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Il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato: non è possibile se il distaccato non installa un impianto autonomo

Solo con una perizia tecnica si può accertare se sussistano i presupposti per esercitare un diritto ora sancito per legge.
Avv. Adriana Nicoletti 

La prolifica giurisprudenza in tema di distacco del singolo dall'impianto centralizzato di riscaldamento si è arricchita di una nuova decisione. Infatti, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26185 depositata in data 8 settembre 2023, non si è discostata dal precedente orientamento secondo il quale il distacco è legittimo se conforme alla sussistenza di due presupposti fondamentali: evitare squilibri di funzionamento del servizio comune e garantire che non vi sia un accrescimento di spesa per gli altri condomini rimasti collegati alla centrale termica.

La decisione, attinente ad una fattispecie verificatasi nel vigore della normativa del 2012, si pone in linea con le pronunce che avevano preceduto l'entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di condominio e che hanno sostanzialmente costituito l'input per il legislatore per codificare e regolamentare una situazione che aveva trovato una soluzione di carattere giurisprudenziale.

Il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato: non è possibile se il distaccato non installa un impianto autonomo. Fatto e decisione

Un condomino impugnava dinanzi al Tribunale, territorialmente competente, una delibera assembleare nella parte in cui si era visto addebitare le spese di consumo relative al riscaldamento centralizzato, malgrado lo stesso, in forza del diritto di cui all'art. 1118 c.c., si fosse distaccato dal relativo impianto.

L'attore, quindi, chiedeva che venisse accertata sia la legittimità della sua separazione, sia che da tale scelta non si erano verificati né squilibri del funzionamento della centrale termica, né aggravi di spesa per gli altri condomini. Pertanto, le sole spese dovute da parte attrice erano quelle relative alla parte strutturale. Il condominio contestava e si opponeva.

La domanda veniva rigettata in primo grado sulla base delle conclusioni della CTU la quale aveva accertato, da un lato, la sussistenza dell'aggravio di spesa dei consumi per gli altri condomini e, dall'altro, che il condomino non si era dotato di impianto autonomo, così godendo del calore prodotto dai radiatori degli altri appartamenti. Nessuna prova, peraltro, era emersa in ordine ad un'asserita autorizzazione dell'assemblea.

Dichiarato inammissibile l'appello promosso dal soccombente, questi ricorreva in Cassazione avverso la sentenza di primo grado. Nel merito, e per quanto di specifico interesse, il ricorrente prospettava la violazione o la falsa applicazione dell'art. 1118 c.c. là dove il Tribunale aveva fondato la propria decisione su di una consulenza tecnica ritenuta incongrua e contraria alla normativa in materia di miglioramento del risparmio energetico (D.lgs. n. 102/2014) ed al provvedimento in tema di ripartizione delle spese di riscaldamento (UNI 10200).

La Corte ha dichiarato lo specifico motivo inammissibile sulla base di alcune considerazioni e rilievi che hanno confermato un orientamento giurisprudenziale oramai più che consolidato. È stato, infatti, ribadito che "il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall'uso dell'impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, opera sempre che l'interessato provi che dal distacco deriverà una effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà un pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto centrale stesso".

In poche parole, dall'azione introdotta dal condomino non doveva derivare né l'aggravio di spesa, né lo squilibrio termico con la conseguenza che l'onere di provare la sussistenza di detti presupposti doveva ricadere sul condomino che si voglia distaccare dall'impianto comune.

Riscaldamento condominiale, distacco, problemi e spese.

La Corte suprema, pertanto, ha ritenuto che la decisione di prime cure, la cui contestazione rappresentava una critica ad un motivo di merito, non solo fosse indenne da vizi, ma anche fosse non sindacabile in sede di legittimità in quanto sorretta da argomentazioni logiche ed adeguate.

Considerazioni conclusive

Anche se l'ultima decisione della Corte di Cassazione, oggetto della presente nota, si presenta sulla scia di una giurisprudenza più che consolidata e che avevamo incontrato ancora prima della nuova formulazione dell'art. 1118 c.c., introdotta con la legge n. 220/2012, è sempre buona cosa ricordare che i presupposti per il distacco dal riscaldamento centralizzato sono rigidi e non derogabili.

Appare interessante mettere in evidenza due ulteriori aspetti della sentenza che qui ci occupa.

In primis il fatto che i giudici di legittimità hanno posto l'accento non solo sulla necessità che la rinuncia all'impianto di riscaldamento richiede la sussistenza dei due presupposti più volte richiamati e che si sostanziano in un non facere da parte del distaccante accompagnato da un facere: ovvero assicurare che l'intervento porti ad una proporzionale riduzione delle spese. Il tutto con un ampliamento del quadro normativo predisposto dal legislatore con l'art. 1118 c.c.

In secondo luogo, la Corte ha collegato il distacco de quo all'installazione di un impianto termico autonomo richiamando, a tale fine, il disposto del D.P.R. n. 412/1993, secondo il quale il condomino può installare un impianto termico autonomo che produca un risparmio energetico.

La Corte ha, poi, posto in evidenza un ulteriore circostanza che è stata più volte, nel corso degli anni oggetto di attenta valutazione da parte dei giudicanti: ovvero che il condomino per quanto distaccato dall'impianto centralizzato gode, comunque, di un vantaggio da quest'ultimo le cui tubazioni verticali, passando nel/i muri dell'appartamento apportano sempre una certa, anche se minima, quantità di calore in favore dell'appartamento che ha abdicato al servizio comune.

Da ultimo, quanto all'onere della prova posto a carico del distaccante, il fatto stesso che l'art. 1118 c.c. abbia posto nei suoi confronti limiti così specifici rende evidente che il condomino interessato dovrà - anche se la legge non prevede un obbligo in tal senso - sottoporre all'attenzione dell'assemblea una propria consulenza tecnica per dimostrare la piena legittimità del proprio intervento.

Nulla toglie, chiaramente, che il condominio possa, a sua volta, contrapporre una propria perizia che potrebbe confermare oppure disattendere l'esito della prima.

Nell'ipotesi di una controversia giudiziaria tra le parti occorre sempre attivare, in via preventiva, il procedimento di mediazione obbligatoria previsto dall'art. 71 quater, disp. att. c.c. (come di recente novellato dalla c.d. "legge Cartabia", che ha autorizzato l'amministratore ad avviare la procedura conciliativa in via autonoma, ovvero senza autorizzazione dell'assemblea).

Un procedimento che interessa qualsivoglia controversia di carattere condominiale, senza distinzione tra liti che rientrano nelle attribuzioni dell'amministratore e liti che esulano da tale ambito, mentre è pacifico che tale equiparazione non sposta i termini della questione con riferimento alla legittimazione processuale dell'amministratore come definita dal combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c.

Sentenza
Scarica Cass. 8 settembre 2023 n. 26185
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