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Decoro architettonico e rilevanza o meno di preesistenti interventi modificativi dell'estetica del caseggiato

Qualsiasi intervento si voglia eseguire sulle parti comuni non vi deve essere alcun pregiudizio delle linee architettoniche dell'edificio.
Avv. Anna Nicola 

L'aspetto estetico di un edificio, cioè il cd. decoro architettonico, viene tutelato dalla legge. Si tratta di un bene immateriale, intangibile e difficilmente quantificabile, o determinabile a priori.

Ogni edificio ha sue caratteristiche proprie che ne rappresentano unitamente considerate il profilo estetico. È "l'immagine" esteriore del palazzo, utile anche per stabilire un maggiore o minore valore economico dello stesso.

Il riferimento normativo è dato dall'art. 1120 c.c. sulla cui base" Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino". Per il nostro legislatore l'estetica dell'immobile è un bene da tutelare, vietando la realizzazione di opere in grado di modificarne l'aspetto.
Con questo concetto si fa riferimento all'insieme degli elementi murari, ma anche fregi e motivi estetici in grado di essere determinanti per l'armonia del palazzo, anche se non particolarmente pregiati (Cass. n. 581/2007).

l confine tra ciò che è concesso e ciò che è proibito non è di facile comprensione, dato che il valore non può essere misurato in modo assoluto, ma in relazione alle caratteristiche specifiche di un singolo palazzo.

Di recente il tema è stato ripreso dalla Suprema Corte con la decisione n. 16518/2023.

Decoro architettonico e preesistenti interventi modificativi dell'estetica del caseggiato. Fatto e diritto

Una condomina proprietaria di un appartamento con terrazzo, confinante con altro terrazzo separato da un muro di proprietà del convenuto. Lamenta che questi, nel corso degli anni: (a) aveva realizzato una serie di opere in violazione delle distanze tra le costruzioni e per le vedute; (b) aveva alterato il decoro architettonico dell'edificio.

In ragione di ciò, domanda la condanna alla riduzione in pristino e la condanna generica al risarcimento dei danni. Controparte contesta la domanda, eccependo sia l'usucapione che la prescrizione dell'azione altrui.

Dopo l'alternarsi dei giudizi di merito, si giunge davanti alla Cassazione.

Il primo argomento di doglianza attiene al criterio della prevenzione nella costruzione su muri adiacenti.

La parte di sentenza censurata afferma che l'arretramento alla distanza regolamentare «potrebbe essere impartito per le sopraelevazioni che postulano una volumetria significativa dei piani sottostanti e tale certo non è lo sbalzo del solaio, anche considerato il principio per il quale, al fine del computo delle distanze, l'altezza dell'edificio si calcola al colmo piuttosto che alla gronda».

La Corte dà ragione alla ricorrente perché in tema di distanze tra gli edifici, la scelta del preveniente di costruire sul confine è definitiva, nel senso che - una volta edificato - nel sopraelevare l'opera, egli deve far combaciare il fronte della sopraelevazione con il fronte della costruzione inferiore, proseguendo in linea retta verticale, oppure deve arretrare il fronte della sopraelevazione fino a distanza dal confine non inferiore a quella legale o fino alla maggiore distanza prevista dai regolamenti locali vigenti al tempo della sopraelevazione (cfr. Cass. n. 7762/1999, 14077/2003).

Viene disposto quindi il rinvio ad altro giudice di merito alfine di dare applicazione nel caso di specie alle distanze previste dal regolamento edilizio vigente al tempo della prima sopraelevazione.

Il secondo argomento attiene al decoro architettonico. A detta della ricorrente la Corte di Appello non ha svolto alcuna indagine in questo senso.

La Suprema Corte osserva che il c.t.u. ha rilevato che le opere realizzate che «alterano senz'altro lo stato originario di progetto del fabbricato. [...] Tali opere chiaramente osservabili dagli appartamenti circostanti (anche di altri edifici) a quota uguale o maggiore. [...] Le forme realizzate, quali ad esempio archi delle portefinestre, non risultano in sintonia con l'estetica del fabbricato, caratterizzata dalla linea dritta [...].

Inoltre, i volumi realizzati introducono elementi di disturbo e confusione (quali ad esempio solai a differenti altezze), compromettendo ulteriormente un giudizio positivo sull'estetica del fabbricato».

Il secondo giudice avrebbe errato considerando che queste alterazioni sono intervenute su un prospetto dell'edificio già gravemente compromesso da plurimi interventi di altri condomini che hanno concorso a disperdere la simmetria, l'estetica e l'aspetto generale del fabbricato, oltre che dal degrado connesso alla vetustà della struttura.

Simile ragionamento è in contrasto con altra parte della giurisprudenza della Suprema Corte già perché attribuisce rilevanza alla visibilità delle alterazioni. Infatti, per decoro architettonico deve intendersi l'estetica del fabbricato risultante dall'insieme delle linee e delle strutture che lo connotano intrinsecamente, imprimendogli una determinata armonica fisionomia ed una specifica identità.

Decoro architettonico e interpretazione del regolamento

È quindi privo di rilievo il grado di visibilità delle nuove opere sottoposte a giudizio, in relazione ai diversi punti da cui si osserva l'edificio (cfr. Cass. n. 851/2007).

In più non ha valore l'osservazione che l'originario decoro fosse già degradato in conseguenza di interventi modificativi precedenti di cui non sia stato preteso il ripristino.

Questa circostanza, se può vantare qualche appiglio nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4679/2009), è da coordinare con una considerazione sistemica che, nel valutare l'impatto sul decoro architettonico di un'opera modificativa, adotta un criterio flessibile, di maggiore o minore rigore, in vista delle caratteristiche dell'edificio di volta in volta sottoposto a giudizio, ove devono essere reciprocamente temperati i rilievi attribuiti all'unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche altrui e all'alterazione prodotta dall'attuale opera modificativa (cfr. Cass. n. 5417/2002).

Nella fattispecie in esame, l'allegata lesione del decoro architettonico si congiunge ad un'altra violazione accertata (in materia di distanze) che impone comunque una revisione della nuova opera.

In tale contesto, far pesare in modo decisivo gli effetti delle plurime alterazioni precedenti per negare l'incidenza lesiva del decoro architettonico dell'opera modificativa sottoposta a giudizio priverebbe tale parametro estetico di qualsiasi forza normativa per il futuro.

Considerazioni conclusive

Sebbene quello appena riportato possa dirsi l'ultimo orientamento della Cassazione in termini di decoro architettonico unitamente al degrado, vi sono precedenti che paiono in contrasto con il principio fatto proprio dalla decisione in commento.

La Cass. n. 10583/2019 ha affermato che in tema di condominio, non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un'opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino.

Sul punto si vedano anche, tra le altre, Cass. n. 26055/2014; oppure Cass. n. 21835/2007, sulla cui base, nel condominio la lesività estetica dell'opera abusivamente compiuta da uno dei condomini - che costituisca l'unico contestato profilo di illegittimità dell'opera stessa - non può assumere rilievo se vi è una già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a anteriori interventi sull'immobile.

Sentenza
Scarica Cass. 12 giugno 2023 n. 16518
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