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Lecito insultare l'amministratore se le offese sono una legittima reazione alle sue provocazioni

Quando è lecito insultare l'amministratore.
Avv. Alessandro Gallucci 

Il titolo dell'articolo non è fuorviante come si potrebbe credere, essendoci abituati a titoli sensazionali non corrispondenti al contenuto del "pezzo".

Eppure la notizia, che si basa una sentenza, va presa con le pinze.

Per quale motivo?

Perché, sebbene la pronuncia si fondi su ben precise norme di legge (vale a dire l'esimente della provocazione ai sensi dell'art. 599 c.p.), la Cassazione non è nuova a repentini cambi di opinione e soprattutto perché è stata la Cassazione dopo una condanna del Giudice di Pace a mandare assolto il condomino adirato.

Insomma se proprio l'insulto vi scappa perché provocati, potete ricordarvi di questo articolo ma se, invece, siete più riflessivi vi conviene mantenere comunque il vostro aplomb; un insulto in meno può voler dire un risparmio di qualche migliaio di euro (i processi penali costano!).

Fatta questa doverosa premessa entriamo nel merito.

Una condomina insulta l'amministratrice dicendogliene, via lettera recapitata per conoscenza anche ai suoi vicini, "di cotte e di crude".

Risultato: querela e condanna a trecento euro di multa per ingiuria (la lettera indirizzata all'amministratrice) e per diffamazione (quella per conoscenza a tutti i condomini, ai sensi degli artt. 594 e 595 c.p.

Da qui il ricorso per Cassazione: accolto.

Motivo: la condomina era stata provocata e secondo gli ermellini "la causa di non punibilità della provocazione, prevista nei delitti contro l'onore, dovuta allo stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui, è ravvisabile ogniqualvolta il soggetto attivo ponga in essere la condotta astrattamente offensiva mosso da uno stato d'animo direttamente riconducibile al fatto altrui che, sebbene non illecito o illegittimo, si delinei quale atteggiamento contrario al vivere civile ovvero lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 23.9.2008, n. 39411, P.; Cass., sez. V, 16.12.2011, n. 9907, C.C.; Cass., sez. V, 11.3.2009, n. 21455, C., rv. 243506)".

Ma come, ci si potrebbe domandare, uno scrive una lettera e gli si riconosce lo stato d'ira e la scusante della provocazione? Com'è possibile se non ha scritto subito dopo gli insulti? La rabbia, come si suol dire non si "sbollisce"? No!

Il perché nelle parole degli Supremi Giudici "non è necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento In cui sia ricevuta l'offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d'ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove li ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l'offesa, come, ad esempio, nel caso di Ingiuria realizzata a mezzo di una missiva, spedita giorni dopo la commissione del presunto fatto Ingiusto (cfr. Cass., sez. fer., 31.7.2007, n. 32323, M.G.).

Nella fattispecie in esame appare evidente che lo stato d'ira ha accompagnato stabilmente la (…), sostenendone l'azione sino al momento in cui essa si è concretizzata nella stesura e nell'invio della missiva contenente l'espressione offensiva innanzi menzionata, per cui, anche sotto questo ulteriore profilo, va riconosciuta l'operatività della causa dì non punibilità di cui all'art. 599, co. 2, c.p.
." (Cass. 20 marzo 2013 n. 8336)

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