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Sussiste il diritto di abitazione del coniuge superstite sull'immobile del defunto in comproprietà con terzi?

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi della questione, ampiamente dibattuta, del diritto di abitazione del coniuge superstite sulla casa familiare di proprietà del coniuge defunto e di terzi.
Avv. Eliana Messineo 

Il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare, sancito dall'art. 540 c.c. in favore del coniuge sopravvissuto, sussiste qualora detto cespite sia di proprietà del "de cuius" ovvero in comunione tra questi ed il coniuge superstite, mentre esso, al contrario, non sorge ove il bene sia in comunione tra il coniuge deceduto ed un terzo, non essendo in questo caso realizzabile l'intento del legislatore di assicurare, in concreto, al coniuge sopravvissuto il godimento pieno del bene oggetto del diritto.

È questo il principio giurisprudenziale ribadito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 29162 del 2021, che conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto di abitazione del coniuge superstite non opera nel caso in cui la casa familiare sia in comproprietà tra il coniuge defunto e terze persone.

Non nasce il diritto di abitazione in capo al coniuge superstite se la casa appartiene anche a terzi. La vicenda

Nel giudizio di scioglimento della comunione dell'eredità di Tizio, la moglie proponeva domanda riconvenzionale per l'accertamento in proprio favore del diritto di abitazione ex art. 540 c.c. sulla quota di proprietà del marito (1/3) e, in via subordinata, della liquidazione per equivalente monetario della predetta quota.

La moglie superstite assumeva di aver vissuto per oltre vent'anni, con il marito ed i figli, nella casa, adibita a residenza familiare, di proprietà del marito e dei di lui fratelli (casa che questi avevano ricevuto in eredità dai genitori).

Le domande proposte dalla vedova venivano rigettate sia dal Tribunale sia dalla Corte d'Appello poiché i Giudici ponevano a fondamento delle loro pronunce l'orientamento giurisprudenziale che riserva al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa familiare solo se al momento di apertura della successione era del coniuge defunto o comune. Di conseguenza, veniva pure escluso il diritto all'equivalente monetario.

La vedova soccombente in entrambi i gradi di giudizio, proponeva pertanto ricorso in Cassazione contestando l'interpretazione data dai giudici all'art. 540 secondo comma c.c.

Diritto di abitazione casa coniugale e condominio

Il quadro normativo di riferimento e la ratio della norma

Secondo l'art. 540 del codice civile, al coniuge superstite, anche quando concorra con altri chiamati all'eredità, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

In altre parole, affinché il coniuge superstite possa esercitare i suindicati diritti, di abitazione e di uso, è necessario che la casa e gli arredi siano di proprietà del defunto o comuni.

È proprio la locuzione "di proprietà del defunto o comuni" utilizzata dalla norma codicistica che è stata al centro di numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali volti a fornire un'interpretazione più vicina possibile alle intenzioni del legislatore.

Nulla questio, infatti, nell'ipotesi in cui l'immobile adibito a residenza famigliare sia di proprietà del coniuge defunto o in comproprietà tra i coniugi; in tal caso, sorgeranno i diritti di abitazione e di uso in favore del coniuge superstite, a prescindere dal fatto che terzi possano avere acquisito in virtù della successione ereditaria, la proprietà dell'immobile.

Il problema sorge nel caso in cui il de cuius era comproprietario in vita con terze persone della casa e degli arredi.

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale ha, pertanto, riguardato l'interpretazione da dare all'espressione "comune" utilizzata dalla norma, ovverosia se il legislatore prevedendo l'ipotesi di abitazione comune abbia inteso riferirsi solo all'ipotesi di comproprietà con l'altro coniuge oppure abbia considerato anche l'ipotesi di comproprietà del de cuius con altri chiamati alla successione o con terzi estranei.

Secondo l'orientamento attualmente prevalente della Corte di Cassazione, la locuzione "di proprietà del defunto o comuni" va interpretata alla luce della ratio della norma ossia tenendo in considerazione l'intento del legislatore nel rubricare l'art. 540 c.c. che è unicamente quello di tutelare il godimento dell'abitazione familiare, preservando il diritto del coniuge di continuare a vivere nel luogo in cui si è svolta la vita familiare ed evitandogli i danni che la ricerca di nuovo alloggio cagionerebbe alla stabilità delle abitudini di vita della persona (Cass. n. 2754 del 2018).

Ne deriva, pertanto, che ove comproprietario della casa familiare sia un terzo non possono verificarsi i presupposti per la nascita del diritto di abitazione non essendo in questo caso realizzabile l'esigenza del legislatore di assicurare al coniuge superstite il godimento pieno del bene oggetto di diritto.

Nessun diritto spetterà, pertanto, al coniuge superstite nell'ipotesi in cui la proprietà della casa adibita a residenza familiare appartenga, in comunione, al coniuge defunto e a terze persone (nella specie, i fratelli del defunto marito).

D'altronde, a ben vedere, ove si riconoscesse la configurabilità dei diritti di abitazione e di uso degli arredi nell'ipotesi di comproprietà con terzi della casa familiare, si finirebbe per attribuire un diritto di abitazione limitato ad una quota ideale dell'immobile, essendo inammissibile che la morte di un comproprietario comporti per gli altri comunisti una limitazione del loro diritto dovuta al gravare di un diritto reale parziale sulla loro quota.

L'impossibilità di conseguire l'equivalente monetario del diritto di abitazione

Per la Cassazione, ove il bene sia in comunione tra il coniuge deceduto ed un terzo non spetta al coniuge sopravvissuto neppure l'equivalente monetario del diritto di abitazione, nei limiti della quota di proprietà del defunto, poiché, diversamente, si attribuirebbe un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo ove apporti un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge sopravvissuto, garantendo in concreto il godimento dell'abitazione familiare.

In altre parole, dall'impossibilità di configurare, nella fattispecie, il diritto di abitazione e di uso in favore del coniuge superstite, deriva conseguentemente l'impossibilità di conseguire la richiesta di valorizzazione monetaria; nella specie, infatti, la domanda proposta in via subordinata dalla vedova di accertamento della liquidazione per l'equivalente monetario, non ha trovato accoglimento.

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Sentenza
Scarica Cass. 20 ottobre 2021 n.29162
  1. in evidenza

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