Arriva l'ennesima condanna per l'amministratore che distrae il denaro destinato alla gestione del condominio per fini propri: è quanto ha stabilito la Suprema Corte con la sentenza numero 12618/2020 (data udienza 13 dicembre 2019), in cui si ribadisce che commette il reato di appropriazione indebita l'amministratore che viola il vincolo di destinazione che grava sui conti correnti destinati a pagare le spese condominiali.
Amministratore condominiale accusato di appropriazione indebita
Un amministratore di condominio veniva tratto in giudizio con l'accusa di essersi appropriato indebitamente delle somme presenti sui conti correnti dei condòmini. In qualità di mandatario e di unico delegato, l'amministratore aveva il compito di trattenere dai predetti conti solamente quanto necessario per pagare il proprio compenso professionale e per affrontare tutte le altre spese condominiali.
Anziché adempiere fedelmente al proprio mandato, l'amministratore gestiva i conti correnti in maniera piuttosto disinvolta, effettuando bonifici e altre operazioni per pagare anche le spese di altri condomini che l'imputato gestiva.
Inoltre, alla revoca del mandato, tratteneva una somma che, a suo dire, gli spettava a compensazione di un presunto credito (tra l'altro, non dimostrato).
Nulla ha potuto la difesa dell'imputato, atteso che l'esame degli estratti dei conti correnti lo inchiodava alla propria responsabilità: era fin troppo chiaro che l'amministratore utilizzasse il denaro presente sui conti correnti intestati ai condòmini come fosse cosa propria, sia per coprire ammanchi di altri conti, sia per fini personali.
Non essendovi la possibilità che altre persone operassero su quei conti (l'amministratore era delegato unico), la condanna dell'amministratore è parsa ineluttabile e, per di più, severa: considerata l'intensità del dolo emersa dalla reiterazione delle condotte illecite, i giudici non hanno riconosciuto nemmeno le attenuanti generiche.
L'appropriazione indebita dell'amministratore di condominio
La sentenza in commento si pone nel solco già tracciato da diversi altri arresti del giudice nomofilattico (ex multis: Cass. pen., sez. II, 21 aprile 2017 n. 25444), a tenore dei quali sussiste la responsabilità penale dell'amministratore condominiale e, in particolare, si integra il reato di appropriazione indebita ai sensi dell'art. 646 del codice penale, ogniqualvolta l'amministratore, venendo meno al proprio mandato, fa sue o comunque trattiene somme di danaro che non gli spetterebbero in ragione dell'incarico assunto.
È appena il caso di ricordare che, secondo la definizione codicistica, si ha il delitto di appropriazione indebita quando una persona, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o di cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.
Il reato è procedibile a querela di parte e la pena è la reclusione da due a cinque anni e la multa mille a tremila euro.
Dalla definizione del reato di appropriazione indebita si comprendono molte cose. Innanzitutto, come sostenuto da autorevole dottrina (F. Mantovani), si tratta di un reato proprio, cioè di un crimine che può essere commesso non da chiunque, ma solamente da chi sia già in possesso del bene mobile di cui intende appropriarsi.
È ciò che accade nell'ipotesi analizzata dalla sentenza in commento: l'amministratore condominiale aveva già il possesso del denaro dei condòmini, in quanto era l'unico a poter accedere e operare sui loro conti correnti.
Per comprendere dunque l'appropriazione indebita è fondamentale aver ben presente il rapporto fiduciario che sussiste tra vittima e possessore: nel caso di specie, tra condòmini e amministratore di condominio.
È proprio la fiducia tradita a connotare questo specifico reato: al contrario del furto, che presuppone l'apprensione del bene che è nel possesso di altri (dunque, occorre la condotta dello "spossessamento"), nell'appropriazione indebita il bene da far proprio è già nelle mani di colui che diventerà l'autore del delitto.
Il delitto di appropriazione indebita è perciò integrato dalla interversione del possesso, che si manifesta quando l'autore si comporti uti dominus, non restituendo il bene di cui ha avuto la disponibilità senza giustificazione, così da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l'elemento soggettivo del reato.
Altra caratteristica fondamentale del reato è la procedibilità a querela di parte: senza la denuncia/querela della vittima, l'autorità giudiziaria non può procedere nei confronti dell'autore del fatto.
Nella vicenda analizzata dalla sentenza in commento, i condòmini, resisi conto degli ammanchi presenti sui conti correnti, hanno prontamente querelato l'amministratore e, nel giudizio penale che ne è sorto, si sono costituiti parte civile, ottenendo anche una provvisionale calibrata sulla base del debito che, de facto, emergeva dagli atti di causa.
Appropriazione indebita e crediti dell'amministratore
La sentenza in commento dà la stura per esaminare, seppur brevemente, altre ipotesi di reato che, almeno in teoria, sarebbero addebitabili all'amministratore di condominio che gestisce malamente i conti correnti dei propri condòmini.
In particolare, è il caso di spendere due parole sulla possibilità che l'amministratore di condominio tacciato di appropriazione indebita possa giustificarsi asserendo di aver trattenute delle somme di danaro a compensazione di un credito vantato nei confronti del condominio.
Nella vicenda affrontata dalla sentenza in esame, la difesa dell'amministratore tratto in giudizio ha provato a offrire una qualificazione giuridica diversa del fatto commesso dall'imputato: anziché appropriazione indebita, si sarebbe trattato del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 del codice penale).
A detta della difesa, infatti, l'amministratore, alla revoca del mandato, avrebbe trattenuto delle somme a compensazione di un credito che egli vantava nei confronti dei condòmini.
Gli ermellini hanno però immediatamente sconfessato tale tesi, richiamando il consolidato orientamento (ex plurimis: Cass., Sez. 2, sentenza n. 293 del 04/12/2013) secondo il quale il reato di appropriazione indebita non viene meno quando l'imputato invochi di aver trattenuto le somme in contestazione a compensazione di propri preesistenti crediti, ove si tratti di crediti non certi, non liquidi e non esigibili.
Tale soluzione si attaglia perfettamente al caso affrontato dalla Suprema Corte, atteso che l'amministratore non aveva fornito adeguata prova del credito che asseriva di vantare.
La Corte di Cassazione ha poi ricordato che non ricorre il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nel caso in cui il soggetto che si sia appropriato di denaro o beni a preteso soddisfacimento di un credito abbia piena signoria sui predetti e piena coscienza e volontà di farli propri, sussistendo in questo caso l'elemento psicologico (il dolo, insomma) tipico del reato di appropriazione indebita.
Amministratore condominio: quando commette una truffa?
Da ultimo, sebbene si tratti di un aspetto non preso in considerazione dalla Corte di Cassazione nella vicenda in esame, per completezza di esposizione vale la pena di ricordare che è da escludersi anche la sussistenza dell'ipotesi di truffa ai danni dei condòmini: affinché possa integrarsi questo tipo di reato, infatti, occorre la sussistenza di artifici o raggiri in grado di ingannare la vittima.
Nel caso di specie, nessuna mise en scène è avvenuta: l'amministratore ha semplicemente utilizzato come fossero suoi i soldi presenti sui conti correnti che gestiva direttamente in qualità di delegato dei condòmini.
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