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La parziarietà delle obbligazioni condominiali e l'escussione del conto corrente condominiale

Le obbligazione condominiali sono rette dal principio della solidarietà passiva o dal principio della parziarietà?
Avv. Michele Orefice - Foro di Catanzaro 
16 Apr, 2018

In tema di spese condominiali il problema della morosità nel pagamento delle quote, da sempre, trascina con sé tutta una serie di quesiti di non facile risoluzione, soprattutto in merito ai rapporti intercorrenti tra il condominio ed i terzi creditori.

Le questioni principali, che originano dalla discussa natura parziaria delle obbligazioni condominiali, ruotano attorno all'interpretazione dell'art. 63 disp. att. c.c ed in ispecie alle modalità di recupero del credito da parte dei fornitori del condominio, con tutti i dubbi annessi e connessi alla possibile escussione del conto corrente condominiale, da parte dei creditori insoddisfatti.

Il concetto di parziarietà delle obbligazioni contratte nell'interesse comune, che in passato ha rappresentato una regola certa, almeno in vigenza del codice civile del 1865, è stato messo in discussione con l'entrata in vigore dell'art. 1294 c.c., riferito alla "generica" solidarietà nel debito tra i condebitori.

Tale norma, che disciplina la presunzione di solidarietà passiva nel debito, prescrive che i condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente.

Proprio dalla suddetta norma origina il ragionamento dei sostenitori della solidarietà passiva, che ritengono estensibile la presunzione di cui all'art. 1294 c.c. anche ai creditori del condominio, adducendo che non sussiste alcun motivo per il quale l'obbligazione condominiale possa essere intesa come un insieme di prestazioni, distinte e differenti, tante per quanti sono i condòmini.

I paladini della solidarietà passiva asseriscono che la disciplina del condominio non può derogare alla presunzione di solidarietà tra condebitori, sebbene la regola generale dettata dall'art. 1123 c.c., stabilisca espressamente che le spese condominiali "sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione".

L'applicazione rigida del principio di solidarietà comporta che ciascun condomino-debitore, in ossequio al dispositivo dell'art. 1292 c.c., potrebbe essere costretto ad adempiere per la totalità il debito condominiale, con l'effetto che il suo adempimento libererebbe gli altri.

In passato, almeno fino agli anni 90, non sono stati pochi i casi in cui i condòmini, più che altro quelli puntuali nei pagamenti delle quote, a seguito di azione del terzo creditore contraente, sono stati costretti ad adempiere, per l'intero, l'obbligazione assunta dal condominio, avendo poi cura di proporre azione di regresso contro gli altri condòmini-condebitori, per ripetere la cifra anticipata.

Secondo la teoria della solidarietà passiva nel debito condominiale il criterio legale indicato dall'art. 1123 c.c. opererebbe soltanto all'interno del condominio, ossia tra i condòmini, ma non inciderebbe nei rapporti esterni, con i terzi fornitori. In opposizione alla teoria della solidarietà passiva, i sostenitori della parziarietà delle obbligazioni condominiali osservano, invece, come il terzo che contrae con il condominio conosca perfettamente il regime di parziarietà vigente tra i condòmini, per le obbligazioni assunte dall'amministratore nell'interesse comune, in quanto la ripartizione delle spese, ai sensi dell'art. 1123 c.c. obbliga ciascuno a pagare i contributi condominiali, pro quota, in proporzione ai millesimi dell'unità immobiliare di appartenenza.

D'altra parte asserire che di fronte alla delibera assembleare o alla decisione dell'amministratore debba corrispondere necessariamente un obbligo solidale dei condòmini significa eludere le regole riferite all'art. 1121 c.c., che consentono ai condòmini dissenzienti di non sopportare le spese per la realizzazione delle opere voluttuarie e gravose decise dalla maggioranza assembleare, e ancora eludere le regole di cui agli artt. 1126 c.c., per i lastrici ad uso esclusivo, e 1132 c.c., in termini di dissenso alle liti, cioè casi in cui i condòmini privi di interesse o che non ne traggano utilità devono essere esonerati dalle spese condominiali.

Da questo punto di vista l'applicazione della teoria sulla solidarietà passiva nelle obbligazioni condominiali stride con le regole sul condominio parziale. Peraltro, desumere il vincolo della solidarietà passiva tra i condòmini basandosi sulla valutazione esclusiva dell'interesse esterno del creditore, senza guardare all'interesse unitario dei condòmini debitori, rappresenta un grave errore dettato dall'unica esigenza di rendere più agevole la riscossione del terzo creditore.

Non è possibile pensare che l'obbligazione condominiale venga assunta soltanto nell'esclusivo interesse del condominio, quasi fosse "unisoggettiva" anziché plurisoggettiva, con i condòmini obbligati a rinforzare o meglio a duplicare la solvibilità del debito condominiale.

Sotto tale profilo, considerando la controprestazione monetaria dovuta dai condòmini al terzo, risulta difficile rintracciare in condominio un interesse comune dei condòmini volto ad assumere un obbligo solidale anziché parziale.

Alla luce di tali considerazioni, la teoria professata dai "solidaristi" non sembra essere sufficiente ad eliminare le forti perplessità sulla mancanza di parziarietà delle obbligazioni condominiali.

Agli amministratori di condominio arrivano gli atti di interpello per conoscere i "dati identificativi" dei condòmini morosi

Invero, non esiste alcuna disposizione specifica del codice civile che colleghi il concetto di solidarietà al condominio, né tantomeno l'art. 1123 c.c. permette di distinguere tra rapporti interni ed esterni dell'obbligazione assunta con i terzi. In tal senso la responsabilità dei condòmini verso i terzi creditori è retta dal criterio della parziarietà e non della solidarietà passiva. Diversamente, dunque, la regola è rappresentata dalla parziarietà delle obbligazioni condominiali, ossia la ripartizione proporzionale delle spese, che origina dal legame propter rem del condomino alle parti comuni.

A tale conclusione è pervenuta la Giurisprudenza, con la nota sentenza n. 9148/2008 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha deciso come la responsabilità dei condòmini riferita alle obbligazioni assunte dal condominio si fondi sul criterio della parziarietà, per cui ognuno deve corrispondere proporzionalmente le proprie quote, in ragione dei millesimi di competenza della propria unità immobiliare, vale a dire con criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752, 754 e 1295 c.c. in ambito di obbligazioni ereditarie, in base alle quali ciascun erede risponde soltanto per la sua quota.

Tuttavia, nella prassi giudiziale, la decisione interpretativa delle norme adottata dalle Sezioni Unite non sembra aver entusiasmato i giudici di merito, che hanno preferito motivare prevalentemente soluzioni difformi dall'orientamento della Suprema Corte.

Ma quindi le obbligazioni condominiali sono rette dal principio della solidarietà passiva o dal principio della parziarietà?

La risposta al quesito è stata fornita dal legislatore che, con la modifica dell'art 63 disp. att. c.c., stabilisce un divieto dei creditori di agire nei confronti dei condòmini in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condòmini, cioè dei morosi, i cui dati devono essere comunicati dall'amministratore ai creditori insoddisfatti, che lo interpellino.

In buona sostanza, condòmini solventi e condòmini morosi non si trovano in una posizione paritetica, in quanto l'obbligazione dei condòmini solventi nei confronti del terzo creditore insoddisfatto è soltanto eventuale e secondaria, ed il beneficium escussionis è riferito non all'intero debito del condominio nei confronti del terzo creditore, ma soltanto alle quote dovute dagli insolventi. Di recente, poi, è stato ribadito che in condominio vige il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali, in quanto gli obblighi assunti dall'amministratore nell'interesse del condominio, si imputano ai singoli condòmini solo in proporzione delle rispettive quote (Cass. n. 14530/2017).

Diritti dei condòmini morosi

Tale sentenza recepisce l'orientamento pronunciato, ante riforma, dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la Sentenza n. 9148 del 08/04/2008, che ha ritenuto più equo applicare il criterio della parziarietà.

Difatti, nel caso in cui le obbligazioni fossero divisibili, la solidarietà dovrebbe essere disposta da una apposita norma, in mancanza della quale si applica il regime della parziarietà. Pertanto, la responsabilità solidale vale solo per le obbligazioni indivisibili per natura, mentre le obbligazioni condominiali, in quanto pecuniarie, sono naturalmente divisibili e difettano del requisito dell'unicità della prestazione (Cass., n. 199 del 09/01/2017).

Neanche l'inadempimento dell'amministratore rispetto agli obblighi di cui all'articolo 63 comma 1 disp. att. c.p.c., può consentire di trasformare l'obbligazione parziaria dei condomini amministrati, in obbligazione solidale (Trib. Reggio Emilia, sentenza 292 del 22/02/2018).

È indubbio che il legislatore, essendo intervenendo dopo la pronuncia delle Sezioni Unite, avrebbe potuto espressamente prevedere la solidarietà passiva, eppure non l'ha fatto.

A questo punto la domanda nasce spontanea: ma il creditore del condominio insoddisfatto del suo credito deve rivolgersi direttamente al condominio oppure al condomino moroso?

Il legislatore non specifica come il terzo creditore debba recuperare il proprio credito nei confronti del condominio. Secondo alcuni giudici di merito il creditore non avrebbe titolo a procedere contro i singoli condòmini, in quanto l'obbligazione pecuniaria riguarda il condominio e non i singoli condòmini, che rimarrebbero estranei al contratto stipulato tra l'amministratore di condominio ed il terzo fornitore.

Sembra, dunque, che il creditore debba agire contro il condominio, per procurarsi il titolo, di solito un decreto ingiuntivo da notificare all'amministratore, il quale, a sua volta, avrà l'obbligo di convocare l'assemblea condominiale, per far approvare il relativo stato di riparto spese suddiviso con i millesimi.

Soltanto allora, dopo la formazione del titolo, il creditore potrà agire nei confronti dei condòmini morosi, sulla scorta dei dati e dei pro quota comunicati dall'amministratore all'uopo "interpellato", provvedendo a notificare titolo esecutivo e pedissequo atto di precetto agli stessi insolventi.

Ragionando in tal senso, il creditore del condominio potrebbe pignorare il conto corrente condominiale in qualsiasi momento, avendone titolo, e solo nel caso in cui il pignoramento presso la banca o la posta risultasse infruttuoso, allora potrebbe optare di rivolgersi ai morosi.

Poi sarà cura dell'amministratore procedere contro i condòmini morosi per recuperare le somme necessarie ad estinguere il debito riferito all'obbligazione contratta con il terzo fornitore.

Sotto tale profilo, il dato certo delle pronunce di merito, che guardano soltanto alle ragioni del creditore insoddisfatto, è rappresentato dall'assunto che il creditore sia tenuto a richiedere l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti del condominio. In ogni caso il legislatore non ha inteso specificare un divieto del creditore di agire direttamente contro il condomino moroso, per richiedere nei suoi confronti l'emissione di un decreto ingiuntivo connesso al suo credito. In realtà nulla osta all'azione diretta del creditore insoddisfatto contro il condomino moroso, se non ragioni di convenienza dello stesso creditore. L'importante è che il credito vantato dal creditore sia liquido, cioè specificato nel suo importo, anche in base ad un semplice calcolo aritmetico, ed esigibile, cioè sia scaduto il termine previsto per l'adempimento, nonché fondato su prova scritta.

È certo che, per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità dell'ingiunzione di pagamento, il concetto di prova scritta di cui all'articolo 633 c.p.c., non è rigoroso come quello deducibile dagli artt. 2699 c.c. e segg., nei quali si parla di "prove documentali" riferite ad atto pubblico e scrittura privata, in quanto è sufficiente desumere dal contenuto dei documenti prodotti, in allegato al ricorso, la fondatezza del credito vantato, nonché la quantità ed esigibilità, sulla scorta di criteri obiettivi.

In particolare la prova scritta può essere rappresentata da "qualsiasi documento anche privo di efficacia probatoria assoluta" di cui agli artt. 2700 e 2702 (Ex multis: Cass. 27 aprile 1976, n.1479; Cass. 13 luglio 1977, n.3150; Cass. 27 gennaio 1979, n.615; Cass. 25 marzo 1971, n.845).

In ordine alla prova è sufficiente che tali documenti contengano un qualche elemento corretto relativo al credito vantato.

Nel caso che ci occupa la prova del creditore contro il morso potrebbe essere rappresentata da:

1) copia delle fatture emesse dal terzo fornitore nei confronti del condominio, con estratto autentico delle scritture contabili e attestazione notarile della regolare tenuta dei registri;

2) copia del contratto stipulato. È legittimo, per esempio, nel caso di un contratto di appalto, che i condòmini nell'esercizio della loro autonomia negoziale, concordino di instaurare un rapporto sottratto alle regole della solidarietà passiva, con la previsione che in caso di inadempimento l'appaltatore sia tenuto ad agire direttamente nei confronti dei singoli partecipanti al condominio (Cass. n. 70 del 3 gennaio 2011);

3) la famosa missiva dell'amministratore, con l'indicazione dei morosi.

A proposito di tale ultimo documento attenzione, perché l'amministratore deve comunicare al creditore o al suo avvocato i nominativi e i dati anagrafici dei soli condòmini morosi completi di ogni generalità, con le rispettive quote, dovute per caratura millesimale e riferite al debito dovuto dal condominio al creditore (Trib. di Tivoli Sentenza del 16 Novembre 2015).

La comunicazione deve avvenire con sollecitudine, altrimenti l'amministratore è responsabile per il danno cagionato (Tribunale di Tivoli ordinanza del 21 aprile 2016 e Tribunale di Palermo Ordinanza del 19 marzo 2014).

In caso di inerzia dell'amministratore appare fondato che il creditore, per recuperare i dati dei morosi, ricorra al procedimento sommario di cognizione di cui all'articolo 702 bis c.p.c., con la conseguenza che l'amministratore potrebbe essere obbligato a consegnare l'elenco completo dei morosi, con relative quote a debito, rischiando anche di essere condannato a pagare una penale, così come sentenziato dal Tribunale di Roma, con sentenza Sez.

V del 01/02/2017, che ha condannato l'amministratore ad euro 2.000 per ciascun mese di ritardo nell'esecuzione dell'adempimento più spese di lite.

Però, francamente, quale sprovveduto di creditore del condominio accetterebbe di procedere contro il condomino moroso, per ingiungergli la quota dovuta, sapendo di poter agire direttamente contro il condominio.

È ovvio che il creditore ha tutto l'interesse ad agire contro il condominio, per pignorare subito il conto corrente condominiale, anche perché è facile che la cifra corrispondente all'importo del debito sia già depositata, seppure tale somma sia di solito costituita dalle quote di condominio corrisposte dai condòmini solventi e non certo dai morosi.

Ma il legislatore ha previsto che il creditore insoddisfatto possa effettuare il pignoramento del conto corrente condominiale?

Ebbene, il legislatore non solo non specifica come il terzo creditore del condominio debba recuperare il proprio credito nei confronti dei condòmini morosi ma non specifica neanche se il creditore possa procedere a pignorare il conto corrente condominiale.

In proposito si registrano, comunque, diverse decisioni di merito favorevoli al pignoramento del conto corrente condominiale e motivate dal fatto che il terzo creditore non pignorerebbe somme appartenenti ai singoli condòmini, ma un patrimonio condominiale distinto da quello dei condòmini, a disposizione immediata del correntista-amministratore (Trib. Pescara, ord. 27 marzo/2 aprile 2014; Trib. Pescara, ord. 8 maggio 2014; Trib. Reggio Emilia, ord. 14/16 maggio 2014; Trib. Catania, ord. 26 maggio 2014; Trib. Milano, ord. 27 maggio 2014 (in giudizio Rg. 16553/2012); Trib. Brescia 30 maggio 2014 e Trib. Milano, ord. 2 luglio 2014; Trib. Ascoli Piceno n. 1287 del 26 novembre 2015).

In sostanza il creditore è legittimato dal giudice ad attaccare il conto corrente condominiale, sulla base del ragionamento che il pignoramento non interferisce con il c.d. beneficio di escussione previsto dall'art. 63 disp att. c.c., che espressamente prevede "i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini".

Eppure, è noto che nel conto corrente del condominio convergono, senza distinzioni, i versamenti di tutti i condòmini, in quanto, ai sensi dell'art. 1129 c.c., l'amministratore deve far transitare sul conto corrente intestato al condominio tutte le somme ricevute a qualsiasi titolo da parte dei condòmini o dei terzi e quelle erogate per conto del condominio.

Ciò significa che, per i condòmini in regola con il pagamento delle quote condominiali, già depositate sul conto corrente intestato al condominio, si profila un doppio danno, perché le loro quote destinate al pagamento dei servizi, di fatto, andranno a coprire i debiti dei morosi.

Tirando le fila del ragionamento, altro che tutela dei solventi nei confronti dei morosi. Per fortuna esistono anche le decisioni contrarie dei giudici dell'esecuzione, che hanno inteso accogliere il ricorso di opposizione al pignoramento del conto corrente condominiale, facendo leva sulla sentenza n. 9148/2008 della Corte di Cassazione SS.UU., con sospensione della procedura esecutiva sul conto e conseguente condanna del creditore a rifondere le spese legali al condominio. (Trib. di Genova ordinanza del 22/12/2014).

In un altro caso il pignoramento del conto corrente condominiale è stato dichiarato inammissibile, perché la creditrice non aveva fornito prova documentale dell'avvenuta escussione dei condomini morosi e nemmeno di averne richiesto i nominativi all'amministratore, contravvenendo al principio di parziarietà delle obbligazioni contrattuali dei condòmini verso i terzi (Trib. Pescara, ord. 18 dicembre 2013).

In conclusione, per evitare qualsiasi "fraintendimento" sulla parziarietà delle obbligazioni condominiali, sarebbe bene che intervenisse direttamente il legislatore, visto che neanche le Sezioni Unite della Cassazione del 2008 sono riuscite a convincere i giudici di merito, con l'ovvia conseguenza che a pagarne le spese sono sempre i soliti condòmini solventi.

Avv. Michele Orefice

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