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Il potere di disciplina dell'uso delle cose comuni. I poteri interni al condominio e quelli nei confronti dei terzi.

Poteri in relazione alla disciplina dell'uso delle cose comuni e dell'erogazione dei servizi nell'interesse comune, è prerogativa dell'amministratore di condominio esercitare tali poteri non solo nell'ambito condominiale.
Avv. Alessandro Gallucci 

L’amministratore di condominio, ai sensi dell’art. 1130 primo comma n. 2, c.c. ha il potere di “ disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini”.

Si pensi all’immobile condominiale dotato di un impianto di riscaldamento comune. In molte circostanze né il regolamento contiene indicazioni, né l’assemblea riesce a prendere decisioni, utili alla disciplina degli orari di accensione e spegnimento.

In questi casi spetterà all’amministratore il potere di disciplinare l’accensione e lo spegnimento del riscaldamento, in sostanza, dunque sarà rimessa alla sua discrezione la scelta delle fasce orarie d’accensione. Il tutto, resta sottointeso, nel rispetto delle indicazioni fornite dalla legge (si veda legge n. 10 del 1991 e d.p.r. 413/93).

Quanto ai poteri in relazione alla disciplina dell’uso delle cose comuni e dell’erogazione dei servizi nell’interesse comune, è prerogativa dell’amministratore di condominio esercitare tali poteri non solo nell’ambito condominiale, ben potendo il legale rappresentante dei condomini agire a tal fine anche con terzi estranei al condominio.

In tal senso si è ritenuto legittimo affermare che “ quanto ai poteri dell'amministratore del condominio, tra le sue attribuzioni rientra quello di stipulare i contratti che occorrono per provvedere, nei limiti della spesa approvata dall'assemblea, tanto all'ordinaria manutenzione, quanto alla prestazione dei servizi comuni (Cass., Sez.

II, 20 luglio 1963, n. 1998; cfr. altresì Cass., Sez. un., 17 giugno 1988, n. 4126)” (così Cass. 17 marzo 1993 n. 3159).

La competenza dell’amministratore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1130-1131 c.c., si spinge fino alla legittimazione ad agire in giudizio al fine di far vedere rispettata la disciplina dell’uso cose comuni. Si pensi alle norme da egli dettate e sempre osservate da tutti i condomini che regolamentano l’uso del cortile destinato a parcheggio comune.

S’ipotizzi che uno o più condomini inizino a non rispettare quelle regole fino ad allora condivise. L’amministratore sarà legittimato ad agire in giudizio per ottenerne il rispetto al fine di salvaguardare il miglior uso, in favore di tutti i comproprietari, delle parti comuni.

Fino a che punto si spingono i poteri di disciplina dell’uso delle cose comuni che la legge riconosce all’amministratore di condominio? In sostanza, quando la condotta dell’amministratore dovrà ritenersi illecita? Spulciando le ultime pronunce della Corte di Cassazione in materia di limiti ai poteri dell’amministratore di condominio previsti dall’art. 1130 c.c. vale la pena soffermarsi su una sentenza datata giugno 2009.

In un caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, che ha trovato giustizia nella pronuncia 11 giugno 2009 n. 13626, un amministratore di condominio negava ad un condomino di possedere le chiavi del portone comune attraverso il quale era possibile accedere ad un passaggio comune che conduceva, tra le altre cose,un locale di proprietà esclusiva del comproprietario.

Secondo il mandatario dei condomini il deposito delle chiavi presso il portiere era misura sufficiente a garantire a tutti il corretto uso delle parti comuni.

A parere del condomino, invece, tale modalità di uso del portone impediva, di fatto, il libero accesso alla proprietà privata, comprimendone il diritto d’uso.

Dello stesso avviso di quest’ultimo la Corte di legittimità secondo la quale “ il potere dell'amministratore di disciplinare l'uso delle cose comuni, di cui all'art. 1130 c.c., comma 1, n. 2, è finalizzato ad assicurare il pari uso di tutti i condomini e non può certo estendersi fino a negare ad uno di essi ciò che è consentito a tutti gli altri, qual è, nella specie il passaggio” (così Cass. 11 giugno 2009, n. 13626).

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