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Distacco dal riscaldamento e ripartizione delle spese

Diritto al distacco e consumi involontari: il condomino che ha un impianto autonomo di riscaldamento deve pagare l'impianto centralizzato?
Avv. Mariano Acquaviva - Foro di Salerno 

Il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato è una delle tematiche di cui con maggiore frequenza devono occuparsi i tribunali italiani. Nonostante nel codice civile esista una norma (l'art. 1118) che espressamente contempla questa ipotesi, nella realtà condominiale vengono a crearsi situazioni che non sono sempre di facile risoluzione.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 11897 del 4 settembre 2020, è tornata sull'annosa questione del distacco dal riscaldamento e conseguente ripartizione delle spese. Per la precisione, la sentenza del giudice capitolino ha specificato la portata del quarto comma dell'art. 1118 cod. civ., secondo cui il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.

Come vedremo meglio nel prosieguo, secondo la pronuncia in commento, pur sussistendo un vero e proprio "diritto al distacco" da parte del singolo condomino, tale facoltà non può eliminare del tutto gli obblighi a cui può essere tenuto lo stesso ne riguardi di tutti gli altri.

Il distacco, infatti, non fa perdere la comproprietà dell'impianto centralizzato, con conseguente obbligo di pagare le spese relative al medesimo.

La sentenza de qua ha inoltre analizzato la differenza tra consumo volontario (non più addebitabile al condomino che abbia esercitato il diritto al distacco dall'impianto centralizzato) e consumo involontario (ancora addebitabile, nella misura in cui vedremo), nonché l'importanza della legge inderogabile sul risparmio energetico e sulla contabilizzazione del calore.

Riscaldamento, consumi involontari e spese, il caso sottoposto al Giudice di Roma

Alcuni condòmini impugnavano le delibere con cui l'assemblea addebitava loro i costi relativi all'impianto di distribuzione centralizzato dell'acqua calda, nonostante da tempo gli attori avessero provveduto al distacco.

Per la precisione, le spese di gestione e manutenzione ordinaria, pur non essendo attribuite in percentuale, venivano spalmate in bilancio sotto molteplici voci (costi relativi al consumo dell'acqua, al salgemma, all'energia elettrica e al terzo responsabile, ecc.), e ciò in contrasto sia con le disposizioni del regolamento contrattuale (secondo cui le spese per la gestione e manutenzione ordinaria del predetto impianto dovevano essere ripartite in base ai consumi registrati singolarmente ), sia con quelle codicistiche (art. 1118 c.c.).

In pratica, parte attrice lamentava l'illegittimo addebito delle spese indicate in bilancio relative alla gestione e manutenzione ordinaria per il servizio comune dell'acqua calda, a suo dire non dovute in quanto già da tempo distaccatasi dall'impianto, e ciò in quanto il criterio adottato dal condominio contrastava con le disposizioni del regolamento contrattuale e con il disposto dell'art. 1118 c.c.

Il condominio si costituiva contestando innanzitutto la legittimità del distacco operato dagli attori e, in secondo luogo, invocando l'applicazione della normativa UNI 10200 del 2013, la quale prevede che in caso di distacco dall'impianto centralizzato va addebitata al condomino distaccatosi una quota di spesa per il consumo involontario.

Secondo il condominio convenuto, in virtù di quanto dispone l'art. 1118 c.c., il distacco dall'impianto centralizzato operato dagli attori aveva comportato un aggravio di spese per i condomini.

In sostanza, la ripartizione delle spese di gestione del servizio di erogazione dell'acqua calda anche a carico degli attori sarebbe stata legittima e sarebbe derivata dalla necessità di ripartire equamente, anche sulla base del c.d. consumo involontario, quelle spese che altrimenti andrebbero a cadere sui restanti condomini.

La decisione del Tribunale di Roma: il diritto al distacco

Il Tribunale di Roma, con la sentenza in commento, dopo aver attentamente analizzato il problema del distacco dall'impianto centralizzato e la ripartizione delle spese alla luce del regolamento, della normativa codicistica e di quella speciale, accoglie la domanda attorea e annulla le delibere impugnate.

Secondo i giudici, poiché il servizio centralizzato per l'erogazione dell'acqua calda è del tutto assimilabile a quello del riscaldamento condominiale, trova applicazione anche nel caso di specie l'art. 1118 cod. civ., a tenore del quale «il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.

In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma».

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Secondo il Tribunale capitolino, la norma conferirebbe ai condòmini un vero e proprio diritto al distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento; tale diritto è però subordinato alla verifica preventiva che dallo stesso non derivi un malfunzionamento dell'impianto ovvero un aggravio di spesa per gli altri partecipanti al condominio.

Resta impregiudicato l'onere di pagare le spese di manutenzione straordinaria e quelle necessarie alla conservazione: il distacco, infatti, non fa perdere la comproprietà dell'impianto centralizzato.

Neppure la manifestazione della volontà esplicita di rinunziare all'impianto ed alla possibilità di un futuro riallaccio potrebbe consentire al condomino di spogliarsi dei suoi diritti di comproprietà sull'impianto stesso e di sottrarsi alle obbligazioni propter rem che ne conseguono: ai sensi dell'art. 1118 co. 2° c.c., infatti, il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni.

La decisione del Tribunale di Roma: consumi involontari e spese

Secondo il Tribunale di Roma, è pacifico che il distacco, anche laddove ritenuto legittimo, non esoneri da una quota delle spese di consumo del carburante a titolo di consumo involontario (si pensi, ad esempio, all'energia elettrica necessaria per la produzione e la distribuzione del calore, all'energia prodotta, ma non utilizzata, consistente nel calore perso nel sistema di distribuzione fino al punto di distacco delle tubazioni e al costo del combustibile, derivante dal consumo involontario di cui comunque beneficiano gli ambienti privati non allacciati all'impianto centralizzato).

È al riguardo da rilevare che, come dispone la norma UNI 10200/2013 sulla ripartizione delle spese di consumo, i consumi dell'impianto di riscaldamento si distinguono in volontari e involontari:

  • il consumo volontario è il calore utilmente impiegato per il riscaldamento degli ambienti;
  • il consumo involontario è quello riferito alle perdite energetiche che, pur non desiderate, costituiscono una quota parte del processo necessario per ottenere il funzionamento del servizio richiesto.

Una quota parte delle spese di riscaldamento sostenuta dai condòmini serve solo per compensare le dispersioni di calore che normalmente si verificano nell'impianto centrale; tale quota deve essere ripartita tra tutti i condòmini, indipendentemente dall'effettivo utilizzo dell'impianto centralizzato.

Se così non fosse, si avrebbe un pregiudizio economico per i condomini rimasti allacciati in quanto, da un lato, anche coloro che non scaldano la propria unità beneficiano di fatto degli effetti della dispersione del calore erogato nelle unità contigue e, d'altro lato, la messa ed il mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato comporta l'immissione di acqua calda non solo nelle tubazioni e nei radiatori interni alle unità immobiliari, ma anche nelle tubazioni comuni.

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In questo contesto apparentemente sfavorevole agli attori (ai quali sembrerebbe appunto spettare, nonostante il distacco dall'impianto, il pagamento dei consumi involontari) si inserisce la legge n. 10/1991 (legge sul risparmio energetico).

Secondo la giurisprudenza (ex plurimis, Cass. 19651/17; Cass. 6128/17 e Cass. 22573/16), tale legge, non derogabile, ritiene che il riparto degli oneri di riscaldamento, nel caso di prelievi volontari, negli edifici condominiali in cui siano stati adottati sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare, va fatto in base al consumo effettivamente registrato.

In poche parole, i criteri convenzionali previsti nel regolamento o, in mancanza, quelli legali (art. 1123, cod. civ.), risultano applicabili soltanto ove manchi un sistema di misurazione del calore effettivamente erogato per unità immobiliare, e presuppongono, quindi, per poter operare, l'impossibilità di misurare il consumo effettivo del servizio erogato a ciascuna unità immobiliare.

Chiarito ciò, il condominio convenuto, nell'addebitare con le delibere impugnate le voci di spesa in bilancio, non ha fatto ricorso a nessuno dei principi sopra richiamati ma ha addebitato l'intero costo delle singole voci di spesa a tutti i condòmini, inclusi coloro che si sono distaccati dall'impianto, in base ai millesimi di proprietà e non in base ai consumi effettivamente registrati, e ciò in contrasto anche con le stesse disposizioni del regolamento contrattuale, secondo cui le spese di gestione e manutenzione ordinaria dell'impianto di produzione dell'acqua calda dovevano essere ripartite in base ai consumi registrati singolarmente, con acconti periodici.

Trattandosi di spese (acqua, elettricità, terzo responsabile, salgemma etc.) per le quali la ripartizione si sarebbe dovuta basare sull'effettivo consumo registrato per ciascun condomino, sul quale scomputare eventualmente la quota da calcolare in base ai millesimi di proprietà, e in assenza di un accertamento, in concreto, di un aggravio di spese derivante dal distacco, ogni attribuzione di ulteriore criterio che non sia legato alle disposizioni di legge o regolamentare non può considerarsi legittima.

Dunque, le voci di spesa che sono state attribuite per intero a carico degli attori quali quelle di gestione dell'impianto risultanti dai bilanci approvati sono da considerare illegittime e la relativa delibera sul punto andrà conseguentemente annullata.

Sentenza
Scarica Trib. Roma 4 settembre 2020 n. 11897
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