In tema di appropriazione indebita commessa dall'amministratore di condominio, l'abuso di relazione d'ufficio non è più elemento tale da consentire la punizione d'ufficio della condotta criminosa.
Questa, in breve sintesi, la conclusione che ha tratto la Corte di Cassazione e che troviamo nella sentenza n. 26334 depositata in cancelleria l'8 giugno 2018, in seguito a discussione in pubblica udienza avvenuta appena due giorni prima, il 6 giugno.
Il tutto in ragione delle modifiche al codice penale introdotte dal decreto legislativo n. 36 del 2018, intitolato Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103.
L'art. 646 del codice penale punisce l'appropriazione indebita. La norma, in seguito alla novella apportata dal d.lgs n. 36/2018, si compone di due commi.
Il primo comma delinea la fattispecie criminale specificando che si tratta di un reato comune, ovvero che può essere commesso da chiunque che deve avere come fine per chi lo commette quello di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto (il così detto dolo specifico).
Esso, dice la disposizione in esame, che si sostanzia nell'appropriazione del denaro o di una cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.
Il reato è punito a querela della persona offesa - da presentarsi tassativamente entro 90 giorni dalla notizia del reato - con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a mille e trentadue euro.
Il secondo comma specifica che «se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata».
Appropriazione indebita dell'amministratore di condominio
L'amministratore di condominio, in quanto possessore di cose dei condòmini - in primis il denaro - può essere accusato e condannato per appropriazione indebita.
In relazione al momento consumativo del reato di appropriazione indebita da parte dell'amministratore di condominio, in più occasioni la giurisprudenza ha affermato che «l'utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell'amministratore durante il mandato non profila l'interversione nel possesso che si manifesta e consuma soltanto quando terminato il mandato le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore con le dovute conseguenze in tema di decorrenza dei termini di prescrizione.
E difatti avendo l'amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell'appropriazione indebita poichè in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l'interversione nel possesso.» (Cass. 11 maggio 2016 n. 27363).
Come dire: affinché l'amministratore possa essere considerato responsabile di appropriazione indebita, la fine del mandato certifica la condotta criminosa. Ciò non vuol dire che prima d'allora non sia possibile non commetterlo, tutt'altro.
L'amministratore di condominio commette il reato con abuso di relazione d'ufficio, poiché è grazie al suo incarico che s'è trovato nella condizioni di commettere il reato.
Prima dell'entrata in vigore del d.lgs n. 36/2018, l'art. 646 c.p. era chiuso dal terzo comma che recitava: «Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61».
Questa norma è stata abrogata: che cosa cambia adesso?
Punibilità dell'appropriazione indebita dell'amministratore di condominio
All'interrogativo ha risosto la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza citata in principio.
Il caso affrontato dai giudici di piazza Cavour riguardava proprio un reato di appropriazione indebita commessa da un amministratore di condominio; reato all'epoca dei giudizi di primo e secondo grado procedibile d'ufficio e rispetto al quale dopo essere caduta la contestazione della circostanza aggravante dell'abuso di relazione d'ufficio, era stata contestata la tardività della querela e di conseguenza l'improcedibilità dell'azione penale.
La Cassazione ha avuto modo di affermare che ad oggi non c'è più alcuna differenza, ai fini della procedibilità, tra la presenza o meno della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p.
Si legge in sentenza che «l'art. 10 del D. Lgs. 36/18 ha infatti abrogato il terzo comma dell'art. 646 cod.pen., che prevedeva la procedibilità di ufficio per il reato di appropriazione indebita nel caso in cui ricorresse l'aggravante dell'art. 61 n. 11 cod.pen.; pertanto, non essendo state contestate aggravanti ad effetto speciale e non potendosi procedere quindi d'ufficio ai sensi dell'art. 649 bis cod.pen., ed essendovi già una valutazione del tribunale sulla tardività della querela, non oggetto di contestazione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile» (Cass. 8 giugno 2018 n. 26334).
Come dire: d'ora in poi rispetto alle condotte appropriative dell'amministratore di condominio è sempre bene agire tempestivamente ossia presentare al più presto la querela.
- Condannato per appropriazione indebita l'amministratore che versa il denaro dei condomini sul proprio conto.
- Tratteneva per sé il denaro destinato al pagamento delle bollette del gas. Amministratore di condominio condannato per appropriazione indebita
- E' punibile per appropriazione indebita la mancata restituzione della documentazione da parte dell'amministratore uscente