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Amministratore di condominio e appropriazione indebita, guida al panorama giurisprudenziale

Ecco cosa rischia l'amministratore che non restituisce senza giustificazione le somme detenute.
Avv. Paolo Accoti 

La fattispecie penale dell'appropriazione indebita, prevista e punita dall'art. 646 Cp, prevede che il soggetto agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si impadronisca del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.

Il reato, sempre punito a querela di parte, prevede la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032,00 euro, tanto è vero che, a seguito dell'introduzione del D.Lgs. n. 36 del 10.04.2018, è stata esclusa la procedibilità d'ufficio nelle ipotesi aggravate indicate nel numero 11 dell'articolo 61 Cp e, in particolare, come nel caso dell'amministratore di condominio, se il fatto è stato commesso con abuso di relazioni d'ufficio.

Elemento oggettivo del reato.

Scopo della norma è quello di tutelare il diritto di proprietà, pertanto, la fattispecie delittuosa in questione risulta integrata nel momento in cui si verifica la cd. interversione del possesso, vale a dire quanto l'agente si atteggi nei confronti del denaro o della cosa mobile altrui, di cui detiene il possesso, come se ne fosse proprietario e rifiutando la restituzione qualora richiesta ovvero utilizzando tali beni per fini diversi da quelli ai quali erano destinati.

Elemento oggettivo del reato è il dolo specifico, in considerazione del fatto che l'agente persegue lo scopo di procurare a sé, o ad altri, un ingiusto profitto.

Con specifico riferimento al contratto di amministrazione condominiale è noto che lo stesso è assimilabile al contratto di mandato, per il quale, il mandatario-amministratore, in relazione alla sua funzione di gestione e rappresentanza del condominio, riceve somme di denaro da parte di ciascun condomino al fine di provvedere alle spese di gestione del fabbricato, in conformità dei bilanci approvati dall'assemblea.

In virtù di ciò, alle predette somme, rappresentate per la gran parte dalle quote condominiali versate dai condòmini, viene impresso dagli stessi uno specifico vincolo di destinazione e, in particolare, quello relativo al pagamento di beni e servizi forniti al condominio che l'amministratore è obbligato ad eseguire e, all'esito dei quali, fornisce adeguata rendicontazione.

Va da sé che, alla scadenza del contratto di mandato, l'amministratore è obbligato, ai sensi dell'art. 1713 Cc, alla restituzione delle somme ancora in suo possesso.

Ecco che allora, «nel caso in cui l'agente abbia la disponibilità di denaro altrui in virtù dello svolgimento di un incarico gestorio, quale l'amministrazione di un condominio, il reato di appropriazione indebita è integrato dall'interversione del possesso, che si manifesta quando l'autore si comporta uti dominus non restituendo senza giustificazione le somme detenute, che non ha più ragione di trattenere, in modo da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l'elemento soggettivo del reato» (Cass. pen. n. 25444/2017).

Il momento della consumazione del reato

Partendo dalla dimensione temporale della gestione condominiale, che risulta pacificamente annuale, si evince che ogni anno l'amministratore è tenuto a predisporre il rendiconto annuale della gestione, convocando l'assemblea per la relativa approvazione entro centoottanta giorni, si arguisce come il reato si consuma ogni anno, nel momento in cui l'amministratore chiamato a rendere il conto della propria gestione e, conseguentemente, a restituire le somme possedute per conto dei predetti condòmini, omette tale restituzione trattenendo le somme con la volontà di farle proprie.

Ecco che allora «il momento consumativo dell'appropriazione indebita, si può individuare all'atto della cessazione della carica, in quanto solo allora si verifica con certezza l'interversione nel possesso» (Cass. pen. n. 27363/2016; Cass. pen. n. 18864/2012).

Peraltro, il momento di consumazione del reato spiega i suoi effetti anche sul termine di prescrizione che, nel caso concreto, risulta di sette anni e sei mesi, tanto è vero che tale termine comincia a decorrere alla chiusura di ogni esercizio annuale, allorquando sorge l'obbligo di rendicontazione.

Amministratore di condominio, rendiconto annuale e rendiconto della propria gestione

Ed invero, posto che «il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l'agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione (Sez. 2, n. 17901 del 10/04/2014,; Sez. 5, n. 1670 del 08/07/2014)», atteso che «deve ritenersi evidente che lo stesso si è appropriato delle somme dei diversi condomini amministrati ogni anno, quando era tenuto a rendere il conto della gestione ed a restituire le somme detenute per conto di ogni condominio, ed ometteva invece tale restituzione con la volontà di far proprie le somme dovute.

Conseguentemente, giacché in virtù dei diversi atti interruttivi deve considerarsi il termine massimo della prescrizione, determinato in anni sette e mesi sei di reclusione dal combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. proc. pen., va riconosciuta l'estinzione per prescrizione dei fatti di appropriazione indebita antecedenti al 6/8/2010» (Cass. n. 21011/2018).

Le fattispecie appropriative per distrazione.

Il reato risulta configurabile pure nell'ipotesi della mera "distrazione" delle somme e, pertanto, anche qualora non vi sia alcuna effettiva appropriazione da parte dell'amministratore.

Ed invero, per come accennato, con il pagamento delle quote condominiali i condòmini imprimono al denaro una specifica destinazione ovvero di impiegarlo per un determinato uso, come quello di remunerare un particolare servizio reso in favore del condominio.

Ciò posto, il possesso di quel denaro da parte dell'amministratore, non abilita lo stesso a compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con la destinazione assegnata dai condòmini e, ove ciò avvenga, l'amministratore commette il reato di appropriazione indebita (Cass. pen. n. 50672/2017; Cass. pen., n. 24857/2017; Cass. pen., n. 12869/2016; Cass. pen., n. 46474/2014).

A tal proposito, «il delitto di appropriazione indebita si realizza rispetto alle somme di denaro che siano affidate al detentore con un vincolo di destinazione, con l'accertamento della mancata destinazione delle somme alla finalità convenuta, indipendentemente dall'individuazione dell'atto di disposizione che sia stato effettuato con l'uso di tali somme» (Cass. pen. n. 9578/2019).

L'amministratore, quindi, risponde del delitto in questione anche qualora distrae denaro o beni, sottraendoli pertanto alla loro naturale destinazione, al fine di far conseguire a diversi soggetti un ingiusto profitto, tanto perché l'interversione del possesso si consuma «ogni qualvolta l'amministratore di condominio, anziché dare corso ai suoi obblighi, dia alle somme a lui rimesse dai condomini una destinazione del tutto incompatibile con il mandato ricevuto e coerente invece con sue finalità personali ("Commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto utilizzandolo per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante" Sez. 2, n. 23347 del 03/05/2016; nello stesso senso Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015)» (Cass. pen. n. 31322/2017).

Il che sta a significare che l'amministratore commette l'illecito anche qualora, allo scopo di coprire perdite che si verificano in altri condomini dallo stesso gestiti, trasferisca fondi di proprietà di un condominio ad un altro.

Così facendo il reato risulta perfezionato nel momento del travaso del denaro da un conto corrente ad un altro, perché questo presuppone una gestione infedele delle somme ricevute, che si concretizza con l'indebito prelevamento dal conto acceso a nome del condominio amministrato, al fine di trasferirle sul conto corrente di un altro condominio "in perdita".

Per completezza, giova ricordare come anche la condotta dell'amministratore consistente nell'omessa restituzione al condominio dal medesimo amministrato della documentazione contabile, da ricollegarsi all'evidente finalità di non permettere allo stesso di accertare l'inesatta amministrazione: omessi pagamenti di servizi (assicurazione dell'immobile, acqua, gas) goduti dal condominio pur essendo state messe a disposizione dell'imputato le somme necessari, rappresenta quell'ingiusto profitto che configura il reato di appropriazione indebita Cass. n. 43402/2016).

Conto corrente comune cd. "calderone".

Con la riforma del condominio, attuata dalla L. 220/2012, che ha portato - tra l'altro - alla modifica dell'art. 1129 Cc, sono stati cristallizzati i principi già espressi dalla giurisprudenza civile per i quali, l'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, e quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio.

In mancanza, è stato ritenuto responsabile del reato di appropriazione indebita l'amministratore che, dopo aver accesso a suo nome un conto corrente bancario, cd. conto di gestione, nel quale confluivano i fondi di diversi condomini dallo stesso amministrati, provvedeva poi ad effettuare i pagamenti relativi alle spese di tali condomini.

Nello specifico, una volta accertata l'esistenza di un unico conto corrente per più condomini, è stato ritenuto evidente che, una volta confluite tutte le somme sul conto "comune", risultava "fisiologico" e "automatico" che le spese di un condominio fossero state pagate con i soldi di un altro condominio e, conseguentemente, integrato il reato di appropriazione indebita per distrazione.

Appropriazione indebita dell'amministratore di condominio, non sempre si procede d'ufficio

A tal proposito, infatti, preso atto del «meccanismo pacificamente posto in essere dal …. (ndr. amministratore) che, come accennato, aveva acceso un conto corrente a lui intestato e nel quale aveva fatto confluire gli importi accreditati sui conti correnti dei singoli condomini per poi utilizzare la provvista così formata per effettuare tutti i pagamenti relativi a tutti i condomini; in tal modo, infatti, una volta confluite tutte le somme sul conto "comune", è evidentemente fisiologico e "automatico" che le spese di un condominio siano pagate con i soldi di altro condominio …», tanto è vero che, «la questione … relativa alla integrazione del delitto di appropriazione indebita che, … correttamente, i giudici di merito hanno individuato nella "distrazione" degli importi accreditati sui singoli conti correnti per esser fatti confluire nel conto "comune"», risulta palese, anche in virtù del fatto che «non v'è dubbio che la sola "distrazione" dei fondi confluiti sui singoli conti correnti dei singoli condomini ed il loro accredito, in assenza di autorizzazione, su un conto corrente "di gestione" intestato ad esso imputato e destinato ai pagamenti di tutti i condomini da lui amministrati sia condotta idonea ad integrare il delitto di appropriazione indebita correttamente contestato», infatti, «non è evidentemente configurabile, tra i diversi condomini amministrati dal …. (ndr. amministratore), alcun legame di "gruppo" sicché nemmeno in astratto è possibile immaginare un vantaggio per il singolo condominio a veder confluire le sue risorse in un calderone unitario dal quale attingere per i pagamenti di tutti» (Cass. pen. n. 57383/2018).

Ed invero, ribadito come «il delitto di appropriazione indebita si realizza rispetto alle somme di denaro che siano affidate al detentore con un vincolo di destinazione, con l'accertamento della mancata destinazione delle somme alla finalità convenuta, indipendentemente dall'individuazione dell'atto di disposizione che sia stato effettuato con l'uso di tali somme», una volta accertato che, a fronte degli incassi di somme da parte dell'amministratore per i pagamenti delle spese condominiali, era risultato un ammanco di tali somme le quali, logicamente, erano state destinate in maniera difforme alla volontà e alla finalità impressa dai condòmini che quei versamenti avevano effettuato, tale circostanza è stata ritenuta «sufficiente per dimostrare la responsabilità dell'imputato, considerata la veste di mandatario dell'imputato e l'assenza di prove contrarie fornite dallo stesso per giustificare la differenza tra le somme che dovevano risultare in cassa o impiegate per i pagamenti, e le somme effettivamente rinvenute» (Cass pen. n. 9578/2019).

Sul piano processuale.

Per quanto concerne l'aspetto procedurale, il condominio può esercitare l'azione civile nell'ambito del procedimento penale a carico dell'amministratore per appropriazione indebita, al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni eventualmente subiti.

Tale facoltà spetta in primo luogo all'amministratore di condominio atteso che, così come costantemente stabilito dalla giurisprudenza, il potere rappresentativo che compete all'amministratore del condominio ex artt. 1130 e 1131 c.c. e che, sul piano processuale, si riflette nella facoltà di agire in giudizio per la tutela dei diritti sulle parti comuni dell'edificio, comprende tutte le azioni volte a realizzare tale tutela, con esclusione soltanto di quelle azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono, esulando, pertanto, dall'ambito degli atti conservativi (Cass. civ. n. 7327/2013; Cass. civ. n. 16230/2011).

In virtù di ciò, nessun dubbio può nutrirsi in merito alla possibilità per l'amministratore del condominio di esercitare direttamente nel giudizio penale l'azione civile per il risarcimento dei danni subiti dal condominio, anche senza la necessita di uno specifico mandato assembleare, essendo lo stesso titolare ex lege del potere rappresentativo per tutte le azioni a salvaguardia dei diritti sulle parti comuni dell'edificio (Cass. pen. n. 3320/2015).

STUDIO LEGALE AVV. PAOLO ACCOTI

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