Com'è noto, i temi concernenti il contratto di locazione e la sua esecuzione hanno propri istituti processuali, tra cui la procedura di sfratto per morosità. La lagnanza può riguardare il mancato pagamento del canone, anche solo uno, e/o il mancato pagamento delle spese accessorie (spese condominiali a carico del conduttore).
Quest'ultima voce può essere oggetto di autonoma azione se la morosità degli oneri consiste nel mancato pagamento di un importo corrispondente almeno a due mensilità di canoni.
Premesso ciò, verifichiamo cosa è successo nella vicenda di cui alla sentenza del Tribunale di Roma n. 14827 del 6 ottobre 2022.
La vicenda di cui alla sentenza del Tribunale di Roma n. 14827 del 6 ottobre 2022.
La Fondazione X ha concesso in locazione alla sig.ra Y l'immobile sito in Roma identificato con i relativi dati compreso il posto auto. Successivamente la Fondazione con atto pubblico cede una serie di immobili, incluso quello oggetto di causa, alla Società Z Srl. Quest'ultima, con diverso atto pubblico, vende ad altra società una serie di immobili tra cui quello oggetto dello della relativa causa che qui si affronta.
Secondo parte attrice la sig.ra conduttrice si rendeva morosa nei confronti dell'intimante dei canoni e oneri accessori (un residuo sul canone di Dic./19, l'intero canone dal mese di gennaio 2020 sino al mese di Maggio 2020 ed ancora dal mese di Giugno 2020 sino al mese di Marzo 2021 e relativi oneri accessori dei periodi indicati in tutto o in parte, così in totale € 9.725,70 (canone mensile attuale di € 464,98; morosità per oneri accessori € 2.827,78) come da prospetto morosità prodotto oltre a quelli maturandi alla data della notifica della intimazione, oltre ai canoni ed alle pese maturati e maturandi fino alla data dell'udienza o al rilascio, oltre interessi.
La conduttrice propone opposizione alla intimazione sulla evidenziando la mancanza del contratto in quanto disdettato conseguendo da ciò che l'intimazione di sfratto per morosità non è proponibile, che esercizio del "diritto di prelazione" per l'acquisto dell'immobile è stato manifestato nei confronti di un soggetto errato, perché alla nipote della intimata e non a quest'ultima; la mancata registrazione del rinnovo del contratto dalla quale si deduce una nullità di quest'ultimo da cui consegue che l'azione promossa è improponibile.
Ancora, in subordine, evidenzia che le condizioni di salute che dovrebbero essere motivo ostativo alla convalida e in estremo subordine richiesta di compensazione delle spese.
Il Giudice, dopo aver concesso termine per le note di trattazione scritta, si riserva A scioglimento della riserva assunta concede l'ordinanza di rilascio con termine per l'esecuzione fissato al 01.02.22 e, mutato il rito, fissa l'udienza di discussione per il 10.02.22 con termine di legge per le memorie ex art. 426 e 447 bis c.p.c.
La causa, così istruita in toto, è stata discussa e decisa nell'udienza riportata nella relativa sentenza. Si ricorda che questi procedimenti nella fase del giudizio di merito a seguito dell'opposizione del conduttore, per certi versi seguono il rito del lavoro, tra cui la discussione della causa nell'udienza conclusiva del procedimento con immediata lettura del dispositivo della sentenza emessa in detta sede a chiusura della discussione.
Vediamo quindi i punti di diritto e di riflessione del Giudice.
Asserita improcedibilità della intimazione di sfratto per morosità per dedotta disdetta del contratto
Il Giudice osserva che non si può che concordare con quanto esposto da parte attrice: la disdetta prodotta, sembrerebbe su carta intestata della precedente proprietà, è priva di efficacia in quanto carente di firma.
Non risulta prodotta la busta di invio, né questo di per sé sarebbe sufficiente a dare validità al contenuto della missiva in quanto comunque priva di sottoscrizione.
È risaputo che, per le conseguenze che derivano al raggiungimento del suo scopo, l'assenza di firma rende priva di efficacia la disdetta.
Conferma è data dalla costante giurisprudenza che evidenzia che è priva di efficacia la disdetta firmata da terzi che non siano il locatore.
Ed infatti "la produzione in giudizio di una scrittura privata (pure in caso di forma scritta richiesta ad substantiam, come avviene, ad esempio, per la lettera di licenziamento), priva di firma da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla, equivale a sottoscrizione, a condizione che tale produzione avvenga ad opera della parte stessa (v., ex multis, Cass. 12/06/2006, n. 3548; Cass. 25/02/2004, n. 3810; Cass. 11/03/2000 n. 2826) nel giudizio pendente nei confronti dell'altro contraente o, deve ritenersi in caso di atto unilaterale inter vivos e a contenuto patrimoniale (la cui disciplina è equiparata ex art. 1324 c.c., in quanto compatibile, a quella dei contratti), nei confronti del relativo destinatario se si tratta di atto recettizio (Cass. 11/03/2000 n. 2826; Cass. 16/05/2017, n. 12106; Cass. 22/01/2018, n. 1525)".
Nella presente fattispecie l'odierno intimante ignora l'invio di questa presunta disdetta. La stessa appare su carta intestata di altro soggetto ed è priva di firma. ma soprattutto è prodotta in giudizio dal soggetto nei confronti del quale dovrebbe esser fatta valere e non dal soggetto che avrebbe dovuto sottoscriverla.
Si conferma quindi la assoluta inefficacia ed invalidità di detto documento non avendo raggiunto il suo scopo, con ogni onere probatorio a carico della parte opponente non potendosi applicare gli art. 2702 c.c. e, proveniente da un terzo.
Esercizio di valida prelazione o invito alla manifestazione di volontà di alienare
Sostiene parete attrice che il documento prodotto da controparte risulta essere un "invito" eseguito da una cooperativa che si era messa in contatto, come sovente accade, con la proprietà di allora a fronte della manifestata volontà di quest'ultima di alienare.
"L'invito" sarebbe volto ad accertare la "manifestazione della volontà di acquisto e prenotazione di unità immobiliare". Ma detta manifestazione ha precise e rigide modalità di attuazione, quali: prendere appuntamento con la società entro e non oltre il termine essenziale, consegnare tutta la documentazione e intendimenti, debitamente firmati, unitamente al versamento dell'importo di una determinata cifra.
È scritto proprio in detta comunicazione prodotta che "obbligatoriamente" si deve: versare euro 3.000,00 entro il 08.05.15, ottenere delibera favorevole di mutuo sempre entro l'8.05.15, versare il saldo prezzo entro il 24.06.15. Tutti termini "perentori ed essenziali".
Per assoluta carenza di produzione documentale di tutti gli adempimenti appena indicati e risultanti dal medesimo "invito", che detto proposito non ha avuto seguito. Ed infatti la cooperativa non ha evidentemente conseguito le aspettative dei suoi soci e (decorsi i termini) la stessa ha ceduto in blocco ad altra società nell'agosto del 2015.
Ne consegue che nessuna valida prelazione è stata esercitata, anzi si deve presumere che la manifestazione di intenti, per come risultante da altro documento in atti, di cui si eccepisce l'inefficacia e invalidità per assenza di data, non sia mai giunta a conoscenza della proprietà.
Risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice
Risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della parte conduttrice
Alla luce di quanto esposto la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della parte conduttrice è fondata e merita accoglimento.
Infatti, attraverso la produzione del contratto di locazione regolarmente registrato, dai quale risulta l'obbligazione di parte convenuta di corrispondere il canone nei termini espressi nell'atto introduttivo del giudizio, è stata data prova del fatto costitutivo della pretesa azionata.
È principio consolidato e pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte che "in tema di locazioni di immobili urbani, adibiti ad uso abitativo, nel caso in cui il conduttore, senza effettuare alcuna contestazione sul quantum, abbia omesso di pagare una o più mensilità del canone locativo, la valutazione della gravità e dell'importanza dell'inadempimento non è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice, ma è predeterminata legalmente ai sensi degli art. 5 e 55 della legge n. 392 del 27.07.1978" (Cass. n. 23257/2010).
In particolare, in materia di locazioni ad uso abitativo, la norma contenuta nell'art. 5 della legge n. 392 del 27.07.1978, rubricata "inadempimento del conduttore", dispiega la propria efficacia nell'ambito dei rimedi contro le patologie funzionali del contratto.
Essa ha per oggetto la disciplina della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento da parte del conduttore dell'obbligazione di pagamento del canone o di quella di corresponsione al locatore dei c.d. oneri accessori.
Tale norma si configura come speciale rispetto a quella posta dall'art. 1455 c.c. in quanto permette al conduttore di adempiere tardivamente senza il rischio di incorrere nella sentenza di risoluzione del contratto, ed è ispirata alla ratio del favor nei confronti del conduttore, favor giustificato dall'interesse primario di mantenere l'abitazione.
La norma, configurando una presunzione assoluta di gravità dell'inadempimento, tende a sottrarre alla discrezionalità del giudice l'apprezzamento della non scarsa importanza dell'inadempimento, ancorando tale valutazione a due presupposti oggettivi, uno di tipo quantitativo, consistente nel mancato pagamento di una rata del canone o di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità di canone, ed uno di ordine temporale, dato dal protrarsi dell'inadempimento per oltre venti giorni dalla scadenza del termine convenuto o di due mesi in caso di oneri accessori.
Si legga la Suprema Corte: "in tema di locazione di immobili ad uso abitativo, con riferimento all'inadempimento del conduttore al pagamento del canone, l'art. 5 della legge n. 392 del 27.07.1978, il quale stabilisce che il mancato pagamento del canone della locazione, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'art. 1455 c.c., fissa un criterio di predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento e ciò anche quando si tratti di morosità relativa agli oneri accessori" (Cass. Civ. n. 8628/2006).
Al di fuori di queste circostanze, non può argomentarsi che il pagamento delle morosità intimate dopo l'introduzione del contraddittorio possa costituire sanatoria, oltre che della morosità intimata, anche della vicenda giuridica relativa alla pretesa di inadempimento, operando in questo caso il principio generale previsto dal terzo comma dell'art. 1453 c.c., sulla cui base si esclude che il debitore possa adempiere la propria obbligazione successivamente all'introduzione della domanda di risoluzione contrattuale.
La purgazione della mora infatti, successiva alla domanda di risoluzione contenuta nell'intimazione di sfratto non è ostativa, ai sensi del citato articolo 1453 c.c., all'accertamento della gravità del pregresso inadempimento di parte intimata nell'ambito del giudizio ordinario che a tal fine prosegua dopo il pagamento dei canoni scaduti (Cass. 7/3/2001 n. 3341).
Il cd. termine di grazia
Unica deroga a tale principio è costituita dalla particolare disposizione dell'art. 55 della legge 392/78, l'invocazione del quale consente al conduttore di impedire unilateralmente ed a contraddittorio instaurato, la pronuncia di risoluzione a mezzo dell'ordinanza di convalida, mediante l'adempimento dell'obbligazione di pagamento del corrispettivo dovuto unitamente agli interessi ed alle spese, nella forma di pagamento banco judicis ovvero della richiesta e successiva osservanza del cosiddetto "termine di grazia".
Nel caso specifico, l'invocazione dell'art. 55 legge 392/78 non è avvenuta, ma al contrario parte intimata ha deciso di formalizzare l'opposizione e proseguire nel giudizio di merito. In ossequio alla interpretazione della giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, la scelta di una delle due soluzioni giuridiche esclude l'altra, perché "In tema di sfratto per morosità, sussiste incompatibilità logica tra opposizione alla convalida e richiesta di sanatoria ex art. 55 l. n. 392 del 1978 (cd. termine di grazia) che - a differenza della prima - presuppone appunto una non contestazione alla domanda del locatore, cui infatti il conduttore moroso ammesso al beneficio deve corrispondere non solo il capitale e gli interessi, ma anche l'importo delle spese processuali" (da ultimo Cass. Civ. 24.03.2006 n. 6636).
Occorre al riguardo osservarsi che l'inadempimento del conduttore configura senza dubbio una rilevante alterazione del sinallagma contrattuale, tale da determinare la risoluzione del contratto ex art. 1455 c.c., in conformità al consolidato orientamento secondo cui in tema di risoluzione per inadempimento, la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 c.c., della non scarsa importanza dell'inadempimento deve ritenersi implicita ove l'inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, quale, in materia di locazioni, quella del pagamento del canone (Cass. 1/10/2004 n. 19652). Questo pagamento è la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, questi non può astenersi dal pagamento del corrispettivo e neppure ritardarne la corresponsione e ciò perché la sospensione totale o parziale dell'adempimento di detta obbligazione, così come il ritardo dello stesso, legittima l'applicazione dell'art. 1460 c.c. solamente quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte che come noto, è dato dal pieno godimento del bene immobile oggetto del contratto di locazione.
Nel caso di specie non vi è contestazione in merito alla circostanza che la parte conduttrice abbia continuato a godere dell'immobile mantenendolo nella propria piena disponibilità, tanto da indurre parte attrice a chiedere il rilascio in corso di causa.