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Per dire che l'amministratore usa per sé i soldi del condominio ci vogliono le prove

Non è consentito accusare indebitamente l'amministratore di aver distratto del denaro condominiale: si rischia la diffamazione.
Avv. Marco Borriello - Foro di Nola 

In tutti i condomini l'amministratore è oggetto di giudizio. Ciò avviene indipendentemente dalla competenza, dall'impegno e dalla trasparenza dell'azione e della gestione compiuta dal professionista di turno. A tal proposito, dobbiamo dire che il diritto di critica è legittimo oltreché utile per stimolare il dibattito nel condominio e un'amministrazione ottimale per il medesimo.

Tuttavia, resta inteso che tale diritto non può trasformarsi in un'indebita diffamazione dell'amministratore. Siamo, infatti, coscienti che, spesso, i rapporti con il condominio o una parte dei proprietari non sono ottimali e che, questo tipo di circostanza, può anche dipendere da una gestione della cosa comune non propriamente impeccabile.

Nonostante ciò, bisogna stare attenti a ciò che si dice e soprattutto ad eventuali affermazioni infamanti quanto prive di sostegno probatorio.

In questo caso, infatti, gli autori delle dichiarazioni, decisamente imprudenti, sarebbero passibili di querela e della successiva responsabilità penale.

È quanto è accaduto nel caso giudiziario esaminato nella presente pubblicazione, la cui valutazione può tornare molto utile al lettore per non incorrere in alcuna responsabilità nell'esprimere dissenso verso l'operato del proprio amministratore condominiale. Vediamo insieme, pertanto, cosa è successo.

Si può accusare l'amministratore senza prove? Il caso

Con la sentenza n. 11913/2020, la Suprema Corte di Cassazione, a seguito dell'udienza del 16.10.2019, ha esaminato il caso di due proprietari che avevano esplicitamente accusato i rappresentanti della società che amministrava il loro fabbricato.

Essi, secondo i condomini, gestivano <<male i soldi del condominio, distraendoli per viaggi all'estero e non pagavano le fatture>>.

Si trattava, pertanto, di un'accusa molto precisa, evidentemente, in grado di ledere l'onore delle persone coinvolte, per la quale i due imputati erano stati condannati sia in primo grado, dinanzi al Giudice di pace, sia in secondo grado dal Tribunale adito per l'appello.

In sostanza, i due imputati erano stati dichiarati responsabili del reato di diffamazione previsto dall'art. 595 c.p. e perciò condannati a pagare una multa di € 500,00 oltre al risarcimento dei danni provocati alle persone offese, da liquidarsi in separata sede civile.

Avverso questa decisione, i condomini proponevano ricorso in Cassazione, motivandolo, innanzitutto in base a presunti difetti di motivazione contenuti nelle sentenze impugnate e sulla presunta tardività della querela presentata ad impulso del procedimento penale.

Non contenti di tale strategia difensiva, essi ritenevano, altresì, fondamentale rilevare che non poteva esserci alcuna responsabilità penale a loro carico, poiché era stato, semplicemente, esercitato un loro diritto.

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In sostanza, i ricorrenti affermavano che il loro comportamento non era perseguibile, poiché espresso nel legittimo esercizio del diritto di critica. Infatti, rientrava nel pieno ambito di tale facoltà l'aver contestato la mala gestio nell'operato dell'amministrazione condominiale.

Una tesi, quindi, che se fosse stata accolta, avrebbe completamente scriminato la condotta dei due imputati e che, secondo questi, non era stata adeguatamente considerata nei giudizi precedenti.

Diffamazione e diritto di critica

Il reato di diffamazione è contemplato dall'art. 595 c.p. secondo il quale primo comma «Chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro».

Si tratta di una condotta che, sostanzialmente, punisce colui che, comunicando con almeno due persone, con delle affermazioni infamanti, offende la reputazione di qualcuno, in assenza di quest'ultimo.

Ebbene, la presenza dei descritti elementi del reato non genera alcuna responsabilità allorquando sia esercitato un diritto nell'esprimere le dichiarazioni in contestazione. Si tratta di una conclusione che si ricava dall'art. 51 c.p., per il quale l'esercizio di un diritto esclude ogni punibilità anche se, astrattamente, il fatto commesso è considerato reato; un argomentazione che ha trovato nella giurisprudenza della Cassazione, i presupposti per poterla invocare.

In particolare, a proposito del diritto di critica, è stato precisato che «l'accertamento della scriminante in questione richiede, linea generale, la verifica sussistenza dei tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: la verità, l'interesse alla notizia e la continenza (ex multis Sez. 5, n. 45014 del 19/10/2012)».

Fatta questa dovuta premessa, ritornando al caso in esame, non resta che accertare cosa ha detto a riguardo la Cassazione. Ebbene, esaminando la sentenza, gli Ermellini hanno, chiaramente, escluso che le affermazioni espresse dai due imputati potessero essere non punibili: dobbiamo soltanto capire il perché.

Accusare l'amministratore senza prove è diffamazione?

La Cassazione, con la sentenza citata, ha dato risposta affermativa alla domanda appena posta. In particolare, è stato precisato che la condotta dei due imputati era stata, evidentemente, diffamante, visto che le affermazioni erano state idonee a pregiudicare la reputazione dei destinatari oltreché espresse in presenza di, almeno, altre due persone.

La Corte ha, inoltre, negato che al caso specifico potesse applicarsi la scriminante prevista dall'art. 51 c.p., poiché difettava la verità delle accuse mosse contro i rappresentanti della società che amministrava il condominio e cioè l'autenticità del fatto storico ad essi imputato. Mancava del tutto, quindi, il primo requisito essenziale per giustificare le dichiarazioni espresse.

Insomma, come ulteriormente precisato dagli Ermellini, era escluso che fosse stato legittimamente esercitato il diritto di critica: non può essere tale, infatti, affermare, senza avere alcuna prova, che l'amministratore avrebbe «distratto illecitamente il denaro condominiale per far fronte a propri debiti od impiegandolo in spese personali».

In conclusione, quindi, la Cassazione, respingendo, altresì, presunti difetti di motivazione delle sentenze precedenti e il fatto che la querela fosse stata tardiva, ha, sostanzialmente, confermato la punibilità della condotta diffamante dei due imputati e ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato.

Pertanto, se sei un condomino, pur essendo tuo diritto controllare l'operato dell'amministratore, eventualmente, contestandone la gestione, ricordati di astenerti da giudizi potenzialmente diffamanti, soprattutto se non corroborati dalle prove concrete dei fatti addebitati. In caso contrario, saresti esposto alla querela dell'amministratore ed al conseguente procedimento penale.

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