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Locazioni non abitative: morosità nel pagamento del canone e risoluzione del contratto

L'esistenza, nel contratto di locazione, di una clausola risolutiva espressa rende la morosità inadempimento grave, a prescindere dall'entità della stessa.
Avv. Adriana Nicoletti 

La disciplina delle locazioni ha effetti diversi a seconda che il contratto sia ad uso abitativo, oppure sia destinato ad uso diverso. In questo caso ci si riferisce a tutte le destinazioni che sono indicate nell'art. 27 della legge n. 392/1978 per le quali il legislatore, determinando una durata più ampia rispetto a quella prevista per le locazioni abitative, ha sentito l'esigenza di tutelare adeguatamente la posizione del conduttore che svolga nell'immobile un'attività imprenditoriale, commerciale e quant'altro e che gli consenta di poter contare su una certa stabilità del rapporto. Per contro, anche il locatore deve essere garantito nel proprio diritto.

Al di là delle controversie che hanno ad oggetto la finita locazione per decorrenza dei termini, assumono rilevanza preponderante quelle che concernono la morosità nel pagamento dei canoni di locazioni e che non godono, nel settore ad uso diverso, il privilegio del c.d. "termine di grazia", applicabile alle locazioni abitative e che consente al conduttore di sanare, in corso di causa, la propria posizione debitoria.

Risolto il contratto per morosità di immobile ad uso diverso. Fatto e decisione

Un locatore, titolare di un contratto ad uso diverso dall'abitazione, incardinava dinanzi al Tribunale di Cassino, che decideva con sentenza n. 496 in data 27 marzo 2024, uno sfratto per morosità nei confronti del conduttore per il mancato pagamento di canoni locazione, parte dei quali era stata versata dopo la notifica dell'atto di intimazione.

In sede di mutamento del rito, il giudice ha dichiarato risolto il contratto per inadempimento del conduttore, condannato a versare al locatore i canoni insoluti ed a rilasciare l'immobile libero da persone e cose.

Ha evidenziato il giudicante che "nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione, non trova applicazione la disciplina di cui all'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento c.d. termine di grazia" (Cass. Sez. Un., 28 aprile 1999, n. 272. Conf. ex multis Cass 20 gennaio 2017, n. 1428).

Inoltre, rispondendo all'eccezione sollevata dal conduttore, ad avviso del quale il residuo da pagare doveva rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 1455 c.c. ("il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra"), il giudicante ha rilevato che nel momento in cui le parti avevano contrattualmente stabilito che il mancato pagamento, anche di una sola mensilità, rappresentava l'equipollente di un grave inadempimento, automaticamente si verificavano i presupposti per la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1456 c.c.

Il Tribunale, che si era così uniformato alla costante giurisprudenza, concludeva osservando che nel giudizio di declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore nel pagamento delle somme dovute il locatore deve dimostrare la fonte negoziale (ovvero il contratto di locazione), mentre la parte intimata deve provare di avere adempiuto alla propria obbligazione.

Sfratto per morosità, come comportarsi?

Considerazioni conclusive

L'art. 55 della l. n. 392/1978, che si caratterizza per essere norma processuale e deve essere coordinato con il precedente art. 5 della stessa normativa, è stato posto a tutela del contraente più debole, nel senso che nei casi in cui la morosità non sia grave sia possibile evitare la risoluzione del contratto per inadempimento concedendo al conduttore l'opportunità di evitare lo sfratto attraverso il mezzo della c.d. sanatoria o termine di grazia con cui il debito viene estinto. L'art. 5 della l. n. 392, infatti, che ha per oggetto l'inadempimento del conduttore, specifica i termini in cui il comportamento di quest'ultimo determinare la risoluzione del contratto: il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza del termine contrattualmente previsto, oppure - sempre nei termini concordati - del versamento degli oneri accessori quando l'importo superi quello di due mensilità del canone.

La norma, tuttavia, con un rinvio preciso all'art. 55, fa salvo il comportamento del conduttore che in sede giudiziale sani la propria morosità.

Naturalmente il particolare favor concepito dal legislatore nei confronti dell'inquilino non è privo di contropartite.

Infatti, in sintesi, la morosità sia per canoni che per oneri accessori deve essere sanata nel corso della prima udienza ed il pagamento deve riguardare il rispettivo intero ammontare di quanto non versato, maggiorato degli interessi legali.

Il citato art. 55, inoltre, indica le possibilità per ricorrere alla sanatoria e che variano da tre a quattro volte (in questo caso se la morosità sia conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore insorte dopo la stipula del contratto e conseguenti a disoccupazione, malattia o gravi e comprovate condizioni di difficoltà), ma circoscritte nell'ambito di un quadriennio.

Una precisazione che fa escludere che il c.d. "temine di grazia" si possa applicare alle locazioni ad uso diverso da quello abitativo, la cui durata è stata fissata, dalla legge n. 392, in sei o nove anni rinnovabili per pari durata, se non intervenga disdetta nelle forme e nei termini di legge.

Oltre al fatto che l'art. 41 della legge n. 392/1978, che è norma di rinvio rispetto alle precedenti disposizioni, esclude l'applicabilità dell'art. 5 ai contratti ad uso diverso.

Strettamente collegato a quanto fino ad ora rilevato è l'inadempimento di cui all'art. 1455 c.c., come richiamato dall'art. 5, considerato sussistente ex lege se identificabile nelle violazioni che formano oggetto della norma stessa e come tale non soggetto a valutazione discrezionale da parte del giudice, quando nel contratto le parti abbiano stabilito, ai sensi dell'art. 1456 c.c., di ritenere risolto il contratto se si verta nella situazione di cui al combinato disposto delle due norme.

Infatti, come evidenziato dal Tribunale, l'inserimento nel contratto della clausola risolutiva espressa aveva manifestato l'accordo delle parti alla risoluzione del contratto stesso nel momento in cui fosse stato violato, da parte del conduttore, l'obbligo di versare anche un solo canone di locazione.

Del resto, la gravità dell'inadempimento non poteva essere esclusa dal fatto che, appena ricevuta la notificazione dell'atto giudiziale, il conduttore aveva provveduto a sanare, anche se in parte preponderante, la sua morosità.

Tantomeno poteva assumere rilevanza la circostanza che il residuo da versare da parte dell'inquilino fosse di importo minimo, dal momento che il giudicante, per i motivi di cui sopra, non poteva esercitare alcuna discrezionalità in merito.

Diversamente, ovvero nel caso in cui non fosse stata sottoscritta la clausola di cui all'art. 1456 c.c., non vi sarebbero stati problemi quanto al riconoscimento delle prerogative del giudice in questo senso. Infatti, la Corte di cassazione ha affermato che "In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, benché il criterio legale di predeterminazione della gravità dell'inadempimento ex art. 5 della l. n. 392 del 1978 non trovi diretta applicazione, esso può, comunque, essere considerato quale parametro di orientamento per valutare in concreto, ai sensi dell'art. 1455 c.c., se l'inadempimento del conduttore sia stato o meno di scarsa importanza" (Cass. 26 novembre 2019, n. 30730. Fattispecie relativa alla gravità dell'inadempimento per la mancata corresponsione del canone in presenza della clausola risolutiva espressa).

Sentenza
Scarica Trib. Cassino 27 marzo 2024 n. 496
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