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Condòmino insolvente, la rinuncia dell'amministratore alla quota di compenso gli impedisce di chiederlo agli altri

Se l'amministratore s'impegna a rinunciare alla propria quota di compenso corrispondente alla quota di riferimento di un condòmino insolvente cessa ogni solidarietà
Avv. Alessandro Gallucci 

Il compenso dell'amministratore è dovuto da tutti i condòmini che sono tenuti a pagarlo ciascuno in proporzione alla sua quota.

Tale quota, salvo diversa convenzione, è determinata sulla scorta dei valori millesimali generali, insomma sulla base dei così detti millesimi di proprietà.

Se un condòmino è moroso, l'amministratore, ipotizzando pagamenti corrispondenti alle quote di ciascuno, potrà percepire il proprio compenso meno quella quota.

Poiché la normale gestione del condominio insegna che i flussi di cassa ordinaria utilizzata per fra fronte alle spese non consentono, o quanto meno sovente è così, certosine operazioni di corrispondenza tra versamenti dei condòmini e pagamenti dei fornitori, è probabile che alla fine dell'anno l'amministratore o un altro fornitore avanza una quota di compenso più alta rispetto a quella specificamente imputabile ai morosi eventualmente presenti.

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Se la morosità è tale che diviene insolvenza (cioè impossibilità di pagamento che si sostanzia nel mancato soddisfacimento delle ragioni creditorie) allora è bene che l'amministratore stia attento alle dichiarazioni che rilascia ai condòmini.

È l'insegnamento che traiamo dalla sentenza n. 195 del 3 marzo 2020 resa dal Tribunale di Ravenna.

A ben leggere e conoscere le dinamiche condominiale, ad avviso dello scrivente, tuttavia, anche i giudicanti devono valutare con attenzione i fatti, per evitare situazioni di indebito arricchimento. In questo caso sembrerebbe essere stato fatto, almeno stando alle specifiche conclusioni sul punto della sentenza.

Vediamo perché.

Compenso dell'amministratore e condòmini insolventi e scompensi di cassa

Prima approfondiamo un concetto espresso in principio.

Il funzionamento che regola i pagamenti condominiali è elementare: i condòmini corrispondono le quote previste a preventivo (o richieste dall'amministratore) che servono a pagare beni e servizi comuni e l'amministratore quindi usa le giacenze di cassa per farvi fronte.

Come si diceva in precedenza, ogni condòmino corrisponde una quota parte di spesa corrispondente all'intero ammontare del bene o servizio preventivato.

Così, per dirla in soldoni, nella quota mensile di € 100,00 che Tizio deve corrispondere è conteggiata la quota parte di spesa per l'assicurazione, la pulizia scale, l'energia elettrica, il compenso dell'amministratore, ecc.

Il normale flusso di cassa fa sì che l'amministratore utilizzi, legittimamente, le somme disponibili per pagare le spese ordinarie. Quando l'amministratore paga la fattura per il servizio elettrico non corrisponde tanta parte di spesa quanti sono i condòmini che al momento hanno corrisposto le quote.

Se la fattura è € 200,00 lui paga € 200,00 non, ad esempio, € 200,00 - 12 che è la quota parte di Tizio.

Così funziona anche per il compenso: quando l'amministratore si autoliquida le sue spettanze valuta la giacenza di cassa e fattura un importo (tutto o parziale) alo di là della stretta corrispondenza col i versamenti dei singoli.

È normale, si diceva, e legittimo: l'obbligazione del condominio verso il fornitore, per quanto connessa, è autonoma da quella del singolo condòmino verso il condominio stesso.

Se la morosità diviene insolvenza, ce lo dice l'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile e in generale la normativa sulle obbligazioni solidali (art. 1299 c.c.), il debito si ripartisce tra i condebitori solidali, ossia gli altri condòmini.

È qui arriviamo al caso risolto dal Tribunale di Ravenna.

Compenso dell'amministratore, attenti alle dichiarazioni d'impegno

Il caso vedeva un amministratore che proponeva ricorso per decreto ingiuntivo avverso un condominio per pagamento di compensi.

Il condominio notificatogli il decreto propone opposizione: quei compensi non sono dovuti. Le ragioni sono due: mancata approvazione del rendiconto indicato nel ricorso come approvato e oltre a ciò impegno dell'amministratore a non gravare sui condòmini per la quota di compenso inerente ad un condòmino poi risultato insolvente.

Decreto ingiuntivo notificato al condòmino: quando si perfeziona la notifica?

Nello specifico l'amministratore, questo risulta dalla sentenza, aveva fatto inserire a verbale la che si dichiarava disposto «nella peggiore delle ipotesi, a non rivalersi sui restanti condomini per il mancato incasso del suo onorario, spettante pro-quota a (…)».

In ragione di questa dichiarazione, si legge in sentenza, «poiché la "peggiore delle ipotesi" si è poi effettivamente verificata, essendo stata disposta dal Tribunale di Bolzano, con sentenza n. 3/2014 depositata in data 11/02/2014, la liquidazione giudiziale del predetto fondo immobiliare gestito da (…) (doc. 7 allegato all'atto di opposizione), deve ritenersi che (...), per effetto della dichiarazione di rinuncia sopra riportata, non possa più pretendere dai condomini diversi da (...) il pagamento della quota a carico di quest'ultima dei compensi relativi all'attività di amministrazione svolta nell'interesse del Condominio».

Dal testo della sentenza sembrerebbe evincersi che nel caso di specie le somme richieste dall'amministratore al condominio, all'incirca € 6000,00 fossero esclusivamente compensi maturati in più anni con riferimento al solo condòmino insolvente.

Il giudice ha ritenuto che quella rinuncia relativa alle somme dovute dal condòmino insolvente di cui al citato verbale non si limitasse ad una sola annualità di gestione, ma non avesse limiti temporali. Questione, quella interpretativa, sulla quale non è dato dir nulla, in questa sede, non conoscendo l'intero fascicolo del giudizio.

Certo, se la somma, invece, non fosse tutta dovuta a compensi, ma per le ragioni esposte rappresentasse la sommatoria anche di compensi pro-quota dagli altri condòmini, messi in coda per evitare disservizi, allora il discorso sarebbe diverso. In questo come in altri casi.

Sentenza
Scarica Trib. Ravenna 3 marzo 2020 n. 195
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