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Che cosa si deve fare per cambiare destinazione d'uso alla casa del portiere?

Il mutamento di destinazione d'uso di un bene comune è soggetto ad una particolare disciplina prevista dall'art. 1117-ter del codice civile. In che modo deve essere convocata l'assemblea e quali i quorum deliberativi? Ce lo dice la norma citata.
Avv. Alessandro Gallucci 

Esiste un'unità immobiliare di proprietà di tutti i condomini che risulta accatastata come alloggio del portiere. L'assemblea condominiale decide di sopprimere il servizio di portierato (è utile ricordare che rispetto alle maggioranze necessarie per la soppressione del servizio indicato la legge non dice nulla di specifico e vista l'incertezza in merito sarebbe utile che s'intervenisse in merito) e quindi quell'unità immobiliare così destinata non può essere utilizzata altrimenti.

A questo e simili casi si applica l'art. 1117-ter c.c. che si occupa per l'appunto del procedimento di deliberazione del mutamento di destinazione d'uso.

S'immagini, e l'esempio rappresenta il caso più ricorrente, che l'assemblea voglia destinare l'unità immobiliare una volta abitata dal portiere a civile abitazione per poi locarla o venderla. In che modo sarà possibile fare ciò?

Quando si può cambiare destinazione d'uso di una parte comune ai sensi dell'art. 1117-ter c.c.?

Innanzitutto vediamo la finalità del mutamento di destinazione, ossia la soddisfazione di "esigenze di interesse condominiale". Tra queste rientra certamente un maggiore rendimento di beni e cose che, diversamente, sarebbero solamente un peso per la collettività.

In tal caso l'assemblea può delibare "con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio".

Insomma ci vogliono almeno 800 millesimi e se, per esempio, i condomini sono 20 almeno 16 condomini favorevoli.

Per arrivare a quella decisione è necessario che l'amministratore, a pena di nullità della delibera (si badi solo in questo caso si parla di nullità), segua una ben precisa procedura.

In primis le modalità d'informazione. Si legge al secondo comma dell'articolo in esame che la convocazione dell'assemblea deve essere affissa nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati (es. vicino alle cassette postali o sulla bacheca condominiale, se si esistente) per un periodo di tempo non inferiore a trenta giorni consecutivi (festivi o feriali è indifferente).

Inoltre, prosegue la norma, la spedizione dell'avviso deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici. Esso, chiude il secondo comma, deve pervenire (ossia il condomino deve averne conoscenza) almeno venti giorni prima della data di convocazione.

Per conoscenza s'intende conoscenza in senso legale, vale a dire è sufficiente che l'avviso di giacenza della raccomanda pervenga al condomino nei termini sopra indicati (art. 1335 c.c.).

L'avviso di convocazione dev'essere ben circostanziato. Ai sensi del terzo comma dell'art. 1117-ter c.c., infatti, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso. Se non lo fa, la deliberazione successiva, anche se presa con i quorum sopraindicati è da ritenersi nulla.

Cambio di destinazione d'uso delle parti comuni: alcune semplici indicazioni

Convocazione errata, delibera nulla, conseguenze e rimedi

Si badi: il vizio dal quale sarebbe afflitta la delibera adottata senza rispettare queste prescrizioni è la nullità. Una delibera nulla è impugnabile in qualunque momento, cioè anche anni dopo (l'azione di nullità è imprescrittibile), salvo gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.

Questo è quanto stabilito dell'art. 1421 c.c. dettato in materia di contratto, ma ritenuto pacificamente applicabile anche alla materia della impugnazione delle delibere condominiali.

Insomma un errore nella procedura di convocazione rischia di mettere a rischio, anche anni dopo, quella deliberazione. Proprio per tale ragione è consigliabile, ove ci si avveda della causa d'invalidità, provvedere a non deliberare, convocando una nuova assemblea.

Lo stesso dicasi per la ipotesi di deliberazione: successivamente ad essa è bene che l'amministratore, avvedutosi della causa di nullità, riconvochi l'assemblea per procedere alla regolare deliberazione del mutamento della destinazione d'uso della parte comune.

Ricordiamo che trattandosi d'ipotesi di nullità, non si tratta di una sostituzione di delibera, ma di adozione di delibera ex novo. Ciò che è nullo, infatti, non è sostituibile, essendo giuridicamente inesistente.

Per limitare la destinazione d'uso dell'immobile basta il richiamo al regolamento condominiale nel rogito.

Verbalizzazione, divieti di modificazione della destinazione d'uso e ripartizione spese

Questo per ciò che riguarda la convocazione. Lo stesso articolo che stiamo esaminando, poi, ci dice qualcosa anche in merito alla certificazione nel verbale del compimento dei medesimi. Il segretario redigente, infatti, su input del presidente deve inserire nel verbale la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di cui abbiamo parlato.

In ogni caso, così si conclude l'art. 1117-ter, c.c. "sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico".

Si tratta di una norma generica, come quella presente nell'art. 1120 c.c. che disciplina le innovazioni, che in contesti litigiosi, proprio per la sua genericità, può spianare la strada al contenzioso.

Ciò, naturalmente, sempre nel rispetto delle disposizioni edilizio-urbanistiche. Insomma una volta deliberato il cambio di destinazione d'uso l'amministratore dovrà fare tutto ciò che è necessario per renderlo effettivo e lecito (es. Scia o permesso di costruire, ecc.).

I costi per la modificazione della destinazione d'uso delle cose comuni, tanto che si tratti di costi per le opere materiali, quanto di spese per l'aggiornamento della posizione amministrativa della parte comune oggetto di mutamento, vanno ripartiti tra tutti i condòmini secondo i millesimi di proprietà, salvo diversa convenzione.

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