La Corte di Cassazione con l'interessante pronuncia nr. 4959 del 25 febbraio 2020 ha statuito che, l a domanda diretta alla rimozione delle opere abusive realizzate su parti comuni deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini trattandosi di "azioni reali" aventi ad oggetto diritti dei singoli condomini.
Difatti, l'azione diretta non al semplice accertamento dell'esistenza o inesistenza dell'altrui diritto ma al mutamento di uno stato di fatto mediante la demolizione di un'opera, dà luogo ad un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i proprietari dei beni interessati, la cui mancanza determina la nullità della sentenza.
Questo, in estrema sintesi, è il principio di diritto stabilito dai giudici della seconda sezione civile della Cassazione con la sentenza in oggetto.
Procediamo però con ordine.
Preliminarmente, al fine di una corretta analisi della pronuncia in esame, occorre soffermarsi sul concetto di litisconsorte necessario.
Che cosa è il litisconsorzio?
Il litisconsorzio è un istituto del diritto processuale italiano che ricorre allorquando in un processo civile vi sono più attori o più convenuti. Nello specifico, il litisconsorzio necessario è disciplinato dell'art.102 del codice di procedura civile, il quale prevede che:"se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito".
Parafrasando il dettato normativo, in pratica, il litisconsorzio necessario costituisce la partecipazione necessaria nel processo civile di una pluralità di soggetti.
Così inquadrata il caso in esame e fatte queste necessarie precisazioni analizziamo i fatti di causa.
Il caso di specie. Opere abusive in condominio.
Con atto di citazione innanzi al tribunale di Messina due condomini di un edificio convenivano il proprietario di una cantina posta al piano terra dello stabile condominiale, deducendo che:
- egli, unico proprietario all'epoca dell'edificio in Messina, aveva venduto, nel 1983, i tre appartamenti, due dei quali oltre la terrazza agli istanti, restando proprietario di un cantinato allora con accesso dalle botteghe al piano terra, senza che il medesimo cantinato avesse accesso dall'androne, il quale era esclusivamente al servizio degli appartamenti;
- egli, nel luglio 1994, aveva abusivamente realizzato un'apertura tra cantinato e androne, cui pretendeva di accedere.
Per tale motivo i ricorrenti chiedevano di dichiararsi l'assenza di diritti del convenuto sull'androne nonché la rimozione dell'opera realizzata.
La causa, dopo una prima sentenza di merito favorevole agli attori e quella di appello che li ha visti invece soccombenti, è giunta dinanzi al Supremo Collegio.
Reiterate dalle parti le motivazioni addotte nei vari gradi di giudizio, gli ermellini, dopo un breve excursus giuridico sulla corretta qualificazione giuridica della domanda originariamente proposta, hanno stabilito un importante principio di diritto.
La pronuncia della Cassazione. Chi deve partecipare al giudizio sulle opere abusive?
La suprema corte, a prescindere dalle doglianze mosse con i motivi di ricorso, ha statuito che "in virtù di un consolidato orientamento giurisprudenziale […] quando l'azione sia diretta non al semplice accertamento dell'inesistenza (o esistenza) dell'altrui diritto, ma al mutamento di uno stato di fatto mediante la demolizione di manufatti o costruzioni, ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i proprietari dei beni interessati; in tali ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado e anche in sede di legittimità, se sulla questione non sia si formato il giudicato e se il presupposto e gli elementi di fatto a fondamento dell'eccezione emergano con evidenza dagli atti senza necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività vietate nel giudizio di cassazione."
Ebbene, nel caso di specie, la Suprema Corte non ha quindi potuto fare altro se non rilevare d'ufficio che sono presenti altri comproprietari dell'androne dal quale si richiede la condanna al convenuto.
Difatti, se è pur vero che la tutela della cosa comune compete ad ogni comproprietario, il quale può agire in giudizio senza necessità di chiamare in causa tutti gli altri, è altrettanto vero che tale principio non può applicarsi quando la tutela implichi la demolizione della cosa comune.
Infatti, il litisconsorzio necessario si rende necessario qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso comportino la necessità del ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di un'opera di proprietà o nel possesso di più persone.
Pertanto, nel caso in cui la sentenza fosse resa solo nei confronti di alcuni comproprietari, questa sarebbe inutiliter data, poiché non può configurarsi una demolizione limitatamente alla quota indivisa del comproprietario o del compossessore convenuto in giudizio.
In altre parole una sentenza resa in assenza di un litisconsorte necessario comporta la sua inidoneità a produrre effetti nei confronti delle parti e dei terzi pretermessi vista l'inscindibilità del rapporto sostanziale e del relativo giudizio con la conseguenza che, trattandosi di una sentenza inesistente, a questi ultimi soggetti si riconosce la facoltà di dare avvio ad un autonomo giudizio di accertamento volto ad ottenere una dichiarazione giudiziaria di tale inesistenza.
Per tale motivo, i Giudici della seconda sezione civile della Suprema Corte, hanno cassato con rinvio la sentenza del giudizio di appello impugnata, previa dichiarazione di nullità degli atti dei giudizi di primo e secondo grado, nonché delle sentenze che li hanno definiti disponendo così il rinvio al tribunale di Messina in composizione monocratica, in persona di diverso magistrato.