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Conto condominiale, mala gestio e appropriazione indebita

Amministratore: serve il dolo specifico per integrare il reato di appropriazione indebita? La gestione disordinata dell'amministratore è reato?
Avv. Mariano Acquaviva - Foro di Salerno 

Fare l'amministratore di condominio comporta una grande responsabilità. La possibilità di commettere un illecito sono molte, anche in considerazione dei tanti compiti che la legge impone. Uno dei principali doveri è quello di gestire le somme presenti sul conto corrente nell'esclusivo interesse del condominio.

Non solo l'ammanco, ma anche la semplice cattiva gestione di tale conto può comportare l'integrazione di un'ipotesi delittuosa. Tanto è stato ribadito, ancora una volta, dalla Corte di Cassazione (sent. n. 25859 del 14 maggio 2021), la quale ha affrontato le tematiche dell'appropriazione indebita con riferimento alla mala gestio del conto condominiale.

La pronuncia, pur inserendosi nel solco di consolidato orientamento giurisprudenziale, è degna d'interesse anche per l'attenzione che mostra nei riguardi dell'elemento soggettivo del reato. Gli ermellini, infatti, rispondono anche al seguente quesito: serve il dolo specifico per integrare il reato di appropriazione indebita? Analizziamo meglio la vicenda.

Conto condominiale e appropriazione indebita: il caso

Ricorreva per Cassazione un amministratore condominiale condannato, in primo e secondo grado, per il reato di appropriazione indebita di cui all'art. 646 cod. pen. Per la precisione, l'imputato si era macchiato di questo delitto in riferimento non solo a somme di denaro, ma anche a documentazione illecitamente trattenuta e seguito della revoca dell'incarico.

Secondo il ricorrente, l'appropriazione indebita richiede il dolo specifico, consistente nel procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Questo elemento difetterebbe nel caso di specie, in quanto, sempre a parere della difesa, la condotta accertata avrebbe potuto al massimo ricondursi a una "mala gestio" della cosa condominiale, non certamente a un'ipotesi delittuosa.

Con riferimento alla documentazione da restituire, poi, l'appropriazione indebita scatterebbe in caso di revoca dell'incarico, soltanto però nel momento in cui, con il rifiuto di ottemperare all'invito, il soggetto manifesti la volontà di comportarsi "uti dominus". Cosa che, nel caso di specie, non era avvenuta.

Per farla breve: secondo l'imputato, le proprie mancanze erano addebitabili a una cattiva gestione, sanzionabile al massimo sul piano civile.

Mala gestio e appropriazione indebita: la decisione

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento (sent. n. 25859 del 14 maggio 2021), conferma la responsabilità penale dell'amministratore, ritenendo inammissibili i motivi del ricorso.

Secondo gli ermellini, l'imputato non ha mai davvero contestato i fatti ascrittigli, limitandosi a professarsi innocente solamente sotto il piano soggettivo o psicologico.

In effetti, l'amministratore, aveva riconosciuto di non essersi mai attivato per far emergere le criticità (a suo dire risalenti all'amministrazione precedente) per timore di perdere il lavoro; inoltre, aveva negato di aver tenuto somme per sé, dichiarando che, siccome c'erano degli ammanchi, per far fronte ai pagamenti di alcuni condomini aveva utilizzato somme incassati da altri condomini.

Insomma: dall'istruttoria era emerso pacificamente come l'amministratore, incaricato di gestire più condomini diversi, avesse svolto il suo incarico in uno stato di totale confusione contabile, operando in modo da coprire gli ammanchi di un condominio con continui prelievi di denaro contante e bonifici dal conto di altri condomini.

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La Suprema corte, con la sentenza in commento, richiama il precedente e consolidato orientamento di legittimità (ex multis, Cass., 17.10.2018 sent. n. 57383) per cui «la sola distrazione dei fondi confluiti sui singoli conti correnti dei singoli condomini ed il loro accredito, in assenza di autorizzazione, su un conto corrente 'di gestione' intestato ad esso imputato e destinato ai pagamenti di tutti i condomini da lui amministrati sia condotta idonea ad integrare il delitto di appropriazione indebita».

Insomma: è sufficiente violare il vincolo di destinazione impresso al conto o alla somma di danaro perché si integri il reato di appropriazione indebita, anche se, alla fine, non dovesse risultare alcun ammanco concreto.

Sempre la stessa sentenza richiamata dalla Suprema Corte ricorda che «Non è evidentemente configurabile, tra i diversi condomini amministrati… alcun legame di "gruppo", sicché nemmeno in astratto è possibile immaginare un vantaggio per il singolo condominio a veder confluire le sue risorse in un calderone unitario dal quale attingere per i pagamenti di tutti».

In altre parole, la mala gestio dell'amministratore è idonea, di per sé, a costituire il reato di cui stiamo parlando. Tanto più se i singoli condomini amministrati siano tra loro svincolati da qualsiasi rapporto. Non è dunque possibile che l'amministratore, come Robin Hood, tolga al più ricco per far fronte alle esigenze del più povero, con l'impegno poi di ripianare il debito.

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Il dolo specifico nell'appropriazione indebita dell'amministratore

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ritiene sussistente il dolo tipico dell'appropriazione indebita anche se l'imputato non ha agito con l'intento di arricchirsi: l'ingiusto profitto richiesto dall'art. 646 cod. pen. ben può essere riferito a terzi.

A tal proposito, il giudice della nomofilachia richiama un precedente arresto (Cass. 5.10.2012, sent. n. 3.332) che aveva ritenuto correttamente configurato il reato di appropriazione indebita nel caso di un dipendente di un istituto bancario che, assumendo arbitrariamente i poteri dell'organo di amministrazione competente ad autorizzare il superamento dei limiti del fido o della provvista del conto corrente di corrispondenza, aveva concesso un fido ad un cliente violando, in collusione con lo stesso, le norme sugli affidamenti stabilite dagli istituti, in modo da realizzare sostanzialmente un'arbitraria disposizione di beni della banca a profitto di terzi.

Per altro verso, è altrettanto certo che l'ingiusto profitto non deve connotarsi necessariamente in senso patrimoniale, ben potendo essere di diversa natura. A tal proposito è illuminante quel precedente (Cass., 12.9.2019, sent. n. 43896) riguardante un caso di elargizione in via anticipata, da parte del dipendente unico di filiale di un istituto di credito, di somme di danaro in favore dei clienti per richieste di fido, prestito o mutuo non ancora esitate, allo scopo di dimostrare di essere in grado di gestire in modo adeguato l'oneroso carico di lavoro.

Nel caso di specie, il vantaggio riportato dall'amministratore consisteva nel preservare la propria carica, come dallo stesso ammesso quando aveva affermato di temere di perdere il lavoro se i condòmini avessero avuto conoscenza della grave situazione debitoria.

Sentenza
Scarica Cass. 14 maggio 2021 - 7 luglio 2021 n. 25859
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