Allaccio abusivo all'impianto idrico di terzi, cosa può fare l'amministratore
Fino a che punto può spingersi l'attività dell'amministratore nell'esercizio dei poteri ex art. 1130 c.c.? E, quindi, qual è il limite superato il quale l'amministratore compie ciò che non gli spetta? Di conseguenza, fino a che punto una mancanza da parte dei condomini può coinvolgere la responsabilità dell'amministratore?
Quante domande! Una risposta, che la si condivida o no, la dà la Corte d'Appello di Napoli nella sentenza n. 1311 del 2019, riguardante un caso di allacciamento abusivo alle condotte idriche di terzi da parte di alcuni condomini nel quale si dibatteva, tra l'altro, della responsabilità dell'amministratore del condomino.
Limiti dei poteri dell'amministratore sui beni comuni
Il primo grado si era concluso per la responsabilità solidale da parte di tutto il condominio, ai sensi dell'art. 2055 c.c., con coloro che avevano commesso l'illecito.
Secondo il Tribunale, "la presenza nel fabbricato di servizi comuni, che avevano consentito di fruire della fornitura nonostante l'assenza di un regolare rapporto contrattuale, era sufficiente a fondare la responsabilità del Condominio, dovendo quest'ultimo rispondere dell'operato dell'amministratore"; dunque, l'assenza di un'utenza intestata al condominio tagliava in radice ogni altra contestazione.
Le conclusioni della Corte d'Appello sono diverse: ebbene sì, dagli accertamenti effettuati risulta, oltre che l'allacciamento abusivo, anche la presenza di un'unica colonna montante e si deduce senza dubbi che l'amministratore non potesse non essere a conoscenza della situazione di illiceità.
L'amministratore di condominio non ha poteri coercitivi
Ciononostante, quegli non avrebbe potuto vietare ai condomini l'utilizzo degli impianti, non rientrando ciò nei suoi poteri come previsti dagli artt. 1130 e 1133 e c.c.
La Corte richiama alcuni precedenti - Cass. n. 6567/2006 e 8804/1993 - nei quali si è escluso che l'amministratore possa vietare ai condomini l'utilizzo degli impianti comuni; in particolare, la sentenza n. 6567/2006 riguardava l'irrogazione di una sanzione amministrativa in capo ad un amministratore per avere attivato uno scarico civile di fognatura senza aver ottenuto la prescritta autorizzazione; mentre, la sentenza n. 8804/1993 riguardava un motivo di ricorso secono cui "poiché l'amministratore del condominio può agire in giudizio sia contro i condomini, sia contro i terzi, quando si verifichino abusi nell'uso della cosa comune, l'Amministratore ha il potere e il dovere di intervenire esercitando le necessarie azioni giudiziarie contro quei condomini ritenuti responsabili.
Nel caso in esame vi era stato abuso della cosa comune onde l'amministratore era tenuto ad agire giudizialmente contro i responsabili, per cui non avendo a ciò provveduto deve rispondere del danno provocato dalla sua inadempienza".
La Corte d'Appello di Napoli afferma che, pur alla luce di eventuali estensioni dei poteri dell'amministratore da parte dei regolamenti o dalle delibere assembleari, e anche ove, se previsto dal regolamento, egli possa irrogare nei confronti dei condomini le sanzioni pecuniarie di cui all'art. 70 Disp. att. e trans. c.c., i suoi poteri non possono mai arrivare ad essere coercitivi o disciplinari.
L'amministratore non può agire in giudizio contro chi abusa della cosa comune
"Né" si afferma, egli "ha l'obbligo giuridico, in termini di causalità, cioè in quanto tenuto ad impedire l'evento, di promuovere il giudizio nei confronti dei condomini che abusano nell'uso della cosa comune, poiché il potere - dovere di curare l'osservanza del regolamento di condominio non postula, in mancanza di una espressa regola condominiale o di una delibera assembleare, l'onere di esigere in via giudiziale il rispetto delle regole condominiali"; insomma, l'amministratore non potrebbe nemmeno agire in giudizio di sua iniziativa per ottenere il rispetto del regolamento.
Su tale ultima affermazione, osserviamo che essa mal si concilia con la previsione che all'art. 1131 co.1 c.c., che conferisce la legittimazione attiva nelle materie di competenza dell'amministratore (tra cui rientra il rispetto del regolamento), e di conseguenza mal si concilia con la giurisprudenza pressoché unanime sul punto.
Viceversa, secondo chi scrive, l'esclusione di poteri coercitivi in capo all'amministratore sembra ben conciliarsi con il fatto che ove la legge lo ha voluto, lo ha previsto espressamente; ci si riferisce alla previsione di cui all'art. 63 disp. att. e trans. c.c., che prevede che l'amministratore possa sospendere dal servizio comune (suscettibile di godimento separato) i condomini - e che, nella nuova versione data dalla riforma del condominio, non richiede la previsione del regolamento - ma l'art. 63 ne specifica anche il caso in cui ciò è ammesso: deve esserci morosità protratta per un semestre. Un 'ipotesi ben precisa.
Ne consegue che l'amministratore "può rispondere dei danni cagionati dalla sua negligenza, del cattivo uso dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, ma al di fuori di queste ipotesi, non può essere ritenuto responsabile dei danni cagionati dell'abuso nell'uso delle cose comuni da parte dei condomini" (Cass. n. 8804/1993 e C.te App. Napoli n. 1311/2019).
Si osserva poi in conclusione che l'azione non ha riguardato in maniera esplicita l'utilizzo abusivo dell'acqua da parte del condominio, ma solo dei condomini.
Per tali motivi la Corte d'Appello esclude la corresponsabilità del condominio, dovuta all'omissione dell'amministratore, in via solidale con i singoli condomini.