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L'assemblea non può impedire che l'amministratore vada via

La delibera che respinga le dimissioni non ha valore vincolante e, come tale, non può essere impugnata.
Avv. Gianfranco Di Rago - Foro di Milano 

L'assemblea non può opporsi alla scelta dell'amministratore di lasciare il proprio incarico. Le dimissioni rappresentano un atto unilaterale, che produce effetto senza necessità di accettazione da parte del destinatario.

Di conseguenza l'eventuale deliberazione che non accolga la decisione comunicata dall'amministratore non ha alcun valore vincolante, ma serve tutto al più a manifestare l'auspicio che quest'ultimo rivaluti la propria posizione.

Una delibera siffatta non può quindi nemmeno essere impugnata, in quanto in un caso del genere viene a mancare un apprezzabile interesse giuridico a rimuovere un atto che, come detto, risulta del tutto improduttivo di effetti per i condomini e il condominio.

Queste le interessanti considerazioni contenute nella recente sentenza n. 5166 del 24 marzo 2021, con la quale il Tribunale di Roma ha risolto una questione per molti versi singolare.

Respingere le dimissioni dell'amministratore. Il caso concreto.

Nella specie alcuni condomini, esperita senza alcun esito positivo la preliminare procedura di mediazione, avevano citato in giudizio il condominio per sentire accertare e dichiarare la nullità o, in subordine, ottenere l'annullamento della deliberazione con la quale la compagine condominiale si era opposta alle dimissioni rassegnate dall'amministratore.

Con i vari motivi di impugnazione si sosteneva che l'assemblea era stata convocata da un soggetto non legittimato, ovvero dal presidente del consiglio di condominio, al di fuori dei casi contemplati dal regolamento, e che, in ogni caso, non era stato rispettato il termine di convocazione previsto ex lege e che non vi era corrispondenza tra la delibera adottata e il relativo punto indicato all'ordine del giorno. Il Condominio non si era costituito in giudizio.

Le dimissioni dell'amministratore condominiale.

Al pari dei condomini, che possono sciogliersi dal rapporto di mandato che li lega all'amministratore con una delibera assembleare adottata a maggioranza qualificata, anche quest'ultimo può dimettersi discrezionalmente dal proprio incarico.

Come chiarito dal Tribunale di Roma nella sentenza in questione, le dimissioni dell'amministratore costituiscono un atto unilaterale recettizio, che produce il proprio effetto una volta giunto a conoscenza del destinatario, senza necessità alcuna di accettazione da parte di quest'ultimo.

Nel momento in cui l'amministratore abbia comunicato ai condomini la propria decisione di recedere dal contratto di mandato, quest'ultimo deve intendersi sciolto con effetto immediato, con conseguente necessità di procedere alla nomina di un nuovo amministratore, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge.

I condomini possono sicuramente cercare di convincere l'amministratore a ritornare sui propri passi e, quindi, a revocare la propria scelta di dimettersi dall'incarico. Ma sicuramente non possono imporglielo.

Le deliberazioni assembleari prive di effetti.

Come pure evidenziato dal Tribunale di Roma, non tutte le deliberazioni assembleari hanno un'efficacia giuridica, ossia un valore vincolante per i condomini e l'amministratore.

La giurisprudenza, ad esempio, ha da tempo enucleato la categoria delle deliberazioni cosiddette programmatiche, con le quali l'assemblea si limita a delineare delle future attività, senza tuttavia adottare delle decisioni concrete e, come tali, vincolanti.

Esempio classico sono le deliberazioni con le quali l'assemblea disponga di approfondire gli aspetti connessi a futuri e ipotetici lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni o degli impianti condominiali. Rientra quindi in questa categoria anche la deliberazione che, come nel caso di specie, non autorizzi le dimissioni comunicate dall'amministratore condominiale.

Dimissioni amministratore in piccolo condominio

Proprio perché, come detto, si tratta di un atto unilaterale che non necessita di accettazione da parte del destinatario, una delibera siffatta non ha alcun valore giuridico, in quanto non può obbligare l'amministratore a ritornare sui propri passi.

Tutto al più, come efficacemente evidenziato dal giudice capitolino, "il rifiuto delle dimissioni espresso dall'assemblea altro non può essere qualificato se non in termini di esortazione all'amministratore a continuare nel suo incarico, e dunque a ritirare le dimissioni, e null'altro non potendo impedire all'amministratore di dimettersi".

L'inammissibilità dell'impugnazione della delibera per carenza di interesse.

Ulteriore conseguenza del carattere non vincolante di una deliberazione assembleare siffatta è quella della sua non impugnabilità.

Il condomino, invero, come accaduto nel caso in questione, può anche decidere di impugnare giudizialmente la delibera, ma detta impugnazione sarà inesorabilmente destinata a essere considerata inammissibile per carenza di interesse ad agire.

Se, infatti, un atto non produce alcun effetto giuridico e, quindi, non può intaccare in alcun modo la sfera patrimoniale degli eventuali controinteressati, è del tutto logico ritenere che non sia affatto il caso di impegnare inutilmente l'apparato statale preposto all'amministrazione della giustizia.

Ecco perché il Codice di procedura civile prevede, all'art. 100, che per proporre una domanda giudiziale, così come per resistervi, occorre avervi interesse.

Le dimissioni dell'amministratore non evitano la richiesta di risarcimento

Altrimenti, come è evidente, il tutto si risolve in una perdita di tempo per tutti i soggetti coinvolti. Come evidenziato dal Tribunale di Roma, "affinché vi sia l'interesse ad impugnare un atto, occorre che quest'ultimo abbia l'idoneità a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici."

Ed è proprio in base a tale principio che è stata esclusa dalla giurisprudenza l'impugnabilità delle delibere c.d. preparatorie, programmatiche o interlocutorie, alle quali si è in precedenza accennato.

Detto principio, come del pari osservato dal Giudice capitolino, vale anche nell'ipotesi in cui l'assemblea abbia deliberato sulle dimissioni comunicate dall'amministratore.

Anche ove detta delibera presenti dei vizi specifici - ad esempio, come contestato nella specie dai condomini impugnati, l'assemblea sia stata convocata da un soggetto non legittimato o non sia stato rispettato il termine di convocazione fissato dalla legge - non avrebbe senso procedere giudizialmente al loro accertamento, perché l'eventuale rimozione dell'atto invalido non sortirebbe alcun risultato positivo per il soggetto impugnante, visto che esso è già di per sé improduttivo di qualsivoglia effetto giuridico.

Come efficacemente chiosato dal Tribunale di Roma, in casi del genere può dunque ritenersi che l'assemblea, nella sostanza, si sia riunita, ma, in senso stretto e tecnico, nulla abbia deliberato.

Sentenza
Scarica Trib. Roma 24 marzo 2021 n. 5166
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