Struttura del reato. Tra i reati cui può incorrere l'amministratore di condominio, e come soggetto attivo (cioè autore del reato) e come soggetto passivo (cioè vittima del reato) vi sono anche i c.d. reati contro la persona, e tale è il reato di diffamazione ex art. 595 c.p.
Detto reato si differenzia sia da quello d'ingiuria (art. 594 c.p.), depenalizzato dal d.lgs. n. 7/2016 che lo ha trasformato in mero illecito civile, che puniva chi offendeva l'onore o il decoro di una persona presente, sia da quello di calunnia (art. 368 cp.p.) che punisce chi, con denuncia o querela, incolpa di un reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato.
A differenza di detti reati, infatti, il delitto di diffamazione punisce con la pena della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1.032,00 chi, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione.
La pena aumenta se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato oppure se l'offesa è recata con il mezzo della stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità.
Dunque, come è agevole comprendere, la differenza tra ingiuria e diffamazione sta nella presenza (o meno) della persona offesa al momento dell'affermazione delle frasi (ingiuriose o diffamatorie) pronunciate dall'autore del reato.
Detto reato, al perì di quello depenalizzato di ingiuria, non è punibile nel caso in cui la condotta sia il frutto di una provocazione, sancendo l'art. 599 c.p. che "non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti previsti dagli artt. 594 e 595 c.p. nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso".
Reato commesso a danno dell'amministratore: giurisprudenza rilevante. In tale pronunzia il Supremo Collegio sancisce il principio secondo cui "affermare in uno scritto sottoposto all'assemblea e riferire negli incontri con altri condòmini che il bilancio condominiale sia stato falsato dall'amministratore, rappresenta una vera e propria aggressione personale nei confronti dello stesso, anche qualora l'amministratore non venga esplicitamente menzionato, in quanto appare evidente che è costui il delegato alla predisposizione del bilancio trattandosi, comunque, di soggetto agevolmente individuabile".
Il caso è quello di un condomino che avrebbe diffuso uno scritto "poco elegante" nei confronti dell'amministratore del condominio, accusandolo di aver falsificato il bilancio consuntivo.
Accusa questa confermata anche una volta chiusa l'assemblea ai restanti condomini ivi rimasti.
Entrambi i Giudici di merito investiti, ritenevano pienamente integrato nelle condotte descritte il delitto di diffamazione, così da spingere l'imputato (il condomino) a proporre ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata vista l'assenza dell'amministratore durante l'assemblea condominiale, e vista la mancata indicazione del nome della persona (l'amministratore, appunto) cui lo scritto si sarebbe potuto riferire.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso stabilendo come alcun dubbio possa ingenerarsi in relazione alla portata diffamatoria dello scritto e delle successive esternazioni effettuate alla presenza degli altri condòmini.
Ciò perché "affermare che il bilancio consuntivo condominiale sia falso costituisce un evidente attacco ad personam nei riguardi del soggetto incaricato della redazione del suddetto strumento contabile e cioè l'amministratore condominiale".
A nulla, prosegue la Suprema Corte, rileva la mancata indicazione del nome della persona offesa, in quanto il bilancio condominiale è predisposto dall'amministratore del condominio ed è dunque evidente come l'unico soggetto in grado di porre in essere una sua falsificazione possa essere solo l'amministratore, non avendo tale illecito potere alcun altro soggetto.
Sul punto la Corte di legittimità richiama l'ormai consolidato principio giurisprudenziale secondo cui "in tema di diffamazione a mezzo stampa, ma il principio è valido in qualsiasi modo si sviluppi l'azione diffamatoria, qualora l'espressione lesiva dell'altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all'articolo 595 cod. pen." (cfr. Cass. Sez. V 21 ottobre 2014 n. 2784).
Reato commesso dall'amministratore. Il caso analizzato dalla Suprema Corte è quello di un amministratore di condominio che ha afflitto un avviso di imminente distacco della fornitura idrica ad opera dell'AMAM, a seguito della presunta "persistenza del debito" di alcuni condomini espressamente indicati.
Sono due le questioni affrontate dai Giudici di legittimità nel caso in esame:
- l'applicabilità della causa di giustificazione citata al caso di specie (il c.d. esercizio di un diritto ex art. 51 c.p.);
- l'elemento psicologico del delitto di diffamazione.
In merito alla prima questione, la Corte chiarisce che non può ritenersi applicabile al caso considerato la scriminante dell'esercizio di un diritto di critica, in quanto non vi sarebbe stata alcuna necessità di "scongiurare un evento altrimenti non evitabile" con le modalità adottate dall'amministratore, poiché "se davvero la prospettiva dell'amministratore fosse stata quella dell'informazione celere rispetto all'imminente interruzione del servizio, attraverso modalità comunicative potenzialmente percepibili da terzi estranei al condominio, egli avrebbe dovuto calibrare il contenuto dell'informazione a tale esigenza, evitando di menzionare anche l'identità dei condomini morosi".
Nel caso di specie, l'amministratore ha fatto menzione dei nominativi di tutti i condomini interessati dall'avviso in esame, ponendo così in essere una condotta chiaramente diffamatoria ed andando oltre quelli che sono i limiti prospettati dall'art. 51 c.p.
Per quanto riguarda, invece, la seconda questione, la Suprema Corte ha stabilito che "in tema di delitti contro l'onore, non è richiesta la presenza di un animus iniurandi vel diffamandi, ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente".
In tal modo la Corte di Cassazione afferma dunque che è sufficiente la c.d. "accettazione del rischio" propria del dolo eventuale (o indiretto), secondo cui se anche l'imputato non vuole direttamente l'evento ma accetta semplicemente che lo stesso si possa verificare, risponde del reato in esame.