Rinomina dell'amministratore revocato dal giudice. Il caso.
Un condomino impugnava una delibera assembleare ritenendo come la stessa fosse nulla.
L'assemblea in oggetto era ordinaria e comportava il voto favorevole del condominio rispetto al rendiconto consuntivo e al bilancio preventivo per l'annualità successiva.
A detta del condomino, tuttavia, la delibera sarebbe stata nulla in quanto, all'esito della stessa, il condominio aveva approvato la nomina di un nuovo amministratore.
Questo amministratore non era nuovo al condominio, avendo esercitato il mandato in detto stabile alcuni anni addietro, tuttavia egli era stato revocato dal suo ruolo a seguito di un ricorso di un condomino.
In particolare un condomino (presumibilmente lo stesso che si opponeva alla nuova nomina dell'amministratore) aveva agito con istanza di revoca dell'amministratore ai sensi dell'art. 64 disp. Att. C.c.
Tale norma afferma che "Sulla revoca dell'amministratore, nei casi indicati dal terzo comma dell'art. 1129 e dall'ultimo comma dell'art. 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l'amministratore medesimo.
Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d'appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione".
Il Tribunale, all'esito del giudizio, aveva rigettato l'istanza di revoca dell'amministratore per grave inadempimento dei suoi oneri professionali.
La vicenda era quindi approdata in Corte d'Appello, ove la decisione di prime cure era stata sovvertita e l'amministratore era stato revocato sulla scorta della mancata apertura del conto corrente condominiale (considerata una grave violazione e motivo esplicitamente indicato nell'art. 1129 comma III c.c.).
A seguito della revoca dell'amministratore, tuttavia, il condominio aveva provveduto a conferire l'incarico per la durata di un anno alla moglie dello stesso.
Dopo l'anno di mandato della moglie, quindi, l'amministratore aveva nuovamente ricevuto l'incarico nella delibera impugnata.
La parte convenuta, quindi, valutava in primis come la decisione di volontaria giurisdizione relativa alla revoca non avesse valore decisorio e carattere di definitività.
Rilevava altresì il comparente come, ove la revoca fosse destinata a rendere impossibile la nuova nomina dell'amministratore questo avrebbe il potere di compromettere la libertà di svolgimento della professione e autonomia gestionale del condominio nei rapporti contrattuali.
La stessa Cassazione, difatti, aveva avuto modo di affermare che "il provvedimento di revoca della Corte d'Appello non è una sentenza: ma un provvedimento di volontaria giurisdizione che pur incidendo sul rapporto tra condomini e amministratore non ha carattere decisorio" (così in Cass. n. 14562/2011).
La questione, quindi, ineriva sulla possibilità o meno di rinnovare il mandato ad un amministratore di condominio già revocato in passato e - soprattutto - se la revoca giudiziale dell'amministratore avesse il potere di escludere l'amministratore dal relativo condominio solo per l'anno successivo o per sempre.
Con la sentenza n. 82 del 28 gennaio 2020 il Tribunale di Trieste rigetta la domanda attorea.
Il giudice adito, all'esito del processo, rigettava la prospettazione avanzata dall'attore.
Dal punto di vista giuridico, difatti, la decisione della Corte d'Appello, pur essendo di volontaria giurisdizione, aveva carattere decisorio tale da impedire l'immediata rinomina dell'amministratore.
Ai sensi dell'art. 1129 comma XIII c.c., difatti, "In caso di revoca da parte dell'autorità giudiziaria, l'assemblea non può nominare nuovamente l'amministratore revocato".
A detta del decidente, quindi, il fatto che la decisione fosse di volontaria giurisdizione aveva un valore tale da rendere applicabile il divieto di rinomina dell'amministratore.
La questione, secondo il Tribunale di Trieste, era relativa alla formulazione della succitata norma.
La formulazione poco chiara della norma, infatti, comportava una incertezza sulla interpretazione del periodo di interdizione dell'amministratore dall'essere rinominato nel medesimo condominio dal quale era stato revocato.
La sintetica formulazione della norma citata, difatti, non consentiva di comprendere se l'interdizione doveva essere considerata sine die o solo per l'anno successivo alla revoca.
A tal fine il giudice affermava come il termine "nuovamente" contenuto nella norma, dovesse essere interpretato come "immediatamente dopo la revoca" ossia a valere solo per l'esercizio successivo a quello della revoca e non sine die in quanto - almeno nel caso in questione - tale interpretazione appariva più aderente con la decisione dell'assemblea di rinominare l'amministratore e con il principio di autonomia assembleare in materia condominiale.
La domanda attorea, quindi, veniva rigettata, consolidando la rinomina dell'amministratore.
La sentenza coglie nel segno, ma la motivazione non convince appieno.
È parere dello scrivente come la sentenza in commento colga nel segno quanto al dispositivo.
È corretto, infatti, il ragionamento del decidente che - nella sintetica lettera della norma - statuisce la durata annuale dell'impossibilità di rinomina dell'amministratore dal condominio che lo aveva revocato.
La decisione, come detto meritevole, ha però un neo del quale occorre discutere.
Si legge infatti nel testo della decisione che gli elementi che avevano fatto propendere il decidente per l'interpretazione solo annuale della interdizione dell'amministratore revocato erano "il principio di autonomia assembleare in materia condominiale" e "in quanto tale interpretazione appare maggiormente aderente alla attuale volontà assembleare di reintegrare nelle funzioni l'amministratore".
A parere di chi scrive la prima motivazione deve essere la sola ed unica ad orientare una decisione come quella in commento.
Laddove il decidente abbia a scegliere tra una interpretazione normativa ed un'altra, infatti, egli ha il dovere di utilizzare criteri ermeneutici generali ed astratti ed astenersi dal valutare se l'interpretazione fornita sia più o meno aderente all'attività stragiudiziale svolta dalle parti prima della causa.
Da privilegiare, secondo lo scrivente, l'ampio potere che il nostro ordinamento conferisce all'autonomia decisoria della parte contrattuale (in questo caso il condominio) il quale ha il diritto, ove lo ritenga giusto, di rinominare un amministratore in precedenza giudizialmente revocato e ciò in quanto la propria decisione non influisca sulla sfera giuridica di altri se non le parti del relativo contratto.