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La gestione del condominio è opaca: il rischio è una condanna per diffamazione

Le critiche all'operato dell'amministratore e alla gestione del denaro condominiale, se fatte pubblicamente, integrano la diffamazione.
Avv. Mariano Acquaviva - Foro di Salerno 

Basta davvero poco per incorrere nel reato di diffamazione, soprattutto se la diatriba nasce in condominio e i commenti irriguardosi sono espressi in assemblea, cioè davanti a tutti i proprietari.

Il rischio della diffamazione si intensifica nell'ipotesi in cui il bersaglio delle critiche poco lusinghiere sia l'amministratore.

Come vedremo, è sufficiente criticare la gestione opaca del condominio da parte dell'amministratore per incorrere in reato.

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 147/2021 - udienza del 12 novembre 2020), il condomino che accusa l'amministratore, esplicitamente o in maniera insinuante, di aver gestito le risorse condominiali nel proprio interesse o di non meglio precisati terzi, incorre nel reato di diffamazione, in quanto le accuse sono idonee a ledere la reputazione della vittima, soprattutto se pronunciate dinanzi all'assemblea riunita.

Addirittura c'è il rischio di incorrere nel più grave reato di calunnia, poiché le insinuazioni sulla mala gestio non sono altro che un'accusa velata di appropriazione indebita.

Diffamazione amministratore: il caso

Il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava un condomino che aveva inviato una lettera al presidente dell'assemblea con l'invito a darne lettura pubblicamente durante la riunione del consesso.

Nella missiva il condomino criticava aspramente l'operato dell'amministratore, ritenendolo incapace di espletare le proprie funzioni, giungendo perfino a insinuare che la gestione opaca del condominio nascondesse l'appropriazione dei fondi comuni.

Il condominio veniva condannato per diffamazione aggravata. Avverso la sentenza l'imputato proponeva ricorso per Cassazione asserendo che le parole utilizzate non potevano essere ritenute offensive della reputazione dell'amministratore.

Per la precisione, il ricorrente eccepiva la continenza delle espressioni utilizzate e la loro intrinseca inoffensività, avendo ad oggetto contestazioni tecniche all'operato dell'amministratore e risultando estranee a qualsiasi gratuita aggressione morale alla sua persona, giacché la finalità era quella di colpire la sfera della competenza dell'amministratore e non già quella di diffamarlo.

In tal senso dunque l'imputato si sarebbe limitato ad esercitare il proprio diritto di critica dell'operato della persona offesa e, nel divulgare agli altri condomini in sede assembleare i contenuti della missiva, anche quello di cronaca.

Diffamazione amministratore: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento (sentenza n. 147/2021), dichiara inammissibile il ricorso. Leggendo tra le righe della motivazione, si legge come gli ermellini abbiano comunque ritenuto corretto quanto statuito dal giudice di merito in ordine alla condanna per diffamazione.

Secondo la Suprema Corte, il problema non è tanto l'eventuale incontinenza (cioè, l'oltraggiosità) delle espressioni dispiegate dall'imputato nella missiva incriminata a far scattare la diffamazione, quanto il fatto che l'imputato ha accusato la persona offesa, esplicitamente o in maniera insinuante, di aver gestito le risorse condominiali nel proprio interesse o di terzi.

Accuse che sfiorano la calunniosità e che certamente risultano idonee a ledere la reputazione della vittima, soprattutto in quanto divulgate dinanzi all'assemblea riunita.

Erra dunque il ricorrente a ricondurre le proprie parole a un presunto diritto di critica, sia perché le accuse mosse non sono provate, sia perché la lettura pubblica delle stesse integra uno dei presupposti necessari per far integrare un'ipotesi di diffamazione aggravata.

Diffamazione: la reputazione dell'amministratore

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte è ritenuta legittima la condanna per diffamazione ai danni del condomino che fa leggere pubblicamente e allegare agli atti dell'assemblea uno scritto profondamente lesivo della reputazione dell'amministratore, accusato di gestire in maniera non consona i fondi condominiali, con insinuazione che gli stessi siano utilizzati per fini personali o di terzi.

Secondo l'imputato, la critica, per quanto aspra, non offende la sfera personale della vittima perché rivolte a contestare la sua professionalità, nella specifica veste di amministratore di condominio.

È appena il caso di ricordare che l'art. 595 c.p. punisce a titolo di diffamazione chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione.

Affinché si integri il suddetto delitto occorre dunque:

  • la comunicazione con più persone. L'atto diffamatorio deve essere comunicato, trasmesso oppure visto da almeno due persone, diffamatore e diffamato esclusi.

    Il requisito della comunicazione tra più persone si considera comunque integrato qualora questa avvenga in tempi diversi (si pensi al passaparola);

  • l'offesa alla reputazione.

    La condotta colpevole deve ledere la reputazione della vittima, per reputazione dovendosi intendere la considerazione che la persona offesa ha all'interno della società;

  • l'assenza della vittima.

    Il diffamato non deve essere presente al momento della diffamazione oppure, anche se fisicamente presente, non deve essere in grado di percepire immediatamente l'offesa (ad esempio perché lontano oppure perché non può udire).

La diffamazione può essere compiuta non solo verbalmente, con le parole (il classico commento ingiurioso, insomma) ma anche con i gesti, gli scritti, i disegni, le foto e, più in generale, con le immagini.

Nel caso di specie, il reato è integrato in quanto i commenti irriguardosi venivano comunicati a una pluralità di persone (l'assemblea) ed erano idonei a ledere la reputazione dell'amministratore, per tale dovendosi intendere la considerazione che si ha della vittima all'interno di un determinato contesto.

Accusare l'amministratore di condominio di aver redatto un consuntivo falso è diffamazione.

In pratica, si commette diffamazione anche se si critica l'operato professionale di una persona, senza necessariamente intaccare la sua sfera personale.

La reputazione può riguardare tanto la sfera professionale (si pensi alla considerazione che un avvocato ha nel proprio ambiente di lavoro oppure tra i clienti) quanto quella personale (la stima di una persona all'interno della società).

Ad esempio, commette diffamazione la persona che mette pubblicamente in discussione la preparazione del proprio avvocato perché non gli ha fatto vincere la causa. Le critiche, se capaci di ledere la reputazione del professionista, sono in grado di far scattare il reato di diffamazione anche se non hanno come bersaglio la sfera personale della vittima.

Calunnia ai danni dell'amministratore

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte si delineavano perfino profili di calunnia, in quanto l'amministratore non solo era criticato per le sue capacità ma veniva accusato (più o meno velatamente) di appropriarsi del denaro dei condòmini, e cioè del delitto di appropriazione indebita.

Accusare l'amministratore di condominio di aver redatto un consuntivo falso è diffamazione.

L'art. 368 c.p. punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque accusa di un reato una persona che sa, invece, essere innocente, ovvero simula a danno di questi tracce di un reato.

Affinché si integri la calunnia non è sufficiente l'accusa di aver commesso un reato, ma anche la piena consapevolezza che ciò non sia vero.

Di conseguenza, risponde di calunnia solamente colui che sa con certezza che la propria accusa rivolta ad altri sia del tutto infondata; se invece l'accusa è mossa sulla base di dubbi e congetture più o meno fondate, allora deve ritenersi non sussista il dolo necessario a integrare suddetto reato.

Sentenza
Scarica Cass. 12 novembre 2020 - 5 gennaio 2021 n. 147
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