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Assemblea che nega ingiustamente l'uso della parte comune ad un condomino: il condominio paga i danni causati dalla sua illecita decisione

Non è escluso però che un regolamento di condominio consenta l'uso delle parti comuni solo previo assenso dell'amministratore o dell'assemblea.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

L'uso delle parti comuni ex art. 1102 c.c., non richiede la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, o dell'amministratore, in quanto sono modificazioni della cosa comune eseguite dal singolo condomino, oggetto di un suo diritto soggettivo, ai fini di un suo uso particolare diretto al miglior godimento della parte comune; naturalmente detto modifiche non devono causare alterazioni della consistenza e della destinazione della cosa stessa e non pregiudicare i diritti di uso e di godimento degli altri condomini.

Così il condomino è libero di procedere a propria cura e spese all'installazione di una canna fumaria, salvo l'obbligo di preventiva comunicazione all'amministratore ex art. 1122 c.c. e salvo, ovviamente, il potere della compagine assembleare di impedirlo, qualora la realizzazione si configuri "dannosa".

Non è escluso però che un regolamento consenta tali modifiche previo assenso dell'amministratore o dell'assemblea.

E se l'assemblea nega al singolo condomino l'autorizzazione alla modifica di una parte comune - che è pienamente conforme alla legge - in modo arbitrario e senza motivazione? Il problema è stato affrontato dal Tribunale di Ravenna (sentenza n. 919/2020).

Assemblea che nega ingiustamente l'uso della parte comune ad un condomino e risarcimento danni. Fatto e decisione

Un condomino impugnava una delibera con la quale la compagine condominiale gli aveva negato l'autorizzazione all'installazione, nel cavedio condominiale, di una canna fumaria e di altri impianti funzionali.

In particolare, l'attore faceva presente che, al fine di consentire al conduttore del suo immobile lo svolgimento di un'attività di pizzeria, aveva richiesto al condominio l'autorizzazione, come prevista dal regolamento, all'installazione, in appoggio al muro interno del cavedio, di una canna fumaria idonea allo smaltimento dei fumi prodotti dall'attività di ristorazione. L'assemblea però aveva espresso voto sfavorevole.

Secondo lo stesso attore tale decisione era in contrasto con l'art. 1102 c.c.; in ogni caso il condomino notava che, data l'impossibilità di predisporre all'uso pattuito i locali commerciali dati in locazione, era stato costretto a interrompere il rapporto di locazione, con conseguente lucro cessante.

Chiedeva quindi accertarsi l'illegittimità della delibera e il suo diritto di installare la canna fumaria, con condanna del convenuto al risarcimento del danno. Il Tribunale ha dato ragione all'attore.

Lo steso giudice ha notato che, in deroga all'articolo 1102 c.c., una clausola contrattuale del regolamento vietava innovazioni e/o modifiche delle cose comuni non preventivamente autorizzate dall'assemblea e/o dagli Enti preposti.

Per il giudicante il riferimento generico alle "modifiche è da interpretare come esteso alle modificazioni di cui all'art. 1102 c.c., ossia quelle non idonee a realizzare il mutamento della destinazione d'uso della cosa comune e, come tali, realizzabili liberamente dal condomino.

Secondo il Tribunale la deroga in discorso opera nel senso di introdurre, anche relativamente alle modificazioni non costituenti innovazioni ovvero agli interventi sulla porzione immobiliare in proprietà esclusiva - in luogo della preventiva comunicazione all'amministratore - il più stringente obbligo di preventiva autorizzazione assembleare, al fine di tutelare più adeguatamente il rischio di "danno" alle parti comuni, senza tuttavia modificare l'estensione delle facoltà di godimento del condomino; in altre parole l'assemblea avrebbe dovuto comunque consentire quelle modifiche comprese entro i limiti (della destinazione d'uso, dell'altrui pari godimento, del pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza, al decoro architettonico dell'edificio) delineati dagli articoli 1102, 1120, 1122 c.c. Come evidenzia il Tribunale nella vicenda esaminata però è emerso che l'assemblea non ha autorizzato i lavori esclusivamente per la preoccupazione che l'attività di ristorazione in procinto di essere iniziata potesse arrecare disagio alla vita condominiale, in termini appunto di sporco, odori sgradevoli, ordine pubblico e non perché le opere violassero i limiti delineati dalla legge. La delibera è stata dichiarata nulla.

Il condominio è stato condannato a risarcire i danni al condomino conseguente alla conclusione del rapporto di locazione.

Nel regolamento redatto dal costruttore è legittimo precisare che una parte non è comune a tutti i condomini

Considerazioni conclusive

Nella vicenda esaminata la deliberazione negativa impugnata non ha rispettato l'estensione delle facoltà di godimento del condomino attore. La delibera è stata quindi dichiarata nulla.

A tale proposito si ricorda che le Sezioni Unite della Cassazione ritengono siano nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà eslusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all'oggetto; devono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all'oggetto (Cass. civ., Sez. Unite, 07/03/2005, n. 4806).

A causa della delibera assembleare nulla, il condomino- attore ha subito la perdita di un'utilità corrispondente alla rendita economica che egli avrebbe conseguito dalla concessione in godimento dell'immobile (mancato incasso dei canoni fino alla scadenza naturale del contratto).

Tuttavia i giudici hanno notato che la risoluzione dannosa del rapporto di locazione lamentata dall'attore deve ricondursi, in via concorrente, alla sua imprudenza, avendo il condomino locatore colposamente concluso il contratto di locazione, pur sapendo che le opere richieste dal conduttore avrebbero richiesto un'autorizzazione preventiva assembleare non sicura.

Sentenza
Scarica Trib. Ravenna 2 dicembre 2020 n. 919
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