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Decoro architettonico e interpretazione del regolamento

Alterazione dell'aspetto esteriore dell'edificio e corretta interpretazione della natura contrattuale del regolamento: il punto della Suprema Corte.
Avv. Mariano Acquaviva - Foro di Salerno 

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9957 del 27 maggio 2020, è tornata sull'annoso problema dell'alterazione del decoro architettonico in condominio, questa volta con riferimento al divieto posto all'interno del regolamento contrattuale.

Per la precisione, la Suprema Corte ha dovuto affrontare la controversia sorta tra il condominio e alcuni condòmini che, a detta del primo, avrebbe effettuato dei lavori pregiudizievoli al decoro architettonico, in spregio al divieto assoluto sancito all'interno del regolamento di natura contrattuale. Vediamo qual è stata la risposta degli ermellini.

Decoro architettonico e regolamento, il casus decisus

Il condominio, in persona dell'amministratore, citava in giudizio alcuni condòmini per ottenere la declaratoria di illegittimità dei lavori eseguiti dai convenuti, lavori consistenti nel recupero, ai fini abitativi, del sottotetto, perché lesivi del decoro architettonico e, pertanto, vietati sia ai sensi dell'art. 1120 c.c. che in ragione del medesimo divieto contenuto nel regolamento.

Si costituivano i convenuti eccependo che i lavori non solo non arrecavano pregiudizio al decoro architettonico, ma che gli stessi erano stati autorizzati con regolare delibera assembleare. Chiedevano altresì il risarcimento dei danni derivante dall'illegittimo rifiuto del condominio all'esecuzione dei lavori.

In primo e secondo grado venivano confermate le ragioni dei condòmini convenuti. In particolare, la corte d'appello meneghina riteneva inammissibile, perché dedotta per la prima volta in secondo grado, la censura riguardante la violazione dell'articolo del regolamento che, a detta del condominio, vietava in modo assoluto qualsiasi tipo di alterazione dell'aspetto esterno dell'edificio, in quanto in primo grado era stata lamentata la sola violazione dell'art.1120 c.c., non anche quella regolamentare.

Secondo la corte di merito, si trattava di diverse pretese, in quanto il regolamento condominiale vietava qualunque opera riguardante le parti comuni dell'edificio mentre l'art.1120 c.c. contiene un divieto più blando, richiedendo l'ulteriore requisito dell'alterazione al decoro architettonico.

Per l'interpretazione del regolamento condominiale, la corte di merito faceva riferimento alla delibera condominiale del 25.2.2003, con la quale era stato autorizzato l'intervento sul sottotetto, purché conforme al disegno architettonico della facciata e purché non vi fosse un pregiudizio per la statica dell'edificio.

Detta interpretazione, in assenza di specifica contestazione, era coperta dal giudicato, sicché era inammissibile un'interpretazione del regolamento condominiale, in forza della quale sarebbero vietate tutte le opere interessanti le parti comuni dell'edificio.

Il condominio ricorreva dunque per Cassazione, contestando innanzitutto la scelta di dichiarare inammissibile la violazione regolamentare, in quanto già dedotta in atto di citazione, e in secondo luogo l'efficacia della delibera assembleare, la quale non avrebbe potuto autorizzare dei lavori in deroga alle previsioni del regolamento in quanto, avendo natura contrattuale, sarebbe stato derogabile solo all'unanimità.

Ugualmente erronea sarebbe stata la decisione d'appello allorquando interpretava il regolamento contrattuale alla luce di una delibera assembleare adottata solamente a maggioranza.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, con il provvedimento in commento (ordinanza n. 9957 del 27 maggio 2020), ha dovuto risolvere il problema dell'alterazione del decoro architettonico alla luce della corretta interpretazione delle previsioni regolamentari.

Ebbene, per quanto concerne il primo motivo di ricorso, e cioè la violazione della norma di regolamento che vietava in assoluto ogni alterazione dell'aspetto esteriore dell'edificio, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la doglianza, ma per ragioni diverse rispetto a quelle statuite dai giudici di merito.

Mentre questi ultimi avevano ritenuto inammissibile la censura perché eccepita solo in secondo grado, la Suprema Corte fa notare come, in realtà, il regolamento non preveda nulla di diverso rispetto al disposto dell'art. 1120, ultimo comma, c.c., a tenore del quale sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

In altre parole, il divieto stabilito nel regolamento condominiale (di innovazioni che modifichino la statica o alterino le caratteristiche architettoniche ed estetiche del fabbricato) è riproduttivo dell'art.1120 c.c., che vieta le innovazioni che possano arrecare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Da tanto deriva che non è possibile ritenere, come erroneamente aveva fatto la Corte d'appello, che la censura in merito alla violazione regolamentare sia inammissibile. Essa tuttavia non merita comunque accoglimento perché infondata: attesa la sostanziale identità della domanda basata sulla lesione del decoro architettonico o sull'articolo del regolamento condominiale, sia in relazione all'art.1120 c.c., il motivo dedotto non è decisivo perché basato sui medesimi presupposti fattuali.

Più pregnante è l'altro motivo di ricorso, quello inerente alla delibera condominiale che avrebbe autorizzato i lavori di alterazione dell'estetica dell'edificio, fornendo il proprio placet al progetto di realizzazione del recupero dell'abitabilità dei sottotetti.

Secondo i ricorrenti, il giudice d'appello avrebbe errato nell'interpretare la natura del regolamento il quale, essendo contrattuale, non avrebbe mai potuto tollerare deroghe apportate dal consesso, qualora non votate all'unanimità.

Secondo il giudice nomofilattico, l'obiezione coglie nel segno: essendo incontestata (e incontestabile) la natura contrattuale del regolamento, la delibera non adottata all'unanimità non era idonea a modificare il regolamento, perché attinente ad innovazioni incidenti sul decoro architettonico.

In tale ipotesi, infatti, esula dai poteri istituzionali dell'assemblea dei condomini la facoltà di deliberare o consentire opere lesive del decoro dello edificio condominiale, alla stregua dell'art. 1138 c.c., comma quarto (come stabilito, ex multis, da Cassazione civile, sez. VI, 18/11/2019, n.29924).

Ne consegue che l'interpretazione del regolamento contrattuale, erroneamente basata sulla delibera condominiale adottata a maggioranza, non può avere autorità di giudicato e, pertanto, merita il ripensamento del giudice di merito.

Alla luce di ciò, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato ad altra sezione della Corte di Appello di Milano che, sulla base dei principi enunciati, dovrà accertare se i lavori compiuti dai convenuti siano lesivi del regolamento condominiale.

Sostituzione basculante garage e alterazione decoro

L'interpretazione del regolamento contrattuale

L'ordinanza in commento offre l'occasione per due brevi riflessioni: la prima sull'interpretazione del regolamento contrattuale; la secondo in ordine alla nozione di decoro architettonico.

Per quanto concerne l'interpretazione del regolamento che abbia natura contrattuale, configurandosi appunto come un contratto a tutti gli effetti (anche se peculiare per quanto concerne il suo contenuto), è possibile seguire le regole generali in materia di contratti di cui agli artt. 1362 ss. c.c., conseguendone che la predetta interpretazione, da parte del giudice di merito, rappresenta un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1995, n. 11278; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1995, n. 1560).

È proprio ciò che è accaduto nell'ordinanza oggetto di commento: il giudice di merito aveva erroneamente interpretato la natura del regolamento, declassandolo ad accordo tra le parti liberamente modificabile mediante deliberazione assembleare adottata a maggioranza.

Poiché la decisione del giudice di merito non era immune da vizi logici e giuridici, la Suprema Corte è potuta intervenire sul punto, cassando la decisione sbagliata resa in secondo grado di giudizio.

È appena il caso di ricordare che, per dottrina e giurisprudenza concorde, all'interno di un regolamento contrattuale possono coesistere clausole regolamentari e clausole negoziali: mentre le prime possono essere modificate a maggioranza, le secondo possono essere variate solo all'unanimità.

Hanno natura regolamentare quelle clausole che concernono le modalità d'uso delle cose comuni, e, in genere, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (ad esempio, il divieto di occupare temporaneamente alcune parti comuni dell'edificio, la regolamentazione del gioco dei bambini nel cortile, o l'obbligo di uso turnario del lastrico solare), mentre hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini (ad esempio, quelle che vietano di adibire l'appartamento a sala da ballo o discoteca).

Orbene, mentre le prime (i.e., le clausola regolamentari) possono essere approvate (e modificate) dall'assemblea a maggioranza in quanto, pur se inserite in un regolamento contrattuale, non differiscono, nella loro sostanza, da quelle oggetto di autoregolamentazione a maggioranza dell'organo assembleare, le seconde (quelle negoziali), poiché incidono sull'utilizzabilità e la destinazione delle parti di proprietà esclusiva, hanno carattere convenzionale, e, se predisposte dall'originario proprietario dello stabile, devono essere accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto o con atti separati, mentre, in ipotesi di delibera assembleare, vanno approvate all'unanimità e la loro modifica presuppone il consenso unanime, dovendo, in difetto, considerarsi nulle perché eccedenti i limiti dei poteri dell'assemblea (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2011, n. 3705).

Decoro architettonico: cos'è?

L'ordinanza in commento aderisce al significato che, atteso il silenzio codicistico a riguardo, tradizionalmente viene accordato alla nozione di decoro architettonico.

Secondo la Suprema Corte, il decoro architettonico va inteso come estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture architettoniche che connotano il fabbricato e che gli imprimono una determinata, armonica fisionomia.

Il provvedimento in oggetto ha affermato, aderendo all'orientamento consolidato della giurisprudenza, che costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio (Cassazione civile sez. II, 28/06/2018, n.17102).

L'alterazione di tale decoro è integrata, quindi, da qualunque intervento che alteri in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono all'edificio una sua propria specifica identità (Cass. 1076/05 e Cass. 14455/09).

Cambio colore della facciata e alterazione del decoro architettonico

Sentenza
Scarica Cass. 27 maggio 2020 n. 9957
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