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Appropriazione indebita dell'amministratore: quale il momento consumativo del reato?

L'appropriazione indebita dell'amministratore condominiale si consuma all'atto della cessazione della carica.
Avv. Mariano Acquaviva - Foro di Salerno 

Il reato in assoluto più commesso dagli amministratori di condominio è quello di appropriazione indebita. Spesso viene integrato senza neanche l'intenzione di rubare del denaro, ma solo per una cattiva gestione del conto condominiale.

Il punto è che, per costante insegnamento giurisprudenziale (Cass., sent. n. 25859 del 14 maggio 2021), la confusione contabile creata dall'amministratore, il quale viola il vincolo di destinazione impresso al conto, è di per sé sufficiente a far integrare il reato.

Una recente sentenza della Suprema Corte (n. 32769 del 25 maggio 2021, depositata il 2 settembre 2021) è tornata sull'argomento individuando qual è il momento consumativo del reato di appropriazione indebita dell'amministratore nel caso in cui questi abbia illecitamente sottratto delle somme di danaro dal conto condominiale. Approfondiamo la questione.

Appropriazione indebita: cos'è?

Secondo l'art. 646 del codice penale, chi si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia già il possesso a qualsiasi titolo, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, commette il reato di appropriazione indebita.

Affinché si abbia il reato di appropriazione indebita è necessario che ricorrano le seguenti condizioni:

  • che l'autore si appropri di una cosa altrui di cui sia già in possesso (ad esempio, perché gli è stata data in prestito oppure per motivi di lavoro: si pensi al meccanico che tiene con sé l'auto del cliente in attesa di riparazione);
  • che oggetto della condotta sia un bene mobile (non esiste l'appropriazione indebita di un immobile);
  • che lo scopo dell'impossessamento sia quello di avvantaggiare sé stesso o altri.

Appropriazione indebita e furto: differenze

L'appropriazione indebita può facilmente essere confusa con il furto, a cui in effetti è accomunata dal fatto di essere un delitto contro il patrimonio. In realtà, sono diversi gli elementi distintivi tra le due fattispecie.

La principale differenza tra furto e appropriazione indebita sta nelle condizioni iniziali che consentono il realizzarsi dell'uno o dell'altro delitto.

Per la precisione, il discrimine fra i due reati è costituito dalla disponibilità del bene: se ci si impossessa di una cosa altrui di cui non si ha già la disponibilità, si commette furto; altrimenti, scatta il diverso reato di appropriazione indebita.

Detto in altre parole, la differenza tra i due delitti risiede nel fatto che, mentre il furto presuppone la mancanza del possesso della cosa mobile altrui (consistendo il reato proprio nell'impossessamento), l'appropriazione indebita implica che l'agente già possieda le cose mobili o il denaro altrui.

Ad esempio, secondo la Corte di Cassazione (sent. n. 33105 del 25 novembre 2020), commette il reato di furto (aggravato) e non quello di appropriazione indebita il dipendente che, aprendo la cassaforte aziendale grazie alle chiavi di cui è in possesso, trafuga il software e il database dell'azienda per copiarli e poi utilizzarli nella società che costituisce dopo essersi dimesso.

Ciò proprio perché la differenza fra le due fattispecie delittuose è costituito dalla disponibilità sul bene: se l'agente ha un potere autonomo sulla cosa, allora la violazione dei limiti di utilizzabilità integra il reato di appropriazione indebita; quando invece il lavoratore ha soltanto un rapporto materiale col bene che deriva dal contratto col datore, si ricade nell'ipotesi di furto.

Amministratore: quando commette appropriazione indebita?

La giurisprudenza offre molteplici esempi di appropriazione indebita commessa dall'amministratore di condominio.

Secondo la Suprema Corte (sentenza n. 19519 del 30 giugno 2020), l'amministratore commette appropriazione indebita non solo quando sottrae, senza restituirli, i soldi presenti sul conto corrente condominiale, ma anche quando ne fa un uso personale che non arreca un concreto danno economico alla compagine.

Per la Corte di Cassazione, l'amministratore di condominio che confonde il proprio patrimonio con quello condominiale commette il reato di appropriazione indebita anche se la sua gestione è regolare, nel senso che non risultano ammanchi nel conto del condominio; ciò che rileva ai fini penali è la violazione del vincolo di destinazione impresso al momento del conferimento.

Amministratore condominio: appropriazione indebita e conti correnti

Tanto è stato ricordato anche da altra giurisprudenza di legittimità (cfr. Suprema Corte Cass.. sent. n. 12618/2020 - udienza 13 dicembre 2019), in cui si ribadisce che commette il reato di appropriazione indebita l'amministratore che viola il vincolo di destinazione che grava sui conti correnti destinati a pagare le spese condominiali.

Secondo gli ermellini, poco importa che l'amministratore non abbia fatto registrare alcun ammanco nelle casse condominiali: l'amministratore che faccia confluire sul proprio conto corrente personale somme di danaro intestate ai conti condominiali risponde del reato di appropriazione indebita anche se il condominio non ha subito alcun pregiudizio economico.

In altre parole, la confusione dei patrimoni è già di per sé sufficiente a integrare il reato di appropriazione indebita, in quanto tale condotta comporta la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento (Cass., sent. n. 57383 del 17.10.2018).

Dunque, non conta il risultato economico, ma la modalità della gestione, che è illecita allorquando si crea confusione tra il proprio e l'altrui patrimonio.

Vi è appropriazione indebita anche se amministratore del condominio è una srl

Costituisce appropriazione indebita anche la mancata restituzione dei documenti relativi all'amministrazione di un condominio, come più volte ricordato dal giudice della nomofilachia (ex multis, Cass., sent. n. 29451 del 10/07/2013; Cass., sent. n. 40906 del 18/10/2012), per di più nella forma aggravata di cui all'art. 61 c.p. perché commessa con abuso di relazioni originate da prestazione d'opera (Cass., sent. n. 36022 del 05/10/2011).

Appropriazione indebita: quando si consuma il reato?

Il reato di appropriazione indebita si consuma nell'istante in cui il possessore rifiuta la restituzione del bene non proprio.

La consumazione corrisponde al momento in cui il possessore manifesta inequivocabilmente la volontà di appropriarsi della cosa mobile altrui. Questa volontà può essere esternata in maniera espressa (a parole, con una dichiarazione scritta, ecc.) oppure tacita: si pensi a colui che si renda irreperibile alle telefonate ripetute del proprietario che chiede la restituzione di ciò che è suo.

La volontà di appropriarsi indebitamente del bene mobile altrui si può manifestare anche per fatti concludenti: è il caso di chi vende o cede la cosa di altri senza chiedere il permesso e intascando i proventi della cessione.

Secondo la giurisprudenza (Cass., sent. n. 17901 del 29 aprile 2014), l'appropriazione indebita è un reato che si consuma nel momento stesso in cui il possessore compie, sulla cosa altrui, un atto con cui manifesta in maniera inequivocabile l'intenzione di appropriarsene, a prescindere dal fatto che il legittimo proprietario ne abbia conoscenza.

È chiaro che, nel caso di cessazione della carica di amministratore, sarà indubbiamente questo il momento consumativo dell'appropriazione indebita, in quanto si tratta dell'evento che segna senza alcun dubbio la volontà del soggetto di non restituire le somme e di farle definitivamente proprie.

Secondo la sentenza della Corte di Cassazione in commento (n. 32769 del 25 maggio 2021), nel caso di appropriazione indebita di somme di denaro relative ad un condominio da parte di colui che ne sia stato amministratore, «il reato si consuma all'atto della cessazione della carica, in quanto è in tale momento che, in mancanza di restituzione degli importi ricevuti nel corso della gestione, si verifica con certezza l'interversione del possesso».

Difatti, considerata la natura fungibile del denaro, sino alla cessazione dalla carica l'amministratore potrebbe reintegrare il condominio delle somme precedentemente disperse.

Anche secondo altra sentenza (Corte di Cassazione, sentenza numero 29179 del 9 settembre 2020; sent. n. 40870 del 20.06.2017), il momento consumativo del reato di appropriazione indebita va individuato non nel momento in cui i soldi non sono restituiti, bensì allorquando avviene l'interversione del possesso, cioè la manifestazione della volontà di voler utilizzare come propri i beni altrui, rivendicando su di essi una signoria che in realtà non si possiede.

Pertanto, per l'amministratore l'appropriazione indebita può scattare anche nel momento in cui egli cessi dalla carica, poiché è in questo momento che il suo possesso diviene illegittimo, non avendo egli più alcun titolo per conservare il denaro dei condòmini.

Appropriazione indebita amministratore: quando si prescrive?

Quanto detto nel precedente paragrafo in merito al momento consumativo del reato di appropriazione indebita dell'amministratore di condominio si riverbera inevitabilmente sull'individuazione del momento a partire dal quale decorre il termine di prescrizione del delitto.

Poiché l'interversione del possesso necessaria a trasformare il possesso dei beni mobili altrui da legittimo a delittuoso può avvenire anche con la cessazione dell'incarico di amministratore, sarà quest'ultimo momento a rappresentare il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione.

Di conseguenza, ai fini della consumazione del reato e della decorrenza del termine previsto per la prescrizione, è irrilevante il momento in cui la persona offesa venga a conoscenza della manifestazione di volontà dell'agente di appropriarsi della cosa, elemento questo che, invece, rileva al diverso fine della decorrenza del termine per la proposizione della querela.

Sentenza
Scarica Cass. 25 maggio 2021 - 2 settembre 2021 n. 32769
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