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È possibile utilizzare nel processo la consulenza tecnica effettuata in mediazione?

Le prime pronunce di merito si sono espresse per l'ammissibilità anche in assenza di accordo delle parti.
Avv. Gianfranco Di Rago 

Anche nelle procedure di mediazione è possibile avvalersi della consulenza di soggetti dotati di specifiche competenze tecniche, ove le parti lo ritengano utile ai fini dell'individuazione di una soluzione conciliativa.

E così, ad esempio, nella controversia che veda l'uno contro l'altro il condominio e l'impresa appaltatrice in relazione ai presunti vizi delle opere commissionate, può essere utile incaricare un perito, terzo imparziale, che proceda alla valutazione dei lavori realizzati e/o proceda a quotare la rilevanza economica delle difformità denunciate.

Nulla quaestio ove le parti abbiano concordemente stabilito di utilizzare il documento anche nel successivo processo ove la mediazione termini con un verbale negativo.

In questo caso permane solo il dubbio relativo al valore giuridico di detta perizia in sede processuale. Rimane invece problematico il caso in cui le parti non si siano accordate in tal senso. È possibile produrre il documento in giudizio? E il giudice può/deve tenerne conto?

Il dovere di riservatezza.

I dubbi nascono soprattutto dal fatto che la mediazione ha come suo elemento caratterizzante la riservatezza. Si tratta di una differenza enorme rispetto al processo.

Le parti in lite in tanto possono trovare un accordo in quanto si sentono libere di poter parlare senza restrizioni e accorgimenti tattici, di poter manifestare il proprio modo di vedere le cose senza preoccupazioni legate all'utilizzo che la controparte potrà fare delle informazioni di cui sarà venuta a conoscenza.

Ecco perché il dovere di riservatezza è così importante e vincola non solo le parti, ma anche il mediatore e tutti i soggetti che siano intervenuti nella procedura.

Ed ecco perché la sanzione che punisce la violazione di tale dovere, ossia l'inutilizzabilità delle relative informazioni, è particolarmente pesante (e molto efficace, se applicata correttamente).

Anche il D.Lgs. 28/2010, norma quadro che ha inteso disciplinare la mediazione c.d. obbligatoria, nonostante le dichiarate finalità deflattive del contenzioso pendente, ha ribadito il predetto principio. L'art. 9, rubricato "Dovere di riservatezza", dispone infatti che "chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione è tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo".

E il successivo art. 10, rubricato "Inutilizzabilità e segreto professionale", prevede che "le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l'insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni.

Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio".

Deve esserci corrispondenza tra l'istanza di mediazione e la citazione

Le prime pronunce giurisprudenziali: alcune considerazioni critiche.

Le prime decisioni giurisprudenziali che si sono registrate sulla questione paiono voler decisamente ridimensionare la portata del principio di riservatezza, che dovrebbe coprire tutto ciò che viene detto e prodotto in mediazione.

A partire da una nota ordinanza del Tribunale di Roma, del 17 marzo 2014, nella quale il deposito in giudizio dell'elaborato del consulente tecnico nominato in un procedimento di mediazione è stato dichiarato legittimo e ammissibile in virtù del fatto che non vi sarebbe alcuna norma che lo vieti.

Secondo il Giudice capitolino, infatti, "non si può e non si deve neppure enfatizzare oltre ogni limite il principio della riservatezza, rischiando di andare oltre quello che il legislatore ha stabilito.

Riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell'accordo".

Questa prima osservazione non appare del tutto convincente. Come si è avuto modo di osservare in precedenza, la riservatezza resta uno degli elementi caratterizzanti della mediazione.

Il riferimento agli intenti del legislatore nazionale pare poi poco calzante, perché quest'ultimo, sospinto come al solito da quello europeo, in punto di riservatezza si è semplicemente limitato a richiamare quanto già avveniva nella prassi commerciale nell'impiego di questo strumento di ADR (noto acronimo di Alternative Dispute Resolution).

Nella predetta ordinanza del Tribunale di Roma si è poi fatto riferimento al principio di economicità del processo, che trova a sua volta fondamento nel principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 della Costituzione.

Inoltre, si legge nel predetto provvedimento, le parti potrebbero "essere tentate, per il timore di una sua circoscritta utilità, di rifiutarsi (e sicuramente ciò accade di frequente) di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto anche quando l'ausilio di un tecnico specializzato potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto - infatti - farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all'esperto potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell'esperto nella causa che potrà seguire".

Non si può non essere d'accordo con il richiamo al principio di economicità del processo ma ciò, lo si ribadisce, in un'ottica processuale che, evidentemente, non sempre coincide con quella della mediazione.

Se si vuole che quest'ultima abbia maggiori possibilità di successo occorre seguire le regole che le sono proprie e non stravolgerle nell'ottica del contenzioso processuale.

Le parti devono essere libere di scegliere se ricorrere alla consulenza tecnica già in sede di mediazione e se utilizzarla nel futuro processo in caso di mancato accordo.

Eventuali forzature di questo basilare principio, anche se giustificate in previsione del successivo giudizio, non sempre fanno il bene della mediazione e, quindi, paiono in contrasto con le stesse finalità deflattive avute di mira dal legislatore delegato.

A queste condizioni, infatti, diventa sicuramente più rischioso per i litiganti assentire allo svolgimento di una consulenza tecnica in corso di mediazione, tenuto conto che la stessa può essere svolta in sede giudiziale con costi analoghi e con le maggiori garanzie legate al principio processuale del contraddittorio e alle verifiche di ultima istanza svolte dal giudice.

Il Giudice capitolino, infine, ha ritenuto che la relazione peritale della mediazione sia assimilabile alla consulenza tecnica resa in altro giudizio, che può quindi essere acquisita nel processo su istanza di una o di entrambe le parti.

Precisamente, secondo il giudicante "la relazione redatta dal consulente tecnico nel corso di un procedimento di mediazione, che si concluda senza accordo può essere prodotta nel successivo giudizio ad opera di una delle parti senza violare le regole sulla riservatezza, in virtù di un equilibrato contemperamento fra la citata esigenza di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all'interno di tale procedimento.

Ne consegue che il Giudice potrà utilizzare tale relazione come prova atipica valutabile secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze e rilievi delle parti più che per fondare la sentenza per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio".

In una successiva ordinanza del 16 luglio 2015 il Tribunale di Roma ha avuto anche modo di evidenziare che "la possibilità di nomina di un consulente nel procedimento di mediazione è espressamente prevista dalla legge; anche nel caso di mancato accordo, la consulenza in mediazione ed in particolare la relazione dell'esperto elaborata e depositata in quel procedimento non è un atto privo di utilità successive, potendo essere prodotto ed utilizzato nella causa che segue alle condizioni, nei limiti e per gli effetti che la giurisprudenza ha motivatamente elaborato".

Il medesimo Tribunale ha poi confermato la predetta impostazione anche con un successivo provvedimento del 3 aprile 2018, nel quale si sostiene similmente che l'elaborato tecnico predisposto e/o allegato nella procedura di mediazione può essere acquisito nel corso del procedimento di merito, trattandosi di prova precostituita che - al contrario delle dichiarazioni ed informazioni - non risente del contesto procedurale entro cui è acquisita - connotato da evidenti ragioni di informalità - e consta di opinioni tecniche verificabili in modo distinto ed autonomo da quel contesto di provenienza.

Merita infine di essere segnalata un'ordinanza del 13 marzo 2015 del Tribunale di Parma, nella quale si è addirittura ritenuto di ammettere la produzione in giudizio della relazione tecnica effettuata in una mediazione che era proseguita nonostante una delle parti non avesse partecipato all'incontro, rilevando che "la circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia l'attendibilità dell'esame condotto dal consulente, il quale veniva a ciò incaricato non dalla parte ma da un terzo estraneo alla lite quale è l'organismo di mediazione".

Questa è sicuramente la posizione interpretativa meno condivisibile. Ci si chiede infatti che senso abbia proseguire in una mediazione in caso di assenza della parte invitata.

Ricordiamo a noi stessi che l'istituto della contumacia appartiene al processo ed è un concetto del tutto estraneo alla mediazione.

In queste condizioni appare ancora meno accettabile che si possa addirittura giungere a svolgere una consulenza tecnica e che un giudice ritenga poi che la stessa possa essere utilizzata nel processo per fondare eventualmente la propria decisione.

Se in tutto questo c'è una logica, essa è probabilmente da individuare nel già menzionato principio di economicità del processo (e forse nell'intenzione di "punire" chi non abbia partecipato alla mediazione, anche al di là delle sanzioni già previste dal D.Lgs. 28/2010). Ma, lo si ripete, trattasi di finalità estranea alla mediazione in sé e per sé considerata.

E tale modo di operare potrebbe alla lunga ingenerare una perdita di fiducia delle parti nel carattere informale e confidenziale di questa procedura.

A queste condizioni probabilmente la consulenza tecnica, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma nella menzionata ordinanza, sarà sempre meno utilizzata in mediazione.

Non è forse un caso che le controversie sottoposte a mediazione c.d. obbligatoria nelle quali la consulenza tecnica rappresenta una condizione quasi essenziale per il raggiungimento dell'accordo, vale a dire quelle in materia di responsabilità medica e sanitaria, sono quelle statisticamente meno partecipate.

Termine decadenza impugnazione e mediazione

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