Il caso concreto: Cass. 8 settembre 2021, n. 24188
Il condominio ha un regolamento che per una determinata parte recita che vige il divieto di esercizio di attività commerciale oltre le ore 22, come di osteria, sale da gioco, sale da ballo, locali di ritrovo notturno.
In questo condominio vi è un esercizio commerciale di somministrazione di alimenti e bevande, conduttore di unità immobiliare ivi esistente, che si vede notificare atto di citazione in giudizio per la cessazione di attività serale, stante la clausola del palazzo.
In primo grado il bar vede la sua condanna al rispetto del regolamento oltre ad una sanzione pecuniaria per ogni giorno di violazione.
Si giunge in appello dove il locale vede il riconoscimento dei propri diritti per mancanza di opponibilità della clausola del regolamento.
Seppur possa sembrare un caso di scuola, si tratta della fattispecie risolta dal Supremo Collegio con la decisione del 8 settembre 2021, n. 24188.
Peraltro, nel caso di specie, era stata convenuta in giudizio solo l'impresa che svolgeva attività di bar, conduttrice dei locali, e non anche il proprietario dei medesimi. La Corte di Cassazione rileva che quest'ultimo debba essere considerato litisconsorte necessario, non potendo essere pronunciata alcuna condanna o altro nei confronti del solo conduttore.
Tra le altre cose, questione determinante è l'opponibilità a terzi di una clausola contrattuale del regolamento.
Regolamento assembleare e regolamento contrattuale
Com'è noto, il regolamento può essere assembleare o contrattuale. È definibile contrattuale quello che normalmente viene formato unilateralmente dal costruttore, quando è proprietario dell'intero palazzo.
Sino al momento in cui non vende il primo alloggio non si è ancora in una fattispecie condominiale, dove il requisito minimo è la presenza di due soggetti titolari di almeno due unità immobiliari diverse. Quando vende il primo appartamento, da lì si crea di fatto il condominio. La sua nascita è automatica, dal momento della compravendita dell'alloggio.
In questa sede il costruttore-venditore redige il regolamento dello stabile, a cui i singoli acquirenti degli alloggi costituenti il condominio si vincolano in sede di conclusione del proprio contratto di compravendita.
La formazione di questo regolamento può essere anche data dall'approvazione dell'assemblea all'unanimità da tutti i condomini, sebbene nella prassi siano casi piuttosto rari.
Si parla di regolamento contrattuale in ragione dell'accordo delle parti tipico -appunto- del contratto: tutti prestano il consenso al regolamento; questo è un accordo tra la collettività degli abitanti dell'edificio.
Poiché vi è l'unanimità del consenso da parte di tutti i condomini, il regolamento contrattuale può prevedere clausole con cui si limitano in qualche modo le proprietà esclusive o l'uso dei beni e servizi del condominio, che prevedono una particolare disciplina di base diversa da quella codicistica.
L'unico limite che incontra anche il regolamento contrattuale è dato dalle disposizioni inderogabili, come ad esempio il necessario rispetto delle maggioranze costitutive e deliberative richieste all'assemblea.
Vista la totalità dell'assenso, può avere ad oggetto materie attinenti alle singole proprietà esclusive o dei beni comuni, le cui limitazioni sono vietate per il regolamento assembleare, essendo quest'ultimo assunto a maggioranza.
Si tratta dei c.d. oneri reali, obbligazioni propter rem, anche dette servitù reciproche. Naturalmente queste clausole, per essere valide, necessitano della forma scritta trattandosi di vincoli o limiti -normalmente servitù- ai diritti reali su beni immobili.
Se viene costituita ad esempio una servitù di passaggio su una certa parte comune del condominio, come può essere il ballatoio comune, i condomini sono soggetti passivi di questo vincolo: il diritto, per poter valere, necessita dell'assenso di tutti manifestato in un accordo scritto.
Poiché è tale il regolamento contrattuale, in questo modo si crea validamente il vincolo reale a carico dei condomini.
Sempre e solo nel regolamento contrattuale è possibile prevedere una ripartizione delle spese diversa da quella codicistica (Cass. civ. Sez. II Sent., 20/03/2006, n. 6158).
Il regolamento contrattuale può presentare clausole di portata diversa. Se la clausola non deroga alle norme codicistiche (come detto, ad esempio per il tema del riparto delle spese comuni), o non crea vincoli di diritti reali su immobili (come nell'esempio del ballatoio) il suo contenuto è modificabile in assemblea.
Trattandosi di clausola assembleare, anche se di nascita contrattuale perché assunta con il consenso totalitario, il suo contenuto è ordinario, potendo essere disposta per la prima volta con deliberazione dell'assemblea.
In ragione del suo contenuto (che non deroga al codice e non detta vincoli reali), può essere modificata in sede di riunione del condominio, a maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell'edificio.
Questa maggioranza, essendo in ambito di deliberazione di regolamento di condominio, deve essere rispettata anche dall'assemblea di seconda convocazione.
Se invece limita i diritti dei singoli e/o della collettività ovvero detta una particolare distribuzione delle spese comuni occorre il consenso unanime di tutti i condomini per variarne il contenuto.
Ritornando all'esempio della servitù sul ballatoio, solo il consenso di tutti i condomini può comportare la riduzione o l'espansione di questo diritto o la sua creazione in altro luogo comune dell'edificio.
Al contrario, le clausole assembleari possono essere modificate a maggioranza in quanto esse non incidono sulle singole proprietà.
Da quanto fin qui detto, risulta chiaro che la clausola su cui si è soffermata la Cassazione ha natura di clausola contrattuale.
Ed infatti la Suprema Corte afferma che "…Le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte (…) a vietare lo svolgimento di determinate attività (nella specie, di osteria, sale da gioco, sale da ballo, locali di ritrovo notturno) o a stabilire un orario di chiusura (non oltre le ore 22), e perciò tali da dettare criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall'art. 844 c.c., al fine di non turbare la tranquillità degli altri partecipanti, costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini"
Opponibilità a terzi - potere del giudice di merito
Stante la natura di questa clausola, il Supremo Collegio si sofferma sulla sua opponibilità a terzi.
Essa è subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione (arg. da Cass. Sez. 2, 07/01/2004, n. 23; Cass. Sez. 2, 18/04/2002, n. 5626; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4963; Cass. Sez. 2, 07/01/1992, n. 49; Cass. Sez. 2, 15/07/1986, n. 4554; anche Cass. Sez. 2, 19/03/2018, n. 6769).
In assenza di trascrizione, le disposizioni del regolamento che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto del vincolo reale gravante sull'immobile.
Nel caso di specie era stata solo dedotta l'esistenza di una generica, e perciò irrilevante, accettazione del regolamento da parte dell'acquirente dei locali poi locati, e non di una dichiarazione di quest'ultimo di conoscere l'esistenza delle reciproche servitù e di impegnarsi a rispettarle.
Oltretutto la clausola in questione aveva subito una modifica, di per sé nulla perché mancante del consenso unanime: senza l'unanimità di tutti i partecipanti al condominio (e comunque senza il consenso negoziale del proprietario della unità immobiliare che si vuole gravata dalla dedotta servitù), erano stati introdotti espressi e specifici divieti alle facoltà inerenti al godimento delle proprietà esclusive, i quali, come detto, mancavano di espressione totalitaria di una volontà contrattuale.
La Cassazione conclude quindi che il giudice che è stato investito di domande tese a conseguire la cessazione delle immissioni ed il risarcimento del danno, sul presupposto della violazione di limiti contrattuali alla destinazione delle unità immobiliari di proprietà individuale e, dunque, della titolarità di una servitù, ha il potere-dovere di rilevare la nullità della dedotta convenzion. ove la stessa risulti approvata senza il necessario consenso dei singoli condomini, costitutivo di iura in re aliena (Cass. Sez. U, 04/09/2012, n. 14828; Cass. Sez. U, 12/12/2014, n. 26242).