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Affitti brevi, B&B e regolamenti condominiali

Così come le locazioni ordinarie la 'molestia' arrecata agli altri condòmini è paragonabile a quella sofferta durante la regolare locazione dell'immobile.
Avv. Caterina Tosatti - Foro di Roma 

Sentiamo spesso dire di come il patrimonio immobiliare del nostro Bel Paese non necessiti tanto di essere 'aumentato' (con nuove costruzioni), bensì di essere mantenuto e sfruttato al pieno delle sue potenzialità.

Quando però i proprietari di immobili, magari in zone o città appetibili, turisticamente parlando, tentano detto sfruttamento, tramite i meccanismi delle locazioni brevi, dell'affittacamere e del bed&breakfast, si trovano spesso dinnanzi a lacci e lacciuoli imposti dalla normativa nazionale e regionale o locale e a pronunce giurisprudenziali altrettanto ondivaghe.

Oggi esaminiamo un caso meneghino per vedere come la pensa la Corte d'Appello di Milano.

Affitti brevi in condominio, la pronuncia

Un Condominio cita in giudizio dinnanzi al Tribunale di Milano i condòmini, proprietari di un immobile sito nello stesso edificio, in quanto ritiene che gli stessi, avendo utilizzato detto immobile cedendolo a terzi come alloggio temporaneo di breve durata, abbiano violato il Regolamento condominiale, il quale, a dire del Condominio, quando vieta l'esercizio nelle unità immobiliari di «attività di pensione» o l'uso come «camere ammobiliate affittate a terzi», include anche il tipo di utilizzo fatto dai condòmini convenuti.

Secondo il Condominio, il Regolamento, approvato all'unanimità nel 1961, è opponibile ai condòmini convenuti, che hanno acquistato l'immobile nel 1981, accettandone appunto il relativo Regolamento.

Inoltre, il Condominio sostiene che l'utilizzo come alloggio temporaneo di breve durata dell'immobile dei condòmini convenuti arrechi disturbo alla tranquillità degli altri condòmini ed al decoro dell'edificio e che i condòmini convenuti non ne abbiano comunicato l'intenzione all'Amministratore condominiale - comunicazione prevista dal Regolamento.

Il Tribunale di Milano, pur riconducendo le attività esercitate dai condòmini tra quelle vietate dal Regolamento, respinge la domanda del Condominio.

In particolare, rigettando la tesi propugnata dallo stesso, il Giudice di I° afferma che i divieti posti dal Regolamento in parola avrebbero potuto essere qualificati come servitù atipiche di non facere (cioè, che obbligavano a non tenere un certo comportamento, nella fattispecie, a non adibire le unità immobiliari a certe attività e certi usi) opponibili ai terzi (cioè, a tutti coloro che abbiano acquistato dopo l'istituzione della servitù) solamente laddove fossero stati trascritti nei Registri Immobiliari ai sensi degli artt. 2659 e 2665 c.c., oppure laddove gli acquirenti avessero preso atto in modo specifico degli stessi divieti in sede contestuale all'atto di acquisto, mentre non era sufficiente, come accaduto nella fattispecie concreta, che gli acquirenti avessero meramente richiamato il Regolamento nella sua interezza nel contesto dell'atto di compravendita.

La Corte d'Appello, cui ricorre il Condominio per vedere riformata la sentenza di prime cure, rigetta anch'essa la domanda, ma sulla base di ulteriore osservazione.

Rileva infatti la Corte che, a ben vedere, l'attività svolta dai condòmini convenuti nel loro immobile non rientra tra quelle vietate dal Regolamento, perché, pur ricorrendo gli stessi alla 'pubblicizzazione' del proprio immobile sul noto portale web AirBnB, prevalentemente riconducibile ad attività di bed&breakfast, all'analisi di fatto, condotta dal Giudice di I° ed in base alle deduzioni e produzioni delle parti (contratti di affitto dell'immobile) ed alle non contestazioni delle stesse (in particolare, del Condominio che non aveva contestato la rappresentazione di fatto risultante dagli atti di controparte e dai contratti prodotti), l'immobile era risultato adibito a mero godimento, dietro corrispettivo, per periodi brevi o brevissimi, dove i condòmini proprietari si impegnavano a consegnare l'appartamento per il periodo stabilito, arredato e corredato di biancheria, nella totale assenza, però, di prestazioni accessorie - quali, ad esempio, il cambio biancheria o il servizio di pulizie intermedie o ancora la somministrazione di cibo e bevande.

Era quindi da escludere la natura 'alberghiera' dell'attività svolta nell'immobile dai condòmini convenuti, natura alberghiera che invece sarebbe stata riconoscibile nell'affitto di camere ammobiliate vietato dal Regolamento.

Peraltro, sottolinea la Corte, l'immobile dei convenuti veniva sempre affittato 'per intero', cioè senza frazionamento del godimento per le singole camere di cui era composto, il ché, unitamente a quanto già detto, lo esclude dalla riconduzione all'attività di affittacamere vietata dal Regolamento.

Infine, evidenzia la Corte, le locazioni stipulate dai condòmini convenuti sono inquadrabili come locazioni brevi per finalità turistiche e come tali sono disciplinate dal D. Lgs. 79/2011, art. 53; a livello locale, la Regione Lombardia ha escluso le locazioni brevi per finalità turistiche dall'ambito delle attività ricettive, nelle quali invece rimangono inclusi bed&breakfast e affittacamere.

Premesso questo inquadramento, la Corte respinge poi anche le altre deduzioni del Condominio circa la molestia arrecata ai condòmini ed al decoro dell'edificio dalle locazioni brevi dell'immobile dei convenuti e il mancato preventivo assolvimento dell'onere di informazione all'Amministratore.

Infatti, così come le locazioni ordinarie, dalle quali quelle in parola si distinguono solamente per la durata, ma non per le caratteristiche intrinseche, la 'molestia' arrecata agli altri condòmini è paragonabile a quella sofferta durante la regolare locazione dell'immobile, anzi, essa è addirittura minore, dato che si tratta di locazione 'breve' e non di durata ordinaria, nonché condotta generalmente da un soggetto adulto, senza animali al seguito, che per la maggior parte della giornata non permane nell'immobile (dedicandosi a visitare la città e le attrazioni turistiche locali).

Non integra poi lesione del decoro il fatto che gli utilizzatori dell'immobile, come riferito in sede di prova testimoniale, utilizzino frequentemente l'ascensore in modo anomalo, lascino a volte le valigie sul pianerottolo o non siano elegantemente abbigliati, circostanze che si possono dirimere richiamando il locatore al rispetto del Regolamento e delle ordinarie regole di vita in comune cui sono tenuti tutti gli utilizzatori, a qualsiasi titolo, delle unità immobiliari in Condominio.

La mancanza dell'avviso all'Amministratore, poi, viene qualificata come irrilevante e la Corte sottolinea che la relativa norma regolamentare deve ritenersi nulla laddove subordini la possibilità di svolgere l'attività in parola o le altre menzionate solamente dietro comunicazione all'Amministratore, in quanto si tratta di un limite all'esercizio della proprietà privata che non può essere imposto al singolo a meno che costui non abbia espressamente accettato di conformarvisi.

Affitti brevi in condominio e regolamenti contrattuali: il punto sulle servitù atipiche

Da quando la Cassazione ha elaborato la teoria delle cc.dd. 'servitù atipiche e l'ha applicata ai divieti inseriti nel Regolamento condominiale, che vanno ad incidere sulla destinazione d'uso (in senso non edilizio - urbanistico, ma concettuale - economico) delle singole unità immobiliari, abbiamo visto susseguirsi varie prese di posizione - a volte, anche della medesima Corte.

Nella recente sentenza del 08 settembre 2021, n. 24188 (Sezione II, Rel. Scarpa) si puntualizza quanto segue in merito: «Le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte (come nella specie in forza del dedotto art. 4-bis del regolamento del Condominio (OMISSIS)) a vietare lo svolgimento di determinate attività (nella specie, di osteria, sale da gioco, sale da ballo, locali di ritrovo notturno) o a stabilire un orario di chiusura (non oltre le ore 22), e perciò tali da dettare criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall'art. 844 c.c., al fine di non turbare la tranquillità degli altri partecipanti, costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione (arg. da Cass. Sez. 2, 07/01/2004, n. 23; Cass. Sez. 2, 18/04/2002, n. 5626; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4963; Cass. Sez. 2, 07/01/1992, n. 49; Cass. Sez. 2, 15/07/1986, n. 4554; anche Cass. Sez. 2, 19/03/2018, n. 6769)».

Il locatore risponde dei limiti imposti dal regolamento di condominio

Insomma, delle due l'una:

  • o il terzo acquirente (inteso come tutti coloro che, dal secondo acquirente in avanti, acquistano l'immobile, mentre il primo acquirente acquista direttamente dal costruttore e non può non conoscere del Regolamento, salvi i casi di Regolamento successivo, per cui vale anche per lui quanto sopra) ha dichiarato espressamente nell'atto di acquisto di conoscere l'esistenza, nel Regolamento di Condominio, delle clausole x, y e z, con indicazione del contenuto delle dette clausole e si è impegnato al loro rispetto - questa la 'traduzione' in parole povere dell'espressione «i terzi... che vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito»;
  • oppure, anche in assenza totale di richiamo del Regolamento o inserimento delle clausole nell'atto di compravendita, le stesse siano state trascritte come accade regolarmente per le servitù - e, in tale caso, il terzo acquirente (sempre, dal secondo acquirente in giù) doveva conoscerle o avrebbe potuto conoscerle esercitando l'ordinaria diligenza e verificando le trascrizioni sull'immobile che andava ad acquistare, tra le quali avrebbe trovato, appunto, le clausole regolamentari limitative degli usi che poteva fare con l'unità acquistata.

Prosegue la Corte, nella recente pronuncia: «In particolare, l'esigenza dell'unanimità dell'approvazione delle clausole del regolamento che costituiscano servitù sulle parti comuni è imposta dall'art. 1108 c.c., comma 3, mentre la costituzione contrattuale di servitù che restringono i poteri e le facoltà sulle singole proprietà esclusive suppone che il documento sia sottoscritto dai rispettivi titolari al fine di adempiere al requisito della forza [o forma, N.d.A.] scritta ad substantiam.

In assenza di trascrizione, peraltro, queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto del vincolo reale gravante sull'immobile.

Sì all'attività di affittacamere in condominio se il divieto del regolamento non è stato espressamente accettato dal proprietario

D'altro canto, ciò che si deduce è l'esistenza di una generica, e perciò irrilevante, accettazione del regolamento da parte dell'acquirente, e non di una dichiarazione di quest'ultimo di conoscere l'esistenza delle reciproche servitù e di impegnarsi a rispettarle (il che poi imporrebbe di affrontare l'ulteriore complesso tema delle cosiddette servitù occulte e della natura di una siffatta dichiarazione dell'avente causa, che si vorrebbe in grado di sopperire al difetto di trascrizione)».

Come vediamo, quindi, un fronte totalmente aperto a possibili sviluppi.

Il Tribunale ed il Giudice di II° lombardi hanno applicato quanto sopra, ritenendo che, per quanto i condòmini convenuti avessero acquistato l'immobile adibito a locazione breve turistica in epoca successiva (1981) alla inserzione, nel Regolamento, del divieto di affittacamere e pensione a terzi, detto divieto non rivestisse i caratteri della servitù reciproca ed atipica, come descritti dalla Cassazione, perché da un lato, essa (servitù) non risultava trascritta, dall'altro, i condòmini convenuti, nell'atto di acquisto, avevano unicamente accettato il Regolamento in toto, ma senza dichiarazione espressa di conoscenza del divieto ed impegno al suo rispetto.

Rammentiamo, poi, gli arresti più recenti della Cassazione e del medesimo Giudice meneghino sull'onere di trascrizione.

Innanzitutto, non è sufficiente redigere le clausole scrivendo semplicemente «Sono vietate le attività alberghiere», ma è necessario, a pena di nullità delle stesse per indeterminatezza dell'oggetto del peso imposto alla proprietà privata, indicare in modo chiaro e preciso le singole attività vietate e i pregiudizi che si intendono evitare (si veda, tra tutte, Cassazione, sent. n. 19229/2014 e 21307/2016) - ad esempio, «Sono vietate le attività ricettive quali bed&breakfast e affittacamere, allo scopo di…», sempre ammesso, poi, che il Giudice ritenga meritevole di tutela il pregiudizio che si intende evitare e non lo qualifichi, invece, come eccessivamente limitativo della proprietà solitaria e del diritto del titolare di sfruttare al massimo la stessa...

Inoltre, non basta trascrivere il Regolamento come documento unico (anzi, di per sé, si tratta di attività non necessaria né richiesta); è invece necessario che le clausole limitative del diritto di proprietà (che contengano cioè divieti o pesi a carico delle unità immobiliari) siano indicate espressamente in apposita Nota di Trascrizione, distinta da quella dell'atto di acquisto, come espresso dalla Cassazione: «Va innanzitutto confermato l'orientamento interpretativo cui è pervenuta questa Corte, nel senso che vada ricondotta alla categoria delle servitù atipiche la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, in modo da incidere non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino.

Ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, in apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto, delle specifiche clausole limitative, ex art. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c., non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (Cass. Sez. 2, 18/10/2016, n. 21024; Cass. Sez. 2, 31/07/2014, n. 17493). Non è, quindi, atto soggetto alla trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell'art. 2645 c.c., il regolamento di condominio in sè, quanto le eventuali convenzioni costitutive di servitù che siano documentalmente inserite nel testo di esso (così Cassaz., 19 marzo 2018, n. 6769 ed anche Cassazione, Sent. n. 21024/2016 e lo stesso Trib. Milano, 22 novembre 2018, n. 11784).

Morale: se trascriviamo il Regolamento come un monolite, non abbiamo risolto nulla: se invece indichiamo, nell'apposita Sezione D della Nota di Trascrizione, le clausole limitative della proprietà privata contenute nel documento trascritto, le abbiamo rese opponibili a tutti coloro che subentrino nella proprietà successivamente alla trascrizione.

Sentenza
Scarica Corte d Appello di Milano 13 gennaio n. 93
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