di Roma.
In tale sede, l'ente convenuto eccepiva, principalmente, la propria carenza di legittimazione passiva. Per il condominio, infatti, non vi era alcuna ragione per partecipare al procedimento, visto che la canna fumaria apparteneva a un singolo proprietario. In senso contrario, non era, altresì, rilevante che il condotto fosse inglobato nelle parti comuni.
È, in effetti, ciò è stato acclarato dall'ufficio capitolino che ha accolto la predetta eccezione. L'ufficio ha, inoltre, rigettato la domanda attorea anche sotto il profilo sostanziale.
Secondo il Tribunale, infatti, non era stata prodotta alcuna prova decisiva che questa canna fumaria privata emettesse, costantemente, fumi ed odori intollerabili. Per questi motivi, l'attrice è stata condannata al pagamento delle spese processuali.
Canna fumaria in un fabbricato e presunzione di condominialità
In base al disposto contenuto nell'art. 1117 c.c. e alla sua pacifica interpretazione giurisprudenziale, la canna fumaria rientra tra quei beni che si presume appartengano al condominio.
Si pensi, a esempio, al caso del condotto della caldaia per il riscaldamento che rimane comune, anche se l'impianto è dismesso «Nel caso in cui cessi l'uso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perché è riconducibile ai poteri del titolare di un diritto reale la facoltà di mettere o non mettere in attività un impianto, sia perché la canna fumaria va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni (Cass. civ. sent. n. 1719/1995)».
Su questo argomento, però, bisogna stare attenti a non fare confusione. La presenza, infatti, di una canna fumaria in un fabbricato, magari persino inglobata nelle mura perimetrali del medesimo, non significa, automaticamente e in tutti i casi, che sia condominiale. È necessario, infatti, che il condotto sia destinato all'intero edificio e non che serva, esclusivamente, un singolo appartamento.
Canna fumaria a servizio esclusivo: è solo privata?
La canna fumaria di un fabbricato, sebbene rientri tra quei beni che si presumono comuni e per quanto possa attraversare le pareti dell'edificio, non è per forza condominiale. È sempre necessario, infatti, verificare al servizio di chi è destinato il condotto.
Solo dopo aver stabilito che la funzionalità del bene è diretta al godimento collettivo è possibile sostenere la natura comune della canna.
Si tratta di affermazioni che trovano riscontro nella decisione in commento e, altresì, nella giurisprudenza di legittimità, anche recente «la presunzione prevista dall'art. 1117 c.c. deve, in effetti, sempre fondarsi su elementi obiettivi che rivelino l'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo, con la conseguenza che, quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una sola parte dell'immobile, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, ovvero risulti comunque essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario dell'intero immobile ad un uso esclusivo, in guisa da rilevare, in base ad elementi obiettivamente rilevabili, che si tratta di un bene avente una propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, viene meno il presupposto per l'operatività della detta presunzione».
Da queste deduzioni, si ricava che una canna fumaria, a servizio e vantaggio di un appartamento privato, non può essere condominiale. La detta destinazione è, infatti, incompatibile con la presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 c.c. Essa rappresenta un vero e proprio titolo contrario alla natura comune del bene «Una canna fumaria, quindi, anche se ricavata in parti comuni dell'edificio, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini ove destinata a servire esclusivamente l'appartamento o il locale cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione (Cass. n. 9231 del 1991)».