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Limiti alla legittimazione passiva dell'amministratore

L'accertamento giudiziale sulla natura esclusiva di un bene comune deve essere condotto nel contraddittorio di tutti i condomini.
Avv. Gianfranco Di Rago - Foro di Milano 

Nel caso in cui i condomini convenuti in giudizio per la restituzione di beni comuni illegittimamente occupati svolgano una domanda riconvenzionale per l'accertamento della natura esclusiva dei medesimi, l'amministratore non è legittimato a contraddire e occorre procedere all'integrazione ex art. 102 c.p.c. nei confronti di tutti i condòmini, pena l'invalidità della sentenza. 1.

Lo ha chiarito la seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 25497 dello scorso 21 settembre 2021.

Il caso concreto.

Nella specie gli attori - condominio, in persona del suo amministratore pro tempore e alcuni condomini - avevano domandato l'accertamento della natura di bene condominiale ex art. 1117 c.c. del sottotetto e l'inesistenza in tale bene di porzioni di proprietà esclusiva di altri condomini convenuti, proprietari di un appartamento sito all'ultimo piano dell'edificio, nonché la condanna degli stessi alla restituzione della porzione di sottotetto occupata e al pagamento di una parte dei frutti percepiti a titolo di locazione pattuita con un gestore telefonico per l'installazione di un'antenna radio.

I convenuti, nel costituirsi in giudizio, avevano quindi domandato in via riconvenzionale di accertare che la porzione di sottotetto sovrastante il loro appartamento fosse di proprietà esclusiva.

Il Tribunale, a conclusione del giudizio, aveva dichiarato l'intero sottotetto di proprietà comune, accogliendo le altre domande degli attori. La Corte d'Appello aveva a sua volta confermato la sentenza di primo grado, rilevando come il Tribunale avesse correttamente negato la proprietà esclusiva del sottotetto in capo agli appellanti, sia per mancanza di un titolo di acquisto idoneo, sia per l'assenza di collegamento dello stesso con la sottostante unità abitativa e per l'uso generalizzato del locale, circostanze provate per testi. Di qui il ricorso in Cassazione.

La legittimazione processuale passiva dell'amministratore condominiale.

L'amministratore può essere citato in giudizio per rispondere in nome e per conto del condominio nelle cause riguardanti le parti comuni dell'edificio.

La giurisprudenza ha per lungo tempo ritenuto che, rispetto alla rappresentanza processuale attiva, l'ambito di quella passiva fosse notevolmente più ampio, in quanto si sarebbe potuto prescindere dalle attribuzioni specifiche di cui all'art. 1130 c.c. e fare quindi riferimento a "qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio" (art. 1131, comma 2, c.c.).

Di conseguenza l'amministratore non avrebbe avuto bisogno di alcuna autorizzazione dell'assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie.

A questo indirizzo maggioritario se ne contrapponeva comunque un altro, che ridimensionava il significato generalmente attribuito al disposto di cui all'art. 1131 c.c., comma 2 - che consente di convenire in giudizio l'amministratore del condominio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio - nel senso che detta norma avrebbe avuto come unico scopo quello di favorire il soggetto terzo che avesse dovuto avviare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di poter notificare la citazione al solo amministratore, anziché a tutti i condomini.

Demolizione di un'opera abusiva e litisconsorzio necessario

A comporre tale contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte, con due sentenze del 2010, le quali hanno sostanzialmente parificato gli effetti della rappresentanza processuale passiva dell'amministratore a quella attiva, stabilendo quindi che anche nelle liti passive quest'ultimo può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza eventualmente sfavorevole, senza necessità di autorizzazione da parte dell'assemblea, soltanto se l'oggetto della controversia sia compreso nei limiti delle sue attribuzioni.

La legittimazione processuale dell'amministratore nelle cause relative alla natura esclusiva di beni comuni.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, ove un condomino, convenuto dall'amministratore con azione di rilascio di un bene asseritamente di proprietà comune, proponga una vera e propria domanda riconvenzionale (e non una mera eccezione) diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, viene meno la legittimazione passiva dell'amministratore rispetto a detta contro-domanda.

Quest'ultima, infatti, proprio perché incide sull'estensione del diritto dei singoli, deve svolgersi nei confronti di tutti i condomini, essendo dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile.

Nell'ipotesi in cui, come avvenuto nel caso di specie, una siffatta domanda riconvenzionale sia proposta e decisa nell'ambito di in giudizio avviato solo nei confronti dell'amministratore, o di alcuni dei condomini, il contraddittorio non può ritenersi validamente instaurato e tale invalidità può essere denunciata dalla controparte o essere rilevata d'ufficio, anche in sede di legittimità, ove la stessa emerga con evidenza dagli atti di causa (si vedano, da ultimo: Cass. civ., 21 febbraio 2020, n. 4697; Cass. civ., 16 ottobre 2019, n. 26208; Cass. civ., 17 aprile 2019, n. 10745).

Acquisto del diritto di proprietà su un bene comune: necessario il litisconsorzio tra tutti i condomini

In questo filone giurisprudenziale si inserisce la recente decisione della Cassazione. I giudici di legittimità hanno infatti rilevato come nella specie i condomini convenuti avessero avanzato in via riconvenzionale la pretesa di accertamento della proprietà esclusiva della porzione di sottotetto sovrastante il loro appartamento, con ciò dimostrando di ambire a dichiarare la titolarità esclusiva sul bene in contesa, e quindi a conseguire un titolo giudiziale opponibile a tutti i comproprietari, il che imponeva la partecipazione al giudizio degli altri condomini.

Per effetto di tale domanda riconvenzionale, veniva infatti messa in discussione la consistenza della comproprietà degli altri soggetti. Ciò imponeva la partecipazione al giudizio, in qualità di legittimati passivi, di tutti i condomini, in una situazione di c.d. litisconsorzio necessario.

I giudici del merito non avevano rilevato detta questione e ciò ha comportato la cassazione della sentenza impugnata. Infatti, come spiegato dalla Suprema Corte, la mancanza di integrità del contraddittorio in una causa inscindibile deve essere rilevata d'ufficio, trattandosi di questione sottratta alla disponibilità delle parti, sicché il Giudice è comunque tenuto ad accertare le condizioni che rendono necessario l'ordine di integrazione di cui all'art. 102 c.p.c., ricollegandosi altrimenti la nullità del processo a un suo difetto di attività.

Nella sentenza in questione la seconda sezione civile della Cassazione ha anche evidenziato che non induce a diverse conclusioni la considerazione secondo cui, a norma dell'art. 1131 c.c., l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio, in quanto, per consolidata interpretazione giurisprudenziale, il potere rappresentativo che spetta all'amministratore di condominio si riflette nella facoltà di agire e di resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni, rimanendone perciò escluse le azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni stessi, e, cioè, sul relativo diritto di comproprietà, che rientra nella disponibilità esclusiva dei condomini.

Sentenza
Scarica Cass. 21 settembre 2021 n. 25497
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